Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1593 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
CHIERICI GIORGIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28540/2015 R.G. proposto da: COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentat e e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
MEDICI NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
-intimato –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 882/2015 depositata il 07/05/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME per la declaratoria di risoluzione del contratto di compravendita di un dipinto a olio su tela attribuito a NOME con richiesta di condanna del convenuto alla restituzione del prezzo pagato, pari a lire 55.000.000 oltre rivalutazione e interessi e al risarcimento dei danni.
L’attore assumeva che il dipinto non era stato realizzato da NOME, come invece era stato garantito dal venditore che gli aveva anche consegnato una expertise .
Il COGNOME si costituiva in giudizio e contestava la fondatezza della domanda, in subordine chiedeva di essere manlevato dal proprio dante causa, NOME COGNOME, titolare della galleria d’arte “RAGIONE_SOCIALE” che era chiamato in causa, ma rimaneva contumace. Dopo espletamento di CTU e successivo supplemento sull’autenticità del dipinto il giudizio proseguiva nei confronti della moglie e RAGIONE_SOCIALE figlie del convenuto nel frattempo deceduto.
Il Tribunale di Modena rigettava le domande del COGNOME e lo condannava al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza al quale resistevano le eredi COGNOME (restava contumace il COGNOME).
La Corte di Appello di Bologna rigettava l’appello degli originari attori in quanto infondato. Per quel che ancora rilevava, la Corte territoriale riteneva infondata la censura riguardante l’accertamento di autenticità dell’opera e, al riguardo, richiamava l’ expertise confermata al momento dell’acquisto dal gallerista francese NOME COGNOME, incaricato dallo stesso acquirente, nonché dal CTU. Secondo la Corte d’Appello la stessa RAGIONE_SOCIALE dell’appellante, con la comparsa conclusionale del primo grado, aveva preso atto dell’accertata autenticità e non aveva sollevato alcun rilievo.
La dichiarazione scritta di NOME COGNOME, esperto dei dipinti di NOME (secondo la quale l’opera, da lui visionata in foto sarebbe stata falsa) era priva di rilievo in quanto si riferiva ad un dipinto diverso (ancorché per alcuni tratti simile) sia per titolo che per dimensioni rispetto a quello oggetto di causa.
L’ulteriore documento, costituito dalla dichiarazione scritta attribuita al COGNOME nella quale si sarebbe affermato che l’attestazione di autenticità era falsa, era irrilevante trattandosi di dichiarazione a firma illeggibile e di non certa provenienza.
Il COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME, NOME e NOME COGNOME resistevano con controricorso mentre rimanevano intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Questa Corte con sentenza n. 9051 del 2012 accoglieva il ricorso cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna. In particolare, il collegio evidenziava la fondatezza della censura relativa alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto fondata sui risultati di una CTU
sulla quale, a dire del ricorrente, il giudice non poteva riporre alcun affidamento per i suoi contenuti, oltre che per la totale mancanza di competenza dell’ausiliare. Il giudice di appello, infatti, nel motivare la propria decisione, aveva fatto riferimento anche alla CTU i cui esiti erano stati, quindi, utilizzati e considerati rilevanti dalla Corte di Appello per la decisione.
Il ricorrente aveva dedotto, quale motivo di appello sia l’incongruità della scelta di un geometra edile per la perizia su un quadro, sia l’omesso espletamento dell’incarico da parte del CTU al quale era stato chiesto di esaminare il dipinto e di riferire se corrispondesse a quello ceduto e consegnato da COGNOME a COGNOME e se fosse autentico.
Il consulente non aveva svolto alcuna autonoma indagine, ma si era limitato a richiamare l’autorevolezza del COGNOME (apparente autore dell’expertise) e, quindi, l’attendibilità della sua expertise (sulla cui autenticità era stata sollevata contestazione).
Appariva del tutto evidente come, di fronte alla gravità e rilevanza di tali contestazioni, formalizzate in uno specifico motivo di appello (corredato di richiesta di prova testimoniale sull’autenticità dell’ expertise del COGNOME), la Corte territoriale non avrebbe potuto fondare il proprio convincimento anche sulla CTU senza dare risposta alle specifiche censure (accompagnate da richiesta di rinnovo della CTU) sollevate con il motivo di appello e che erano astrattamente idonee a far ritenere sostanzialmente priva di motivazione la conclusione di autenticità del dipinto in quanto (secondo le deduzioni dell’appellante) non fondata su autonomi accertamenti, ma semplicemente sul richiamo ad un documento già in atti e contestato quanto all’autenticità (l’ expertise
del COGNOME). In tal senso non poteva neppure sostenersi che il CTU avesse prodotto una consulenza, non potendosi considerare tale semplice e acritica ricognizione dell’autorevolezza dell’ expertise .
