Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11376 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11376 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 1968/2022 del TRIBUNALE DI VICENZA, depositata il giorno 15 novembre 2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI VENDITA SENZA INCANTO AGGIUDICAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11006/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
nella procedura di espropriazione immobiliare promossa innanzi il Tribunale di Vicenza dalla RAGIONE_SOCIALE (cui, lite pendente , è succeduta RAGIONE_SOCIALE in danno della RAGIONE_SOCIALE e con l’intervento di plurimi creditori – tra cui CAF S.p.A.-, all’esito dell’esperimento di vendita senza incanto tenuto il giorno 11 aprile 2018, il professionista delegato dal giudice dell’esecuzione aggiudicò un immobile alla RAGIONE_SOCIALE;
con istanza del 10 settembre 2018, l’aggiudicataria, sull’assunto di non aver ricevuto comunicazione di provvedimento o decisione di conferma dell’aggiudicazione, domandò la revoca della propria offerta;
con ordinanza del 28 settembre 2018, il giudice dell’esecuzione disattese detta istanza e dichiarò la decadenza dall’aggiudicazione, disponendo la acquisizione della cauzione versata;
avverso detto provvedimento la RAGIONE_SOCIALE dispiegò tempestiva opposizione agli atti esecutivi, rigettata dalla decisione in epigrafe; ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, articolando due motivi; resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE non svolge difese in grado di legittimità la CAF S.p.A.;
il Collegio si è riservato il deposito dell ‘ ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell ‘ art. 380bis. 1 cod. proc. civ.;
Considerato che
preliminarmente, non assume rilevanza l’omessa evocazione nel presente giudizio di legittimità di tutte le parti (tra cui, in primis, il debitore esecutato) litisconsorti in grado di appello ed in questa sede non costituite nel presente giudizio di legittimità, atteso il rigetto del ricorso per le ragioni in appresso esplicate;
il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano
certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato o inammissibile, appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti, la fissazione del termine per la rinnovazione della notifica del ricorso ad una parte o per l’integrazione del contraddittorio nei riguardi di un litisconsorte pretermesso, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr., sulla scia di Cass., Sez. U, 22/03/2010, n. 6826, tra le tante, Cass. 13/10/2011, n. 21141; Cass. 17/06/2013, n. 15106; Cass. 10/05/2018, n. 11287; Cass. 21/05/2018, n. 12515; Cass. 15/05/2020, n. 8980; Cass. 20/04/2023, n. 10718);
il primo motivo lamenta violazione dell’art. 587 cod. proc. civ. nonché degli artt. 1175, 1176 e 1375 cod. civ, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.;
breviter, parte ricorrente assume che, in forza dell’avviso di vendita richiamato nel verbale di aggiudicazione, il termine da considerare per il versamento del saldo del prezzo era quello indicato nell’offerta, cioè dodici rate mensili « dalla notifica dell’aggiudicazione definitiva »: sicché, avendo nel verbale il professionista delegato espressamente qualificato l’aggiudicazione come provvisoria e mancando ulteriori provvedimenti del giudice dell’esecuzione, tale termine non era decorso e, comunque, non era di certo superato alla data della dichiarazione di
decadenza, intervenuta cinque mesi dopo l’aggiudicazione, ben prima quindi dei dodici mesi accordati;
il motivo è infondato;
quanto agli accadimenti processuali rilevanti ai fini della decisione, dalla rappresentazione operata nel ricorso introduttivo (peraltro pacifica inter partes ), emerge che:
(i) all’esperimento di vendita tenuto – nelle forme senza incanto il giorno 11 aprile 2018, il professionista delegato, all’esito della gara tra gli offerenti presenti (tra cui l’odierna ricorrente), aggiudicò l’immobile alla RAGIONE_SOCIALE « provvisoriamente, sino all’emissione del decreto di trasferimento », disponendo che « il versamento del saldo prezzo avvenga nel termine perentorio di dodici mesi con pagamento rateale, e nelle modalità stabilite nell’avviso di vendita »;
(ii) l’avviso di vendita prevedeva che « il termine per il deposito, se non indicato nell’offerta, è di 120 giorni dall’aggiudicazione »;
(iii) nell’offerta, la RAGIONE_SOCIALE si era impegnata a versare il saldo prezzo « in numero dodici rate mensili aventi pari importo decorrenti dalla notifica dell’aggiudicazione definitiva in proprio favore »;
(iv) con missiva del 18 aprile 2018, il professionista delegato chiarì alla aggiudicataria che « la data da cui decorrono i termini è la data dell’aggiudicazione, provvisoria in ogni caso, sino all’emissione del decreto di trasferimento . Nel caso in cui il G.E. decidesse di far decorrere i termini dalla data del suo provvedimento, invieremo con la massima sollecitudine le nuove condizioni dei termini di pagamento »;
(v) alla data del 10 settembre 2018 (di proposizione dell’istanza di revoca dell’offerta) la RAGIONE_SOCIALE non aveva versato alcunché;
tanto puntualizzato in fatto, l’assunto della ricorrente in ordine dalla decorrenza del termine per il versamento del saldo prezzo dalla ( in thesi mai verificatasi) definitività dell’aggiudicazione è destituita di giuridico fondamento, muovendo – per implicita premessa – dalla
individuabilità, nella vendita forzata condotta senza incanto, di una aggiudicazione provvisoria e di una aggiudicazione definitiva;
orbene, tale presupposto non è conforme a diritto;
a titolo di inquadramento generale della questione, è opportuno qui ribadire che nella espropriazione immobiliare il termine per versare il saldo del prezzo da parte dell’aggiudicatario del bene staggito ha carattere perentorio (sicché non è prorogabile: Cass. 29/05/2015, n. 11711; Cass. 10/12/2019, n. 32136) e natura sostanziale (sicché non è soggetto alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale: Cass. 08/06/2022, n. 18421);
ciò precisato, connotato della vendita immobiliare senza incanto qualificante tale modalità e, ad un tempo, distintivo rispetto alla forma di vendita con incanto sono l’ ontologica stabilità e definitività dell’aggiudicazione, siccome non suscettibile di essere vanificata per effetto dell’iniziativa di un altro soggetto che formuli una offerta in aumento di un quinto, provocando l’indizione di una nuova gara;
l’istituto dell’offerta in aumento è , infatti, tipico ed esclusivo della vendita con incanto, nemmeno in astratto applicabile, in ragione della disomogeneità della natura e degli effetti dei modi di partecipazione, alla vendita senza incanto: ne è riprova la circostanza che soltanto (ed unicamente) in relazione all’offerta in aumento ( rectius, alla diserzione della gara indetta a seguito di essa) il codice (art. 584, quinto comma, cod. proc. civ.) correla l’attributo « definitiva » all’aggiudicazione;
ne deriva che la qualificazione di « provvisoria, sino al decreto di trasferimento » attribui ta all’aggiudicazione conseguente a vendita senza incanto è in radice errata in punto di diritto;
e una definizione del genere – ove impropriamente adoperata nella prassi, come accaduto nella specie – deve essere intesa, per il principio di conservazione degli atti giuridici, non già (come opinato dal ricorrente) nel senso di necessità di un’ulteriore statuizione o
delibazione (denominata conferma, convalida et similia ) ad opera degli organi della procedura espropriativa, bensì come richiamo alla intrinseca caducità della aggiudicazione, dacché pur sempre passibile di eventuale revoca, in conseguenza dell’inosservanza del termine per il versamento del saldo del prezzo opp ure dell’esercizio del potere officioso di sospensione della vendita di cui all’art. 586 cod. proc. civ.;
resta, comunque, fermo che il termine del saldo prezzo decorre dalla data in cui l’aggiudicatario acquisisce conoscenza della dichiarazione di aggiudicazione in suo favore, nella specie avvenuta all’atto dello stesso esperimento di vendita, celebrato con modalità non telematiche dal professionista delegato ed in presenza degli offerenti;
corretta è, pertanto, la pronuncia di decadenza dall’aggiudicazione confermata dalla sentenza impugnata, bastando a tal fine, in ipotesi di versamento rateale del saldo, il mancato pagamento di una sola rata entro dieci giorni dalla scadenza del termine (art. 587, primo comma, secondo periodo, cod. proc. civ.);
né, in senso contrario, giova invocare il principio di «buona fede», quest’ultima restando di certo esclusa, a tacer d’altro ed ove mai possa in astratto configurarsi nonostante la chiarezza ed univocità della disciplina normativa, per l’aggiudicatario sulla scorta dell’inequivoco tenore della comunicazione del professionista delegato, sopra trascritta sub (iv);
con il secondo motivo, rubricato « art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., in relazione a omessa considerazione dei casi similari documentati in giudizio », la ricorrente deduce l’esistenza di una prassi presso il Tribunale di Vicenza sulla non automatica definitività delle aggiudicazioni, siccome « oggetto di specifica successiva convalida del giudice dell’esecuzione » e ravvisa in tale prassi un fatto, non esaminato dalla sentenza, decisivo « riguardo al c.d. punto spese » poiché idoneo
a giustificare, per l’affidamento ingenerato, la compensazione delle spese dell’intero giudizio di opposizione;
il motivo è inammissibile;
a tacer della singolare intestazione (del tutto eccentrica rispetto alla previsione normativa richiamata, la quale si riferisce a fatti nella accezione storico-naturalistica, ovvero a concreto accadimento di vita, con esclusione di questioni o argomenti difensive, elementi istruttori o risultanze probatorie: Cass. 26/04/2022, n. 13024; Cass. 31/03/2022, n. 10525; Cass. 08/11/2019, n. 28887; Cass. 29/10/2018, n. 27415), la doglianza si risolve nel censurare la sentenza gravata per non aver disposto la compensazione delle spese di lite;
per fermo orientamento di nomofilachia, però, la facoltà di disporne la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l ‘ eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (sulle orme di Cass., Sez. U, 15/07/2005, n. 14989, cfr., tra le tantissime, Cass. 26/04/2019, n. 11329, nonché, da ultimo, Cass. 16/06/2024, n. 16662);
a ciò aggiungasi, per completezza argomentativa, che qualsivoglia prassi pretoria che – come quella che introducesse una disciplina contraria alla chiara ed univoca lettera della legge e, per di più, in materia di vendita giudiziaria – risulti contra legem o che importi la disapplicazione di norme giuridiche è inidonea (finanche quantunque effettivamente radicata) a determinare legittimi affidamenti negli utenti del servizio giustizia;
il ricorso è rigettato;
il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza;
r.g. n. 11006/2023 Cons. est. NOME COGNOME
attes o l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 3.600 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge;
a i sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione