Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9146 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9146 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
Oggetto: Testamento olografo – Autografia Accertamento sulle copie – Idoneità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33620/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE CLAUDIA, RAGIONE_SOCIALE COGNOME e CASALE NOME, rappresentate e difese, anche disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE legali.
-ricorrenti – contro
COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-controricorrenti –
NOME COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza n. 508 emessa dalla Corte d’Appello di Messina in data 21/3/2019-28/6/2019 e notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME NOME, premesso che in data 1/6/1987 era deceduta COGNOME NOME; che NOME e NOME l’avevano citata in giudizio, in quanto beneficiaria del testamento della defunta del 21/3/1987, assieme a COGNOME NOME, beneficiaria, a sua volta, di altro testamento della predetta in pari data, affinché, previa declaratoria dell’inefficacia dei suddetti testamenti, venisse dichiarata aperta, in loro favore, la successione di COGNOME Ermelinda in forza del diverso testamento del 23/3/1987, di cui essi erano beneficiari, e ordinata la restituzione dei beni relitti; che ella si era costituita in giudizio proponendo domanda di accertamento negativo dei due testamenti di cui erano beneficiari rispettivamente gli attori e la COGNOME; e che la sentenza conclusiva del giudizio era stata annullata dalla Corte d’Appello per difetto di contraddittorio; tanto premesso, citò in riassunzione NOME, NOME, NOME e COGNOME NOME, affinché fosse accertata la nullità del testamento olografo redatto il 23/03/1987 in quanto apocrifo.
Costituitisi in giudizio, NOME COGNOME COGNOME COGNOME SaraCOGNOME NOME Antonio e NOME COGNOME proposero domanda riconvenzionale, con la quale chiesero l’accertamento dell’inefficacia dei testamenti olografi precedenti e la restituzione dei beni relitti dalla de cuius , previo riconoscimento della loro qualità di eredi, mentre rimase contumace COGNOME NOME.
Con sentenza n. 1238 del 29/5/2015-4/4/2015, il Tribunale di Messina, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò che i convenuti NOME COGNOME COGNOME, NOME, NOME e NOME erano eredi di Casale
NOME e condannò COGNOME NOME all’immediato rilascio dei beni immobili e all’immediata restituzione di quelli mobili in loro favore.
Il giudizio di gravame, interposto da NOME, NOME e NOME, quali eredi di COGNOME NOME, si concluse con la sentenza n. 508/2019, pubblicata il 28/6/2019, con la quale la Corte d’Appello di Messina rigettò l’appello.
Contro la predetta sentenza, NOME, NOME e NOME propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi. NOME e NOME si difendono con controricorso, mentre NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 116, 132 n. 4, 214, 215, 216 e 345 cod. proc. civ., 2697 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto che i convenuti, producendo la sola copia e non l’originale del testamento, avessero assolto l’onere probatorio su di essi gravante relativamente all’istanza di verificazione del testamento, benché ne fosse stata contestata la veridicità e fosse stata chiesta la declaratoria di nullità dello stesso perché apocrifo, e che gli accertamenti tecnici svolti dal c.t.u., ancorché compiuti sulla copia, fossero affidabili, sostenendo che l’eccezione sul punto fosse stata sollevata tardivamente. Ad avviso delle ricorrenti, la Corte d’Appello non aveva spiegato perché la c.t.u. COGNOME, ancorché svolta sulle copie, prevalesse sulle risultanze delle indagini peritali compiute sugli originali dal prof. COGNOME in sede penale ed esitata
nel giudizio di falsità dei due testamenti olografi verificati, in quanto ottenuti per ricalco in trasparenza su quello del 21/3/1987. I giudici, inoltre, non avevano neppure considerato che l’unico testamento legalmente riconosciuto ex art. 215, n. 2, cod. proc. civ., e, dunque, dotato di efficacia probatoria ex art. 2702 cod. civ., fosse quello da loro prodotto e depositato in copia conforme, in quanto le controparti non ne avevano contestato la validità, ma si erano difese sostenendo che tutte e tre le schede testamentarie fossero riconducibili alla de cuius e che prevalesse, tra esse, quella più recente, ossia quella del 23/3/1987.
I giudici, infine, non soltanto non avevano preso specifica posizione sulla censura proposta, la quale verteva non sul metodo di indagine adottato dal c.t.u., ma sul suo oggetto, limitandosi ad affermare che quest’ultimo aveva adeguatamente argomentato sui rilievi sollevati dalle parti in ordine alla consulenza svolta in sede penale, ma avevano errato anche quando avevano rilevato la tardività della questione relativa alla mancata produzione dell’originale dei testamenti, siccome sollevata solo in appello, non avendo considerato che la stessa avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio, stante l’inaffidabilità della verifica grafologica operata sulle copie . A maggior ragione, poi, avrebbe dovuto trovare applicazione la versione dell’art. 345 cod. proc. civ. risalente al momento in cui la causa era stata instaurata, ossia nel 1987.
1.2 Il primo motivo è fondato.
Questa Corte ha costantemente affermato che il giudizio di verificazione di un testamento olografo deve necessariamente svolgersi con un esame grafico espletato sull’originale del documento per rinvenire gli elementi che consentono di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione, condizionando tale regola tecnica l’attendibilità dell’esito dell’accertamento (Cass., Sez. 2, 8/2/2024, n. 3603).
Si è detto, infatti, che soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione in relazione alla conosciuta specificità del profilo calligrafico, degli strumenti di scrittura abitualmente usati e delle stesse caratteristiche psico – fisiche del soggetto rappresentati dalla firma e che, pertanto, un esame grafico condotto su di una copia fotostatica non possa che considerarsi inattendibile, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi (Cass., Sez. 2, 18.2.2000 n. 1831; Cass., Sez. 2, 27/1/2007, n. 1903; Cass., Sez. 2, 18/5/2015, n. 10171; Cass., Sez. 2, 2/2/2016, n. 1995; Cass., Sez. 1, 20/3/2016, n. 14775; Cass., Sez. 1, 20/3/2018, n. 6918; in merito alla possibilità di effettuare la perizia grafica su una copia, si esprime invece la giurisprudenza penale di questa Corte, ma negando che detta regola valga per i giudizi civili di falso: cfr., in motivazione, Cass. pen., Sez. 5, 21/11/2011, n. 42938; Cass. pen., Sez. 1, 2/3/2018, n. 12908; Cass. pen., Sez. 6, 15/7/2021, n. 27392), e a garantire l’unicità dell’atto riprodotto o la reale partecipazione del sottoscrittore alla redazione dell’atto (Cass., Sez. 6-1, 15/1/2018, n. 711).
Pertanto, il disconoscimento, ai sensi dell’art. 215, comma secondo, cod. proc. civ., dell’autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata, senz’ altro ammissibile pur se prodotta in copia fotostatica, da un lato comporta che, se la parte intende avvalersene, deve produrre l’originale, necessario per la procedura di verificazione, dall’altro priva di efficacia probatoria la copia fotostatica (art. 2719 cod. civ.), atteso che la contestazione non comprende la sola deduzione della non conformità della copia all’originale, ma si estende alla contestazione dell’esistenza stessa dell’originale (Cass., Sez. 2, 04/04/1997, n. 2911).
Nella specie, i giudici di merito, a fronte di una censura con la quale le appellanti lamentavano che l’accertamento tecnico era stato svolto su una copia, anziché sull’originale dei testamenti, ancorché questi fossero stati disconosciuti, e che, pertanto, andava considerata più attendibile la consulenza svolta in sede penale sugli originali, si sono limitati a osservare che il Tribunale aveva ‘ compiutamente motivato, rappresentando che la dott.ssa COGNOME nella propria consulenza ha contestato in maniera adeguata metodo e conclusioni della predetta consulenza ‘, evidenziando, quanto all’eccezione che la c.t.u. non era stata eseguita sull’originale, l’inammissibilità della stessa, in quanto sollevata soltanto in appello, mentre avrebbe dovuto essere fatta valere dal c.t.p. degli appellanti presente e costituito durante l’espletamento della consulenza.
E’ però evidente come la censura delle ricorrenti non afferisse alla regolarità o meno dello svolgimento delle operazioni peritali, ma riguardasse la contestata attendibilità delle conclusioni della C.T.U. in ordine alla ritenuta autografia delle schede testamentarie esaminate a seguito del rilievo che l’esame grafologico era stato effettuato sulla copia fotostatica del documento invece che sull’originale e, dunque, implicitamente il fatto che il giudice di primo grado avesse attribuito, errando, alle suddette scritture l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2702 cod. civ., laddove la riconducibilità del contenuto e della sottoscrizione delle stesse alla de cuius postulasse che l’esame grafologico fosse eseguito sul documento in originale.
La risposta data dalla Corte d’Appello, dunque, non soltanto è errata in quanto non considera la rilevanza, ai fini dell’affidabilità degli esiti degli accertamenti grafologici, dell’esibizione dell’originale dei testamenti, ma neppure può dirsi conferente
rispetto al reale significato della censura proposta con l’atto d’appello, sì da apparire come una mancata pronuncia.
Né può dirsi corretto il rilievo, contenuto in sentenza, circa la sostanziale intervenuta decadenza delle appellanti dalla possibilità di avanzare critiche all’operato del c.t.u., essendo ciò consentito soltanto da parte del c.t.p. in sede di operazioni peritali.
Valgano a tale riguardo due considerazioni di carattere sostanziale e processuale.
Quanto al primo punto, occorre evidenziare come la presenza agli atti del giudizio dell’originale della scrittura – alla cui produzione è tenuto colui che fonda il suo diritto sulla stessa allorché sia disconosciuta da colui contro la quale è fatta valere (Cass., Sez. 2, 18/2/2000, n. 1831), tanto più necessaria in quanto la perizia grafica deve, preferibilmente, svolgersi su di essa e non sulla copia, al fine di assicurare la massima affidabilità dell’indagine devoluta all’ausiliario risponda all’interesse di entrambe le parti, sia pure per opposti motivi, di ottenere la massima accuratezza dell’accertamento demandato al perito, posta la decisività degli esiti della perizia grafologica, e, dunque, ad una esigenza concorrente, non soltanto delle parti, ma dello stesso ordinamento giuridico, a garantire che la procedura di verificazione si svolga con modalità tali da rendere possibile l’accertamento dell’autenticità, o della falsità, della sottoscrizione o del documento disconosciuti, al di là di ogni ragionevole dubbio (Cass., Sez. 6-2, 18/11/2021, n. 35167).