L’affermazione secondo la quale il CTU aveva visionato il dipinto e operato verifiche per stabilire le caratteristiche dell’opera era priva di riferimenti alle verifiche eseguite, a fronte di una specifica censura di mancanza di accertamenti che, effettivamente non risultavano compiuti né in merito all’autenticità dell’expertise (non risultando sentito come testimone, il suo autore), né in merito alle caratteristiche intrinseche del quadro (ovviamente, previa valutazione, quanto alla datazione, della utilità dell’accertamento tenuto conto della data, abbastanza ravvicinata, di realizzazione del quadro, ma di ciò non v’è cenno in motivazione), né presso la RAGIONE_SOCIALE, né in merito alle vicende circolatorie del dipinto, ossia alla sua “storia”.
Con atto di citazione in riassunzione NOME COGNOME riassumeva la causa.
Si costituivano NOME, NOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto RAGIONE_SOCIALE domande.
Si costituiva anche NOME COGNOME chiedendo il rigetto della domanda.
La C orte d’ Appello di Bologna, espletata consulenza tecnica di ufficio relativa all’autenticità del dipinto, dichiarava risolto il contratto e condannava NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME a restituire a NOME COGNOME la somma di euro 28.405,13 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo. Condannava inoltre le medesime a restituire a NOME COGNOME la somma di euro 16.360 oltre interessi dalla data dell’eseguito pagamento al saldo.
La Corte rigettava invece la domanda di manleva svolta nei confronti di NOME.
La decisione si fondava sulle risultanze della consulenza tecnica compiuta dal perito d’arte per il Tribunale della Camera di Commercio di Bologna. Da tale consulenza emergeva il convincimento che il dipinto oggetto di vendita non fosse attribuibile al pittore spagnolo NOME ma solo un’imitazione di un dipinto di tale pittore.
Il CTU in esito agli accertamenti eseguiti presso l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in Parigi aveva appurato che il dipinto periziato era un falso che riproduceva un’opera di NOME che si trovava presso la galleria d’arte in Londra e che non era mai arrivata in Italia. Il CTU aveva anche accertato che il dipinto corrispondeva esattamente a quello rappresentato nell’ expertise a firma NOME COGNOME che pure era falsa. L’e xpertise era stato riconosciuto dal testimone NOME COGNOME il quale era presente alla compravendita. Questi aveva dichiarato che il dipinto era accompagnato da un certificato di autenticità che appunto aveva riconosciuto. Risultava provato pertanto che al momento della vendita era stato consegnato unitamente al dipinto l’expertise in atti e tale documento per la sua funzione lasciava ritenere che il dipinto consegnato fosse quello di cui a tale fotografia. Non avrebbe avuto alcun senso che il COGNOME acquistasse un quadro munito di un’autentica relativa ad un altro quadro. Pertanto, essendo il dipinto periziato dal consulente esattamente corrispondente a quello rappresentato in foto nell’autentica , che pure era falsa, ne conseguiva che il dipinto consegnato all’acquirente COGNOME era quello oggetto di perizia.
In altre parole, il COGNOME aveva consegnato un dipinto falso, munito di un’autentica falsa che costituiva una copia di un dipinto del pittore NOME che si trovava a Londra e che non era mai entrata in Italia. Non rilevavano in senso opposto gli argomenti spesi dalle convenute secondo cui l’opera indicata in perizia era identificata con il titolo ‘ Femme et Oiseau ‘ , mentre invece quella di cui all’ expertise era senza titolo. Infatti, il suddetto titolo secondo il CTU era stato attribuito successivamente. Allo stesso modo il fatto che sul quadro periziato fosse presente un numero di telefono uguale a quelli in uso al tempo della compravendita non provava che al tempo in cui il quadro originario era stato dipinto il sistema dei numeri telefonici fosse diverso quello vigente. La non corrispondenza RAGIONE_SOCIALE misure dei due quadri non poteva ritenersi provata dalla diversità RAGIONE_SOCIALE misure indicate, in uno 50 x 35, e nell’altro 35 x 50, non essendoci alcuna regola circa il fatto che dovesse essere indicata prima la larghezza e poi l’altezza.
