Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3756 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3756 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10166/2022 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN PROPRIO E COME PROCURATRICE SPECIALE DI RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 260/2022 depositata il 08/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 2014 il sig. NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 752/2014, emesso in data 10/2/14 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (debitrice principale) e dei sig.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME (fideiussori) per il pagamento in favore di Veneto Banca s.c.p.a. della somma di € 796.646,16, oltre ad interessi e spese.
A sostegno dell’opposizione contestava la tardività della notifica del decreto ingiuntivo, sottolineando che l’ingiunzione di pagamento era stata inviata per la notifica tramite servizio postale soltanto il 16 maggio 2014, superando così il termine previsto dall’art. 644 c.p.c.
Evidenziava in relazione di aver cessato il 19 febbraio 2009 la propria partecipazione nella compagine sociale della RAGIONE_SOCIALE, amministrata dall’altro fideiussore NOME COGNOME ed esponeva di voler esercitare l’azione di regresso nei confronti della debitrice principale RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1950 c.c., nonché del COGNOME (anche in relazione alla mala gestio del conto corrente). Chiedeva pertanto la chiamata in causa dei medesimi per essere manlevato per delle somme dovute alla creditrice, comprensive di capitale, interessi e spese, maturate sul conto corrente n. 231.957 successivamente al 19 febbraio 2009.
Contestava nel merito la documentazione prodotta da controparte in copia disconoscendo ex art. 214 c.p.c. la sottoscrizione apposta sul contratto di fideiussione.
Sollevava inoltre eccezione di nullità della fideiussione; lamentava l’applicazione di interessi ultralegali superiori al tasso soglia
nonché l’addebito di interessi anatocistici e l’applicazione di commissioni e spese non dovute.
Interveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE tramite la procuratrice RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, in qualit à di cessionaria pro-soluto del credito oggetto di causa in forza del contratto di cessione, concluso in data 29 dicembre 2017, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate dalla cedente, Veneto Banca.
Con sentenza n. 1095/2020 il Tribunale di Treviso rigettava l’opposizione confermando il decreto opposto.
Con sentenza n. 260 dell’8 febbraio 2022 la Corte d’Appello di Venezia ha parzialmente riformato la sentenza impugnata dichiarando l’inefficacia della notifica per essere intervenuta oltre il termine previsto dall’articolo 644 c.p.c. e revocando il decreto opposto rigettava nel merito i motivi ritenendo che l’appellante non avesse censurato il capo della sentenza con cui il giudice aveva qualificato la garanzia prestata come contratto autonomo di garanzia.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la RAGIONE_SOCIALE
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la falsa applicazione degli artt. 214, 216, 183, co. 6, n. 2, 302, comma 2, e 88 c.p.c., 2712 e 2719 c.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.).
Si duole che la Corte d’appello abbia ‘omesso di statuire sulla violazione dell’art. 303, comma 2, c.p.c.’ (cfr. p. 16, ricorso), nonostante nel caso di AMCO la riassunzione fosse l’unico atto che i giudici di merito avrebbero dovuto esaminare per valutare la volontà dell’interessato. Considerato che tale atto riportava esclusivamente la trascrizione della citazione, la sua volontà di
disconoscere la sottoscrizione apposta sulla fideiussione che non era ondivaga, ma chiaramente espressa.
AMCO da parte sua: (i) non avrebbe tempestivamente proposto l’istanza di verificazione; (ii) detta istanza, diversamente da quanto statuito dalla Corte d’appello, non può essere implicita, essendo necessario un comportamento attivo della parte interessata per confermare l’autenticità del documento; (iii) avrebbe prodotto tardivamente l’originale della garanzia. Sulla base di ciò, deduce che la consulenza grafologica non avrebbe dovuto essere effettuata poiché non vi era alcuna ambiguità nella volontà manifestata.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso denuncia la falsa applicazione degli artt. 241, 216, 183, co. 6, n. 2, sempre in relazione agli artt. 2712 e 2719 c.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.).
Sostiene che l’omessa produzione dell’originale della fideiussione, nei temini di cui all’art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c., abbia comportato l’inammissibilità della CTU, le cui risultanze sarebbero viziate da nullità, per violazione di tale norma, a causa ‘dell’acquisizione tardiva al giudizio del documento da sottoporre a verifica’ (cfr. pp. 29-30, ricorso).
Inoltre, rileva che l’originale della garanzia non risulta conforme alla copia depositata entro i termini di legge.
Su tali presupposti, la sentenza impugnata è viziata da nullità in quanto basata su una CTU nulla.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi ( riguardando il disconoscimento della sottoscrizione della garanzia; la presunta tardività nella produzione dell’originale della lettera; la contestazione relativa alla difformità tra la copia presentata in sede monitoria e successivamente in comparsa in primo grado, e l’originale depositato agli atti dopo anni dall’opposizione ), sono infondati.
In relazione al primo motivo va osservato che in tema di verificazione della scrittura privata gli artt. 216 e 217 c.p.c. non
prescrivono, quale requisito di ammissibilità della relativa istanza, la produzione dell’originale della scrittura, dacché la parte che su di essa fondi la propria pretesa è abilitata a dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento con i mezzi ordinari di prova.
L’istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta può essere anche implicita, come quando si insista per l’accoglimento di una pretesa che presuppone l’autenticità del documento e non esige la formale apertura di un procedimento incidentale, né l’assunzione di specifiche prove, quando gli elementi già acquisiti o la situazione processuale siano ritenuti sufficienti per una pronuncia al riguardo (Cass. n. 23959/2023; Cass. n. 32169/2022).
Con particolare riferimento al secondo motivo va ribadito il consolidato principio in base al quale nella procedura di verificazione della scrittura privata disconosciuta che sia stata versata in atti solamente in copia il deposito dell’originale del documento non costituisce nuova produzione, potendo essere pertanto effettuata anche dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. (anche nel corso delle operazioni di consulenza tecnica, allorquando la presenza dell’originale agli atti del giudizio è ancor più necessaria, giacché la perizia grafica deve preferibilmente svolgersi su tale documento e non sulla copia, onde assicurare la massima affidabilità dell’indagine devoluta all’ausiliario e, con ciò, rispondere ad un’esigenza concorrente, non soltanto delle parti, ma anche dello stesso ordinamento giuridico (Cass. 35167/2021; Cass. n. 1366/2016).
Non costituisce dunque “nuova” produzione ai sensi dell’art. 345, 3° comma, c.p.c. il deposito in originale di documento la cui copia è stata prodotta nel giudizio di primo grado, trattandosi della regolarizzazione formale del precedente deposito tempestivamente avvenuto.
Orbene, di tale principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero corretta applicazione.
Con il terzo motivo il ricorrente denunzia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.).
Il motivo è inammissibile ex art. 348 ter , commi 4 e 5, c.p.c.
Le doglianze del ricorrente si infrangono contro il consolidato principio di diritto per cui, in ipotesi di c.d. doppia conforme, come quella di specie, la censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. può trovare ingresso nel giudizio di legittimità solo laddove il ricorrente spieghi come le ragioni di fatto o di diritto, poste alla base delle decisioni di primo e secondo grado, non sono tra loro identiche. In caso contrario, ne è preclusa la proposizione in sede di legittimità, con conseguente declaratoria di inammissibilità (cfr., da ultimo, Cass. civ. Sez. lav., Ord., 2 agosto 2024, n. 21925; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 31 luglio 2024, n. 21477; Cass. civ., Sez. V, Ord., 24 luglio 2024, n. 20567; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 11 luglio 2024, n. 19090; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 25 giugno 2024, n. 17413).
Nella specie il ricorrente non ha spiegato le ragioni di diversità tra le due decisioni di merito, impedendo così a questo collegio di procedere all’analisi del presente motivo.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza