Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5968 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26147-2018 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e in qualità di titolare della cessata RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE LUCCA – MASSA CARRARA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 426/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/02/2018 R.G.N. 2159/2017;
Oggetto
Opposizione ordinanza ingiunzione
R.G.N. 26147/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/01/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello di NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della cessata RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, confermando la decisione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione all’ordinanza ingiunzione di pagamento n. 573/2011 emessa dall’RAGIONE_SOCIALE, già Direzione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per violazione della normativa in materia di assunzione nei confronti dei lavoratori NOME COGNOME, NOME Formisano, NOME COGNOME e di NOME COGNOME, madre della COGNOME.
La Corte territoriale ha escluso la violazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni, di cui all’art. 11 della legge 689 del 1981, ritenendo peraltro le modalità di calcolo facilmente desumibili dagli atti di accertamento; quanto alla COGNOME, ha ritenuto che l’attività lavorativa dalla stessa prestata nelle giornate contestate risultasse dalle spontanee dichiarazioni rese dalla figlia, NOME COGNOME, ai verbalizzanti il 9 marzo 2011 ed ha giudicato tali dichiarazioni maggiormente attendibili rispetto a quelle rilasciate in sede testimoniale.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME, nella duplice veste già indicata, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L’RAGIONE_SOCIALE, Sede RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -Massa Carrara ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c. per avere la Corte d’appello errato nell’attribuire maggiore rilevanza probatoria alle dichiarazioni rese dalla COGNOME agli ispettori piuttosto che alle risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. per avere la Corte d’appello fondato la propria decisione unicamente sul verbale di accertamento ispettivo, tralasciando le risultanze istruttorie assunte in giudizio, e così attribuendo al verbale ispettivo il valore di prova legale.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. e in via subordinata, la violazione o falsa applicazione dell’art. 11 della legge 689 del 1981 in relazione ai criteri di calcolo delle sanzioni. Si censura la sentenza d’ appello per non aver dichiarato la nullità dell’ordinanza ingiunzione per omessa indicazione dei criteri di computo delle sanzioni amministrative.
Con il quarto motivo la medesima censura, di violazione dell’art. 11 della legge 689 del 1981, è prospettata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. deducendosi, in riferimento alla posizione della signora NOME COGNOME, come non sia possibile
conoscere il periodo di lavoro irregolare della stessa per come accertato dagli ispettori e oggetto della sanzione irrogata e che costituisce elemento decisivo ai fini della soluzione della controversia.
I primi due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente per connessione logica, non sono fondati.
10. Con orientamento costante questa SRAGIONE_SOCIALE. ha statuito che ‘Nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personal i considerazioni logiche’ (v. Cass. n. 23800 del 2014; n. 29320 del 2022; n. 31107 del 2022).
11. Si è, inoltre, precisato che ‘la dichiarazione di fatti a sé sfavorevoli resa dal datore di lavoro in un verbale ispettivo non ha valore di confessione stragiudiziale con piena efficacia probatoria nel rapporto processuale, ma costituisce prova liberamente apprezzabile dal giudice…’ (Cass. n. 17702 del 2015). 12. A tali principi si è rigorosamente attenuta la Corte di merito che, nella valutazione del complessivo materiale probatorio, compito alla stessa demandato,
ha giudicato maggiormente attendibili le dichiarazioni raccolte in sede ispettiva. La sentenza d’appello non ha fondato la decisione unicamente sul verbale ispettivo, come preteso da parte ricorrente, ma ha analizzato tutte le risultanze istruttorie, ha motivatamente giudicato irrilevanti le deposizioni dei testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME e spiegato le ragioni della maggiore attendibilità riconosciuta alle dichiarazioni raccolte dagli ispettori; ha sottolineato come ‘al momento dell’ispezione, il gr ado di consapevolezza nel lavoratore circa le possibili conseguenze sfavorevoli delle informazioni comunicate alla DPL è senz’altro minore rispetto a quello connotante la deposizione resa in udienza. Altrettanto evidente è la capacità del datore di lavoro di influenzare medio tempore il contenuto delle dichiarazioni rese dai propri lavoratori, stante l’interesse di questi ultimi alla conservazione del posto di lavoro’ (sentenza d’appello pag. 4 -5).
13. Ciò in sintonia col principio costantemente affermato secondo cui, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante
ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (v. Cass. n. 13485 del 2014; n. 11511 del 2014; n. 16499 del 2009).
14. Non vi è quindi spazio per ritenere integrata la violazione delle regole di formazione della prova che, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale, oppure invertita gli oneri probatori come disciplinati dall’art. 2697 c.c. Nessuna di queste anomalie è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova; censura consentita solo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e nel caso di specie preclusa in ragione della disciplina della c.d. doppia conforme dettata dall’art. 348 ter, quinto comma, c.p.c. e, comunque, per l’assenza dei requisiti richiesti dal nuovo testo della disposizione citata (v. Cass., S.U., n. 8053 e n. 8054 del 2014).
15. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili per mancato rispetto delle prescrizioni imposte dall’art. 366, comma 2 n. 6 c.p.c. e dall’art. 369, comma 4 n. 4 c.p.c. La ricorrente deduce la non comprensibilità dei criteri di calcolo delle sanzioni irrogate con l’ordinanza ingiunzione opposta (incomprensibilità che assume erroneamente esclusa dai giudici di merito), ma omette di trascrivere, anche
solo nelle parti rilevanti, il provvedimento per cui è causa ed anche di localizzare lo stesso negli atti processuali o di depositarlo in allegato al ricorso per cassazione (sul punto v. Cass. S.U. n. 8950 del 2022; Cass. n. 12481 del 2022; S.U. n. 34469 del 2019). Adempimento tanto più necessario posto che la sentenza impugnata, nel ritenere ‘le modalità di calcolo facilmente deducibili sulla base degli atti’, richiama ‘il conteggio fatto in relazione a 253 giornate, come specificate alle pagine 3 e 6 del verbale di accertamento per ogni dipendente’ (v. sentenza d’appello, pag. 4, § 3.1).
La critica mossa in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. è inammissibile per le ragioni già esposte nell’esame dei primi due motivi di ricorso.
Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 17 .1.2024