In conclusione, la consegna di un’opera pittorica falsa integrava la vendita di aliud pro alio e dava luogo alla risoluzione del contratto con conseguente obbligo alla restituzione di quanto corrisposto a titolo di prezzo, con gli interessi legali dalla domanda al saldo. Non poteva invece trovare accoglimento la domanda risarcitoria volta ad ottenere la differenza del prezzo dell’attuale valore del quadro qualora fosse stato autentico non avendo parte attrice fornito alcun elemento a supporto di tale domanda.
NOME, NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
14. NOME COGNOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 61, 62, 194, 115 (precedente formulazione) c.p.c. e 101, 2697 c.c. per aver erroneamente considerato comprovate, mediante le risultanze della CTU, circostanze rimaste sostanzialmente dimostrate, poste a base della sentenza in questa sede impugnata, relative all’asserita falsità del dipinto compravenduto e dell’ expertise posto a suo corredo.
La sentenza impugnata si baserebbe essenzialmente su due elementi mutuati dalle affermazioni provenienti dal consulente ed in particolare che il dipinto periziato sarebbe stato contraffatto secondo quanto appreso dallo stesso CTU a seguito di informazioni assunte presso l’RAGIONE_SOCIALE e che anche l’ expertise sarebbe un falso e l’opera falsa sarebbe quella corrispondente a quella rappresentata nell ‘ expertise. A fronte di tale argomentazione, il ricorrente censura la violazione RAGIONE_SOCIALE norme sull’onere di probatorio , non essendovi sufficienti elementi circa il fatto che la dichiarazione datata 20 gennaio 2003 provenisse effettivamente dal menzionato COGNOME. Non risulterebbe verificato in alcun modo se le dichiarazioni provenissero effettivamente da costui mentre ad esse è stata attribuita una grandissima rilevanza probatoria svalutando del tutto quella contenuta nell’ expertise peraltro riconosciuta genuina dal medesimo COGNOME nella propria comparsa conclusionale. Ciò a parere del ricorrente configurerebbe una non corretta applicazione RAGIONE_SOCIALE norme che impongono alle parti di assolvere al loro onere probatorio.
Ric. 2015 n. 28540 sez. S2 – ud. 13/12/2023
Inoltre, vi sarebbe un altro vizio di falsa o errata applicazione di legge in riferimento alla normativa RAGIONE_SOCIALE prove non essendo chiaro in alcun modo in quali circostanze di tempo di luogo sarebbero state assunte le informazioni dell ‘RAGIONE_SOCIALE. Dunque, quanto affermato dal consulente sarebbe del tutto apodittico o quantomeno generico.
D’altra parte , la consulenza non è un mezzo istruttorio in senso proprio e non può esonerare la parte dal fornire la prova di quanto dedotto. Mancherebbe anche l’assunzione della prova mediante la testimonianza diretta di colui che aveva la paternità dello scritto. Peraltro, non essendo stata fornita la prova della falsità dell’ expertise non assumerebbe alcuna rilevanza il fatto che la fotografia ad esso acclusa rappresenti un’opera analoga a quell’esib ita dal CTU e oggetto RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali. Tra i due esemplari possono esistere RAGIONE_SOCIALE evidenti similitudini ma ciò non implica necessariamente che quanto esibito sia proprio l’oggetto della compravendita avvenuta trent’anni prima in quanto il COGNOME avrebbe benissimo potuto sostituire a suo piacimento il quadro che è sempre stato nella sua disponibilità. Peraltro, la stessa dichiarazione di disconoscimento dell’ expertise, anche a volerla ritenere valida, non sarebbe sufficiente a dimostrare che il quadro era lo stesso di quello sottoposto all’analisi del consulente. Infatti , avrebbe eventualmente solo la prova che la dichiarazione contenuta nell’ expertise non si riferisce a quanto raffigurato nella foto ad esso allegata perché l’esperto ha solo riferito di non aver mai visto l’opera riprodotta nella fotografia a tergo dell’ expertise medesimo ma non ha mai affermato che il dipinto fotoprodotto costituisca un falso.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto storico con valore di decisività relativo alla differenza ontologica tra il dipinto a suo tempo compravenduto e quello oggetto dell’esame peritale.
