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Verbale ispettivo: valore di prova e oneri del datore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5968/2024, ha respinto il ricorso di un’imprenditrice sanzionata per lavoro irregolare. Il caso verteva sul valore probatorio del verbale ispettivo e delle dichiarazioni in esso contenute. La Corte ha stabilito che il giudice di merito può legittimamente ritenere più attendibili le dichiarazioni spontanee rese ai verbalizzanti rispetto a quelle testimoniali fornite in giudizio, esercitando il suo potere di prudente apprezzamento della prova. I motivi di ricorso relativi all’omessa indicazione dei criteri di calcolo delle sanzioni sono stati dichiarati inammissibili per difetto di specificità, non avendo la ricorrente trascritto il provvedimento impugnato.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Il valore del verbale ispettivo: cosa dice la Cassazione

Un recente pronunciamento della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 5968/2024, torna a fare luce su un tema cruciale nel diritto del lavoro: il valore probatorio del verbale ispettivo. La decisione chiarisce fino a che punto le dichiarazioni rese ai funzionari durante un controllo possano essere considerate attendibili in un successivo giudizio, anche a fronte di testimonianze discordanti. Questa sentenza offre spunti fondamentali per i datori di lavoro sulla gestione delle ispezioni e sulla difesa in caso di contenzioso.

I fatti del caso

Una società e la sua titolare si sono opposte a un’ordinanza ingiunzione emessa dall’Ispettorato del Lavoro, che contestava la violazione delle norme sull’assunzione per diversi lavoratori trovati a prestare attività in modo irregolare. La sanzione si basava in gran parte sulle dichiarazioni spontanee rese dalla stessa titolare agli ispettori durante il controllo. Sia il tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano respinto l’opposizione, confermando la validità della sanzione. L’imprenditrice ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici avessero errato nel dare maggior peso al verbale ispettivo piuttosto che alle testimonianze raccolte durante il processo, le quali avrebbero, a suo dire, smentito la versione dei fatti accertata dagli ispettori.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, rigettandolo integralmente. I giudici hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, ribadendo principi consolidati in materia di prova. In particolare, è stato chiarito che la valutazione delle prove è un compito esclusivo del giudice di merito, il quale può legittimamente scegliere quali elementi considerare più attendibili, purché fornisca una motivazione logica e coerente. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi relativi alla presunta nullità dell’ordinanza per mancata indicazione dei criteri di calcolo della sanzione, poiché la ricorrente non aveva rispettato l’onere processuale di trascrivere il documento contestato nel proprio atto di ricorso, impedendo così alla Corte di valutarne il contenuto.

Le motivazioni: la forza probatoria del verbale ispettivo

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione del valore probatorio delle diverse parti di un verbale ispettivo. La Cassazione ricorda che il verbale fa piena prova, fino a querela di falso, solo per i fatti che il pubblico ufficiale attesta come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Non godono della stessa efficacia, invece, le valutazioni, gli apprezzamenti del verbalizzante e le dichiarazioni a lui rese da terzi. Queste ultime, comprese le dichiarazioni auto-accusatorie del datore di lavoro, non hanno valore di confessione stragiudiziale con efficacia di prova legale, ma costituiscono una prova liberamente apprezzabile dal giudice. La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha agito correttamente, non limitandosi a dare per buono il verbale, ma analizzando tutte le prove disponibili. Ha motivato in modo convincente la scelta di ritenere più attendibili le dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’ispezione, sottolineando come in quella fase il lavoratore sia meno soggetto a possibili influenze da parte del datore di lavoro rispetto a quando testimonia in un’aula di tribunale, dove potrebbe temere per la conservazione del posto di lavoro.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce due principi fondamentali. Il primo è che il verbale ispettivo è uno strumento probatorio potente, e le dichiarazioni in esso contenute, sebbene non costituiscano prova legale, possono essere considerate dal giudice come l’elemento più genuino e attendibile per ricostruire i fatti. Il datore di lavoro deve quindi prestare la massima attenzione a ciò che dichiara durante un’ispezione. Il secondo principio è di natura processuale: chi impugna un atto in Cassazione ha l’onere di essere estremamente specifico, trascrivendo le parti rilevanti dei documenti su cui si fonda il ricorso. Omettere questo passaggio, come nel caso di specie per l’ordinanza ingiunzione, porta all’inammissibilità del motivo, precludendo alla Corte qualsiasi valutazione nel merito. Per le aziende, la lezione è chiara: la trasparenza e la correttezza durante un’ispezione sono fondamentali, così come il rigore formale nella successiva fase contenziosa.

Che valore ha un verbale ispettivo in un processo?
Il verbale ispettivo ha un duplice valore: fa piena prova fino a querela di falso per i fatti che l’ispettore attesta di aver visto o compiuto direttamente. Per le dichiarazioni raccolte, invece, non costituisce prova legale ma è un elemento di prova liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerlo più o meno attendibile rispetto ad altre prove come le testimonianze.

Un giudice può considerare più veritiere le dichiarazioni rese a un ispettore rispetto a quelle di un testimone in tribunale?
Sì. La sentenza conferma che il giudice di merito ha il potere di scegliere, tra le varie prove, quelle che ritiene più convincenti. Può motivatamente ritenere le dichiarazioni spontanee rese durante l’ispezione più genuine e attendibili di una testimonianza successiva, poiché rese in un contesto con minor pressione o influenza da parte del datore di lavoro.

Cosa succede se nel ricorso per Cassazione non si trascrive l’atto che si contesta?
Se il ricorrente non trascrive, almeno nelle parti essenziali, il documento su cui basa la propria censura (in questo caso, l’ordinanza ingiunzione), il motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile. Questo perché la Corte di Cassazione deve essere messa in condizione di valutare la critica senza dover ricercare autonomamente gli atti nei fascicoli di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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