Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33242 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33242 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20582-2019 proposto da:
COGNOME NOME in proprio e nella qualità di titolare di NOME e RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME DE
Oggetto
Contributi previdenziali
R.G.N. 20582/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 27/09/2024
CC
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 329/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 04/04/2019 R.G.N. 370/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 4.4.2019, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’avviso di addebito con cui l’INPS le aveva ingiunto il pagamento di contributi omessi in danno di NOME COGNOME occupata alle sue dipendenze nel periodo gennaio 2009-febbraio 2012; che avverso tale pronuncia NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con memoria; che l’INPS ha resistito con controricorso; che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 27.9.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. e degli artt. 244 e 116 c.p.c. per avere la Corte di merito attribuito efficacia probatoria dirimente, ai fini della prova della natura subordinata del rapporto, alle dichiarazioni sommarie rilasciate da talune persone agli ispettori della Direzione Territoriale del Lavoro, in occasione dell’accesso ispettivo, ancorché alcune di loro (e segnatamente tale NOME COGNOME) non fossero state successivamente escusse nel corso del processo, così
erroneamente attribuendo efficacia di fede privilegiata al contenuto del verbale ispettivo e riversando su di lei l’onere della prova del contrario;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta ‘omesso esame del rapporto di subordinazione e del quantum ‘ (così espressamente il ricorso per cassazione, pag. 20), per avere la Corte territoriale ritenuto comprovata la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato sulla base del fatto che la lavoratrice ‘si recasse spesso nel negozio per svolgere un’attività lavorativa’ ( ibid. ), senza accertare la ‘disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento al potere organizzativo, dirett ivo e disciplinare’ e degli ‘ulteriori elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione’ ( ibid ., pag. 21), nonché la misura ‘del monte orario che aveva determinato l’importo complessivo oggetto di avviso di addebito’ ( ibid. );
che, con riguardo al primo motivo, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver proceduto ad una complessiva rivalutazione del materiale istruttorio acquisito al processo (e segnatamente sia delle dichiarazioni rese agli ispettori in sede di accesso ispettivo, sia delle deposizioni testimoniali rese in primo grado da alcuni dei dichiaranti e da altri testi, addotti dall’odierna ricorrente), hanno ritenuto che emergesse ‘in modo chiaro ed inequivoco il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la COGNOME e la COGNOME fin da prima del periodo 2009/2012 oggetto della controversia’, avente ad oggetto ‘mansioni di commessa/addetta alle vendite, con stabile e continuativo inserimento nell’impresa’ (così la sentenza impugnata, pag. 6); che, ciò posto, va ricordato che le dichiarazioni raccolte dagli ispettori del lavoro e degli enti previdenziali, pur non potendo
fare piena prova fino a querela di falso (come invece i fatti che il verbalizzante dichiara essere avvenuti in sua presenza o da lui direttamente compiuti) sono comunque liberamente valutabili dal giudice ai fini della prova dei fatti per cui è causa (così, tra le più recenti, Cass. n. 23252 del 2024), indipendentemente dal fatto che i dichiaranti siano stati successivamente sentiti come testi (arg. ex Cass. n. 24976 del 2017);
che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, al quale è sempre demandato in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle fonti di prova e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti per cui è causa (così da ult. Cass. n. 23055 del 2024);
che, tanto premesso, è evidente che le censure di cui al motivo in esame mirano a sollecitare un riesame del materiale probatorio al fine di accreditare un convincimento diverso da quello espresso dai giudici territoriali in ordine alla genuinità e credibilità dei dichiaranti, siano stati o meno essi chiamati a testimoniare;
che, conseguentemente, la censura è manifestamente inammissibile;
che, con riguardo al secondo motivo, va premesso che la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato di questa Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito, di talché il giudizio relativo alla qualificazione di uno
specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile ne i limiti ammessi dall’art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (così, tra le più recenti, Cass. nn. 33820 del 2021 e 22846 del 2022, entrambe sulla scorta di Cass. S.U. n. 379 del 1999);
che, ciò posto, il motivo di censura si palesa inammissibile, atteso che, anzitutto, non indica alcun fatto decisivo capace di smentire quello ‘stabile e continuativo inserimento nell’impresa’ che i giudici territoriali hanno ravvisato nella prestazione per cui è causa e in cui -per univoca giurisprudenza di questa Corte -si risolvono la costante disponibilità del prestatore e il suo assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, e in secondo luogo, con riferimento alle (peraltro generiche: cfr. pagg. 21-22 del ricorso per cassazione) contestazioni concernenti il quantum , non considera che i giudici territoriali, confermando l’avviso di addebito, ne hanno implicitamente fatto proprie le risultanze, ciò che degrada la censura -a tutto concedere -ad un rilievo di insufficienza di motivazione, che non è più denunciabile in questa sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, che, in previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.700,00, di cui € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari a 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 27.9.2024.