Quanto al secondo punto, costituisce ormai ius receptum il fatto che il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195, cod. proc. civ., così come modificato dalla legge n. 69 del 2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis , il novellato art. 195 cod. proc. civ., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del
processo ex art. 175 cod. proc. civ., abbia concesso alle parti, ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare, sicché la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 cod. proc. civ., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello (in questi termini Cass., Sez. U, 21/2/2022, n. 5624).
Come osservato dalle citate Sezioni Unite, infatti, la consulenza tecnica di parte deve considerarsi un mero atto difensivo, la cui produzione non può essere ricondotta al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. e la cui allegazione nel procedimento è regolata dalle norme che disciplinano tali atti, come già affermato da Cass., Sez. U, 30/6/2013, n. 13902, in quanto la natura tecnica del documento non vale ad alterarne l’essenza, che resta quella di atto difensivo a contenuto tecnico, privo di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione è conseguentemente e logicamente ammissibile anche in appello (principio questo ribadito anche da Cass., 8/10/2013, n. 259; Cass., 24/08/2017, n. 20347; Cass., 17/10/2019, n. 26487), considerazioni queste che valgono, per quanto qui interessa, anche per i rilievi critici svolti con la consulenza tecnica di parte nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio ovvero per le critiche mosse nella medesima direzione dai consulenti tecnici di parte riportate, anche con trascrizione integrale, all’interno di atti difensivi (comparsa conclusionale, memoria di replica, atto d’appello).
Da ciò consegue che, come affermato dalla citata Cass., Sez. U, 21/2/2022, n. 5624, solo le censure attinenti a violazioni
procedurali, in quanto nullità relative, sono soggette al regime di preclusione di cui all’art. 157 cod. proc. civ., che impone alla parte nel cui interesse è stabilito un requisito dell’atto di opporre la relativa nullità per la mancanza del requisito stesso entro il termine di decadenza costituito dalla prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, ma non anche quelle inerenti al
“merito”, cioè a contestazioni “valutative” delle indagini peritali.
Pertanto, i giudici di merito, nel ritenere le appellanti decadute dal potere di contestare le risultanze della c.t.u. in ragione dell’oggetto sul quale era stato effettuato l’accertamento grafologico, si sono posti in contrasto col principio, che qui si formula, secondo cui, in caso di contestazione sulla veridicità del testamento, l’accertamento del c.t.u. nell’ambito del procedimento di verificazione deve avvenire sull’originale e non sulla copia, consentendosi solo così di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore dello scritto, senza che la parte interessata a dolersi dell’oggetto su cui l’accertamento è stato compiuto (nella specie sulla copia, in luogo dell’originale) incorra in decadenza ove il rilievo sia svolto solo in grado d’appello, atteso che la massima affidabilità dell’indagine devoluta all’ausiliario, onde accertare l’autenticità o la falsità della scrittura, risponde all’interesse di entrambe le parti e, più in generale, dello stesso ordinamento giuridico, sì da dover essere accertata dal giudice d’ufficio, e che una siffatta censura attiene non a una violazione processuale, da farsi valere entro la prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, ma al merito dell’accertamento, ossia a contestazioni valutative delle indagini peritali, che, costituendo mera difesa, possono essere rilevate in ogni momento e anche in grado d’appello.
Consegue da quanto detto la fondatezza della censura.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e degli artt. 474, 475, 476, 480, 588 e 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. I giudici di merito avrebbero omesso di prendere posizione sulle due questioni sollevate in giudizio e afferenti, l’una, alla mancata dimostrazione, da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME dell’acquisizione della qualità di eredi, non risultando alcuna accettazione dell’eredità, e l’altra al vizio di ultrapetizione, da cui sarebbe stata affetta la sentenza del Tribunale, allorché aveva riconosciuto la qualità di eredi a NOME COGNOME Bruno e a NOMECOGNOME che non l’avevano neppure richiesto e che neppure potevano dirsi tali in base al testamento, il quale aveva lasciato loro il solo diritto di usufrutto e, dunque, un mero legato.
2.2 Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del precedente, derivando dalla rivalutazione dell’autenticità o meno delle due schede testamentarie del 21/3/1987 (beneficiaria NOME COGNOME) e del 23/3/1987 (beneficiari NOME e NOME quali nudi proprietari, nonché NOME e NOME, quali usufruttuari), l’eventuale superfluità della prova dell’accettazione o meno con beneficio di inventario di NOME e NOME e della ultrapetizione relativa alla domanda di NOME COGNOME e NOMECOGNOME
In conclusione, dichiarata la fondatezza della prima censura e l’assorbimento della seconda, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/3/2025.