La censura ha ad oggetto il rapporto tra il quadro oggetto della perizia e quello denominato feme et oiseau . I due quadri, uno senza titolo l’altro con titolo, sarebbero del tutto diversi per dimensioni e raffigurazioni, anche se in qualche modo similari. Di conseguenza l’enunciazione espressa dal consulente che il dipinto non era mai transitato in Italia all’epoca della sua alienazione o precedentemente non avrebbero alcuna rilevanza ai fini della prova della falsità del quadro semplicemente per il fatto che il dipinto cui il CTU ha fatto riferimento è altro rispetto a quello venduto al COGNOME. A riprova di ciò vi sarebbe anche il numero di telefono impresso sul retro del quadro.
In conclusione, secondo i ricorrenti, quello esaminato dal CTU non sarebbe il quadro oggetto della compravendita.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un ulteriore fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti attinente alla profonda contraddizione tra quanto accertato dal consulente tecnico di parte al momento della compravendita e quanto dallo stesso asserito nel corso RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali del 18 novembre 2013.
La censura si fonda su parte RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del teste COGNOME rese nel corso del primo giudizio davanti al Tribunale che non sarebbero state in alcun modo considerate e riguardanti l’esame del quadro da parte di COGNOME COGNOME mmento della vendita. Anche questa circostanza, a parere dei ricorrenti, comproverebbe
la non identità tra il quadro venduto e quello oggetto dell’ultima perizia.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo concernente la sussistenza della missiva a conferma dell’autenticità dell’ expertise posto a corredo del quadro compravenduto e omesso esame di fatti storici e cioè RAGIONE_SOCIALE plurime condotte processuali della parte acquirente le cui reiterazioni dovrebbero fare assumere alle stesse valore di decisività.
La censura è in parte ripetitiva RAGIONE_SOCIALE precedenti con riferimento alle dichiarazioni del COGNOME circa l’esistenza di una missiva proveniente da COGNOME che certificava l’autenticità del documento e confermata dalle dichiarazioni del teste COGNOME. Tale lettera non sarebbe stata prodotta in giudizio dal COGNOME nonostante l’ordine del giudice, non potendosi confondere con il documento n. 5 corrispondente all’expertise. Tale lettera confermerebbe l’autenticità sia dell’expertise che del dipinto come affermato da uno dei massimi esperti mentre la dichiarazione di falsità del medesimo expertise successiva sarebbe o proveniente da altra persona o relativa ad altra opera.
I quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Le censure proposte, infatti, mirano tutte a confutare l’accertamento del consulente tecnico circa la falsità dell’opera oggetto del contratto di compravendita intercorso tra le parti.
Con il primo motivo si deduce anche la violazione RAGIONE_SOCIALE norme che regolano l’onere probatorio, spettando ai compratori la prova
della falsità dell’opera, prova che sarebbe stata erroneamente fornita solo a mezzo della consulenza tecnica.
Risulta evidente l’inammissibilità di tale censura, in quanto la consulenza tecnica è stata disposta all’esito del giudizio di cassazione che ha rinviato la causa alla Corte d’Appello proprio in relazione alla insussistenza della precedente consulenza tecnica sull’originalità del dipinto in oggetto.
La questione della violazione dell’onere probatorio, pertanto, è inammissibile, in quanto nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Sez. 2 – , Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023, Rv. 668914 – 01).
Inoltre deve ribadirsi che La cessione di un’opera d’arte falsamente attribuita ad artista che, in realtà, non ne è stato l’autore costituisce un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” e legittima l’acquirente a richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore ex art. 1453 c.c. (Sez. 2 – , Sentenza n. 30713 del 27/11/2018, Rv. 651530 – 01). In tal caso di vendita di un’opera d’arte falsamente attribuita ad un determinato autore
deve richiamarsi il principio secondo il quale nel caso della contestazione da parte del compratore è onere del venditore di provare l’autenticità del bene venduto. Si è infatti detto che: « In tema di compravendita, si ha consegna di “aliud pro alio” qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto, appartenendo ad un genere differente, si riveli funzionalmente inidoneo ad assolvere la destinazione economicosociale della “res” venduta; pertanto, ove l’oggetto della prestazione del venditore sia connotato da peculiari qualità individuanti (nella specie, “poltrone del periodo Luigi XVI, genovesi autentiche”), a fronte della contestazione dell’acquirente circa la difformità fra quanto pattuito e quanto consegnatogli, deve essere il venditore a dimostrare l’appartenenza dell’oggetto alla particolare species convenuta (Sez. 2, Sentenza n. 7557 del 23/03/2017, Rv. 645849 – 01).
5.1 Le restanti censure sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha esaminato il fatto storico oggetto di discussione tra le parti relativo alla non identità del quadro oggetto della perizia con quello oggetto della compravendita, anche tenuto conto del lungo lasso di tempo trascorso e ha motivatamente concluso che il quadro fosse lo stesso. Sicché il fatto storico denunciato come omesso è stato invece valutato dalla Corte d’Appello, inoltre deve evidenziarsi come i ricorrenti in realtà lamentino la mancanza di prova circa l’identità del quadro e anche sotto questo profilo la censura è inammissibile attingendo a valutazioni di fatto sul materiale probatorio che non sono ammissibili nel giudizio di legittimità a meno che non si lamenti che il giudice abbia del tutto ‘travisato’ la prova .
Lo stesso deve dirsi quanto alla denuncia di omesso esame di un fatto decisivo veicolata con il terzo e quarto motivo di ricorso, concernente le dichiarazioni del teste COGNOME, la presunta contraddizione tra quanto accertato da COGNOME al momento della compravendita e quanto dallo stesso asserito nel corso RAGIONE_SOCIALE operazioni peritali del 18 novembre 2013 e la sussistenza di una missiva di COGNOME a conferma dell’autenticità dell’expertise posto a corredo del quadro compravenduto oltre all’omesso esame di fatti storici e cioè RAGIONE_SOCIALE plurime condotte processuali della parte acquirente le cui reiterazioni dovrebbero fare assumere alle stesse valore di decisività. Anche in questo caso la Corte d’Appello ha sostanzialmente preso in esame tutte le circostanze indicate nei motivi e sulla base di una valutazione complessiva del materiale probatorio a sua disposizione anche mediante il supporto della ctu ha ritenuto falso tanto il quadro quanto l’expertise.
In realtà tutte le censure si risolvono in una inammissibile contestazione della valutazione di fatti e circostanze discussi tra le parti nel corso del giudizio al fine di ritenere non provata la falsità dell’opera compravenduta e dell’expertise che la accompagnava . In sostanza si deduce l’erroneità RAGIONE_SOCIALE conclusioni cui è pervenuto il CTU e che il giudice del merito ha fatto proprie. Pertanto, una volta precisato che l a Corte d’Appello ha motivato anche in ordine ai fatti e le circostanze dedotte come omesse e decisive e che «L’esame dei documenti esibiti e RAGIONE_SOCIALE deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e RAGIONE_SOCIALE risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata». (Sez. 1, Sent n. 16056 del 2016).
D’altra parte , la Corte d’Appello ha eseguito il dictum di questa Corte in occasione della cassazione con rinvio e ha svolto una consulenza tecnica dalla quale , dopo un’approfondita indagine, è emersa la falsità del dipinto. La tesi del ricorrente circa la non identità tra il dipinto periziato e quello a suo tempo venduto non ha alcun elemento a sostegno. Tutte le argomentazioni tendono ad affermare che poiché il quadro venduto era vero e quello periziato è falso non vi può essere identità tra i due.
La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, sicché le censure proposte mirano ad una impropria revisione del giudizio di fatto precluso in sede di legittimità. Come si è detto la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato
il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).
Il ricorso è rigettato.
Non deve procedersi ad alcuna liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità perché l’unico controricorrente costituito in giudizio è NOME COGNOME la cui posizione di estraneità è stata accertata già in relazione al primo giudizio di appello non essendo stata riproposta dal COGNOME la domanda di manleva, sicché la notifica del presente ricorso è stata una mera litis denuntiatio .
Deve ribadirsi, infatti, che: In tema di liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali, ove venga proposto ricorso contro una sentenza pronunciata tra più parti in cause scindibili ed il ricorrente risulti soccombente, sono irripetibili le spese sostenute dal controricorrente al quale sia stato notificato il ricorso al mero scopo di litis denuntiatio , non essendo questi contraddittore del ricorrente e rimanendo indifferente all’esito della lite (Sez. 2, Ord. n. 8491 2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione