Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5667 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5667 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 227/2018 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in proprio ed in qualità di capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE costituita con l’A.RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, l’A.RAGIONE_SOCIALE, il PROF NOME COGNOME e l’RAGIONE_SOCIALE e SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE
-intimate – avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 103/17, depositata il 17 gennaio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice dei lavori di restauro, consolidamento e adeguamento di INDIRIZZO di Vercelli, convenne in giudizio la Regione Piemonte, in qualità di committente, per sentirla condannare al pagamento degl’importi di cui alle riserve formulate nel corso dei lavori e confermate nello stato finale.
Premesso che nel contratto di appalto, stipulato il 24 febbraio 2003, era stato pattuito un termine di settecentotrenta giorni per l’ultimazione dei lavori, l’attrice riferì che, a causa di errori e gravi carenze progettuali emersi nel corso della realizzazione dell’opera ed imputabili alla Regione, si era resa necessaria l’approvazione di due perizie di variante, che avevano imposto ripetute proroghe del predetto termine, dapprima di centoventi giorni, ed in seguito di novanta e settanta giorni; ciò nonostante, nello stato finale l’Amministrazione aveva detratto dal corrispettivo l’importo della penale dovuta per il ritardo nella consegna dell’opera, avendo fatto riferimento al termine per l’ultimazione dei lavori risultante dalla seconda proroga.
Si costituì la Regione, e resistette alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al pagamento della penale ed al risarcimento dei danni cagionati da furti avvenuti nel cantiere e dall’impossibilità di utilizzare i locali del Palazzo a causa del ritardo nell’esecuzione dei lavori.
Su istanza della Regione, fu autorizzata la chiamata in causa dell’RAGIONE_SOCIALE, in proprio ed in qualità di mandataria dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE costituita con l’RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE
Architettura, Ingegneria, Urbanistica, del Prof. NOME COGNOME e dell’RAGIONE_SOCIALE, progettista e direttrice dei lavori, la quale si costituì in giudizio, resistendo alla domanda di manleva proposta nei suoi confronti, e chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento che nei rapporti interni la sua quota era nulla.
Su istanza dell’A&A, fu inoltre autorizzata la chiamata in causa della Società Reale Mutua di RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE che rimase contumace.
1.1. Con sentenza del 19 dicembre 2011, il Tribunale di Torino a) accolse parzialmente la domanda principale e quella riconvenzionale, addebitando il ritardo nell’ultimazione dell’opera in pari misura alla Regione ed alla RAGIONE_SOCIALE e condannando quest’ultima al pagamento in favore della prima della somma di Euro 103.964,37, oltre interessi, a titolo di differenza tra l’importo complessivo dei lavori eseguiti e delle riserve accolte e quello della penale e degli acconti percepiti, b) rigettò la domanda di risarcimento dei danni cagionati dai furti e dalla mancata utilizzazione dei locali, c) accolse la domanda di manleva proposta dalla Regione nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, condannando quest’ultima al pagamento della somma di Euro 30.095,95, pari ad un terzo del risarcimento dei danni dovuto all’attrice per gli errori e le carenze progettuali, d) dichiarò inammissibile la domanda di manleva proposta dalla Regione nei confronti delle imprese mandanti dell’ATI, e) accolse la domanda di manleva proposta dall’A&A nei confronti della Reale Mutua, condannando quest’ultima a tenere indenne la prima delle somme da corrispondere alla Regione.
2. L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Torino, che con sentenza del 17 gennaio 2017 ha parzialmente accolto anche gli appelli incidentali proposti dalla Regione e dall’A&A, a) condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della Regione dell’ulteriore somma di Euro 128.950,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni cagionati dai furti, e b) l’A&A alla restituzione in favore della Reale Mutua della somma di Euro 5.132,39, oltre interessi, a titolo di franchigia a carico dell’assicurata, nonché c) accertando l’obbligo della Reale Mutua di tenere indenne l’A&A di tutte le somme dovute alla Regione a titolo di spese processuali.
A fondamento della decisione, la Corte ha rigettato l’eccezione di estinzione del giudizio di appello, per tardiva notificazione dell’atto d’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’A&A, ritenendo applicabile l’art. 332 cod. proc. civ., in virtù della domanda di garanzia impropria proposta nei confronti della terza chiamata in causa, e rilevando che la notificazione, richiesta tempestivamente, si era perfezionata tardivamente a causa del trasferimento della sede della destinataria, la quale aveva sanato la nullità derivante dall’inosservanza del termine di comparizione, essendosi tempestivamente costituita in giudizio ed avendo proposto appello incidentale. Ha ritenuto altresì infondata l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, rilevando che dalle conclusioni formulate dall’appellante emergeva implicitamente la volontà di ottenere la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva detratto dall’importo delle riserve quello dovuto a titolo di penale.
Nel merito, la Corte ha escluso la decadenza dell’attrice dalle riserve, rilevando che l’atto di citazione era stato notificato entro il termine di cui all’art. 33, comma primo, del d.m. 19 aprile 2000, n. 145, decorrente dal ricevimento della comunicazione delle determinazioni assunte dalla committente in base alla proposta del responsabile unico del procedimento. Ha ritenuto condivisibili le conclusioni del c.t.u., che, dopo aver individuato gli errori progettuali, i fatti sopravvenuti nel corso dei lavori e le carenze dell’impresa, aveva dato atto dell’impossibilità di stabilire un nesso causale tra le singole circostanze ed il ritardo accumulato, addebitando i ritardi per il 50% all’impresa e per il restante 50% a situazioni particolari impreviste; rilevato inoltre che il c.t.u. aveva contenuto nel 10% dell’importo dell’appalto il ritardo a carico dell’impresa, ha escluso l’interesse della stessa a contestare la base di calcolo utilizzata per la determinazione della penale e per la liquidazione del danno, mentre ha attribuito il ritardo imputabile alla committente per un terzo a carenze progettuali e per due terzi a fatti sopravvenuti ed imprevedibili, rilevando che alle conclusioni del c.t.u. le parti non avevano contrapposto un ragionevole criterio alternativo. Premesso inoltre che l’opera commissionata era unica ed il ritardo si era manifestato subito ed era rimasto costante per tutta l’esecuzione dei lavori, ha escluso la possibilità di far decorrere il termine
per l’ultimazione dall’approvazione della seconda variante, anziché dalla scadenza del termine concesso a seguito della prima, osservando che le varianti non configurano autonomi rapporti contrattuali, ma patti aggiunti al contratto originario, aggiungendo che gl’interventi previsti dalla seconda variante costituivano opere indispensabili per il completamento dell’edificio, e precisando che l’impresa non aveva richiesto alcuna sospensione né formulato riserve al riguardo, né dimostrato che l’opera fosse già ultimata al completamento dei lavori previsti dalla prima variante.
La Corte ha ritenuto poi provato il danno cagionato dai furti, dando atto dell’avvenuta produzione di fotografie che riproducevano dipinti ad olio trafugati da ignoti nel corso dei lavori, e ritenendo ragionevole, in mancanza degli originali, la stima compiuta sulla base delle stesse, confermata dalla prova per testi dedotta in giudizio. Ha precisato che il relativo importo era già al netto di quello che la Regione aveva ricevuto dall’assicurazione a tutela dei propri immobili, affermando invece che, in quanto riconducibile al ritardo dell’appaltatrice, il danno cagionato dalla mancata utilizzazione dell’edificio doveva ritenersi compreso in quello forfettariamente liquidato in via preventiva mediante la pattuizione della penale, non avendo la Regione allegato un danno diverso o maggiore.
Ha confermato infine la fondatezza della domanda di manleva proposta dall’A&A nei confronti della Reale Mutua, fatta eccezione per l’importo della franchigia a carico dell’assicurata, dando atto della produzione in giudizio della polizza di assicurazione della responsabilità civile per i danni causati a terzi nell’esercizio dell’attività professionale e dell’ulteriore polizza stipulata in riferimento alla specifica progettazione di INDIRIZZO, da cui risultava che la copertura assicurativa si estendeva alle perdite pecuniarie derivanti da attività diverse dalla progettazione e direzione dei lavori, ma rientranti tra quelle di competenza dell’assicurata.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, per sette motivi, illustrati anche con memoria. La Regione Piemonte ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. Le altre intimate non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4 e 156 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata per apparenza, illogicità e incomprensibilità della motivazione, nella parte in cui, pur avendo ancorato la decorrenza del termine per l’ultimazione dei lavori all’approvazione della seconda perizia di variante, ha ritenuto legittima l’applicazione della penale. Premesso che, come rilevato dalla Corte d’appello, la variante aveva ad oggetto opere indispensabili per il completamento dell’edificio e prive di autonomia, sostiene che, avuto riguardo anche all’unità e inscindibilità dell’opera commissionata, prima dell’approvazione della variante non era individuabile un termine per l’ultimazione dei lavori.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218, 1375 e 1382 cod. civ., dell’art. 134 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e dell’art. 10 del d.m. n. 145 del 2000, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto legittima l’applicazione della penale, nonostante l’insussistenza di un ritardo giuridicamente apprezzabile ed imputabile ad essa appaltatrice. Premesso infatti che le perizie di variante, rese necessarie da carenze ed errori progettuali, avevano comportato lo stravolgimento del programma iniziale dei lavori e dell’organizzazione del cantiere, sostiene che, ai sensi dell’art. 134 cit. e dell’art. 43 del capitolato speciale d’appalto, prima dell’approvazione le stesse dovevano considerarsi inefficaci ed i relativi lavori non potevano essere eseguiti. Aggiunge che, nell’evidenziare la mancata sospensione dei lavori, la Corte territoriale ha posto ingiustificatamente a suo carico le conseguenze di carenze ed errori progettuali imputabili alla committente, che essa appaltatrice ha tentato di circoscrivere, mediante un comportamento improntato a correttezza e buona fede. Ribadito inoltre che prima dell’approvazione della seconda perizia di variante non era individuabile alcun termine per l’ultimazione dei lavori, non essendo essa ricorrente obbligata a proseguirli e non essendo consentita una consegna frazionata dell’opera, afferma che, in quanto accompagnata dalla concessione di una proroga del termine, puntualmente rispettato, l’approvazione della pre-
detta perizia escludeva la sussistenza di un ritardo giuridicamente apprezzabile. Contesta infine la possibilità di ancorare la decorrenza del termine di ultimazione dei lavori alla scadenza della proroga concessa con l’approvazione della prima perizia di variante, sostenendo che prima dell’approvazione della seconda non potevano essere eseguiti né i lavori dalla stessa previsti né le altre lavorazioni, con il conseguente rallentamento dell’intera attività di cantiere.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218 e 1382 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo escluso la possibilità d’individuare un nesso causale tra le circostanze accertate ed il ritardo nell’ultimazione dei lavori, ha addebitato quest’ultimo ad entrambe le parti in eguale misura. Premesso infatti che, ai fini dell’imputabilità di un evento dannoso a un determinato soggetto, è necessaria una relazione probabilistica concreta con il comportamento dallo stesso tenuto, rileva che nella specie la redazione delle perizie di variante era stata resa necessaria da errori e carenze progettuali addebitabili all’RAGIONE_SOCIALE, la quale era stata condannata a tenere indenne la Regione del danno cagionato dalla parte del ritardo ad essa imputabile.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 1218, 1375 e 1382 cod. civ., sostenendo che la ritenuta legittimità della penale applicata si pone in contrasto con il principio operante in tema di appalto, secondo cui la richiesta di notevoli variazioni del progetto originario comporta il superamento del termine di consegna concordato e della penale pattuita per il ritardo. Premesso di aver fatto valere, in occasione dell’approvazione della prima perizia di variante, l’inadeguatezza della proroga concessa, contestata anche mediante la formulazione di riserve, sostiene che, ai fini dell’accertamento della legittimità della penale, la sentenza impugnata avrebbe dovuto valutare l’entità e la portata delle opere aggiuntive richieste, le quali avevano comportato una consistente variazione del programma iniziale, con un incremento dell’importo dei lavori pari a circa il 17% del totale. Aggiunge che, in quanto collegata al termine fissato dalle parti, la penale non può trovare applicazione in caso di modificazione del programma dei lavori, la quale impone la fissazione di un nuovo termine, nella specie mai
concordato.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ribadendo le considerazioni svolte nel quarto motivo, riproduttive di argomentazioni svolte nella comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello.
Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 1384 cod. civ., rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine alla richiesta di riduzione della penale da essa avanzata nelle conclusioni rassegnate in primo grado e riproposta nell’atto di appello. Premesso che la riduzione può essere disposta anche d’ufficio, ove la penale risulti manifestamente eccessiva, osserva che la Corte territoriale non ha tenuto conto del concorso di colpa della Regione né della circostanza che alla data da cui era stato calcolato il ritardo risultava ultimata la maggior parte delle opere.
Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115, 156, 159, 161, 162 e 244 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della dimostrazione del danno cagionato dai furti perpetrati nel corso dei lavori, ha ritenuto ammissibile la prova testimoniale dedotta dalla Regione. Premesso che la somma richiesta dalla Regione risultava sproporzionata rispetto al valore dei dipinti, consistenti in elementi decorativi privi di particolare pregio artistico ed in stato di abbandono, osserva che, in mancanza degli originali, la prova del danno era stata fornita mediante una perizia di parte espletata sulla base di semplici fotografie, la cui conferma da parte del perito, escusso come testimone, aveva comportato l’affidamento allo stesso di un giudizio di natura tecnica, che avrebbe dovuto essere demandato ad un c.t.u., sulla base d’indagini svolte in contraddittorio tra le parti. Aggiunge che dalle stesse dichiarazioni del teste era emersa l’inattendibilità della valutazione, compiuta sulla base di fotografie poco visibili e riguardanti soltanto una parte dei dipinti, e comunque non aggiornata ai valori correnti sul mercato.
I primi cinque motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riguardanti, sotto profili diversi, l’imputabilità del ritardo nell’esecuzione dei lavori, ai fini dell’applicazione della penale prevista dal contratto d’appalto, sono fon-
dati.
E’ infatti pacifico che il termine per l’ultimazione dei lavori, originariamente fissato in 730 giorni dalla consegna dei lavori, avvenuta il 14 marzo 2003 (e quindi al 14 marzo 2005), fu prorogato dapprima di 120 giorni (al 12 luglio 2005) in sede di approvazione della prima perizia di variante, avvenuta l’11 marzo 2005, e poi di altri 90 giorni (al 10 ottobre 2005) dal responsabile del procedimento, su richiesta dell’appaltatrice; l’8 agosto 2006 (cioè quando il predetto termine era già scaduto da circa dieci mesi, ma l’opera non era stata ancora ultimata) fu approvata una seconda perizia di variante, a seguito della quale fu accordato un nuovo termine di 70 giorni; l’opera fu ultimata il 30 agosto 2006 ed il certificato di ultimazione fu redatto il 7 settembre 2006, quindi entro il termine fissato in sede di approvazione della seconda perizia di variante (ovverosia il 17 ottobre 2006), ma in ritardo di 302 giorni rispetto al tempo di 1.010 giorni complessivamente concesso all’impresa.
Sulla base di tale premessa, la questione di diritto sottoposta all’esame di questa Corte consiste essenzialmente nello stabilire se, nel caso di approvazione di una perizia di variante, con contestuale fissazione di un nuovo termine per l’ultimazione dei lavori, intervenuta a distanza di tempo dalla scadenza di quello previsto dal contratto di appalto, così come prorogato in occasione dell’approvazione di una precedente perizia di variante, il nuovo termine per l’ultimazione dei lavori debba essere fatto decorrere dalla data di scadenza dell’ultima proroga o da quella di approvazione della seconda perizia di variante, anche se prima di quest’ultima non sia stata disposta la sospensione dei lavori.
La sentenza impugnata ha risolto la questione in senso favorevole alla Regione, rilevando che a) l’opera commissionata era unica, non segmentata, né segmentabile, b) la possibilità di varianti in corso d’opera era prevista fin dall’inizio, trattandosi di un edificio d’interesse storico e sottoposto a vincolo, c) le varianti non danno luogo ad autonomi rapporti contrattuali, configurandosi come patti aggiunti al contratto originario, d) gli interventi previsti dalla seconda variante risultavano privi di autonomia ed indispensabili per il completamento dell’edificio, e) non era stata disposta la sospensione dei lavori, non richiesta dall’appaltatrice, la quale non aveva formulato neppure riserve
al riguardo, f) non era stato dimostrato che l’opera fosse stata già ultimata alla data di completamento dei lavori previsti dalla prima variante.
Tale ricostruzione dei fatti, che pone l’accento sull’unicità e la continuità del rapporto contrattuale e sulla prevedibilità delle varianti, in relazione all’oggetto dell’intervento di riqualificazione, per riaffermare, in sostanza, l’obbligo dell’impresa di rispettare rigorosamente il cronoprogramma dei lavori, senza potersi avvalere del tempo intercorso tra la scadenza della prima proroga e l’approvazione della seconda perizia di variante per recuperare il ritardo accumulato, incorre peraltro in contraddizione in riferimento ad alcuni aspetti essenziali della vicenda, costituiti in particolare dalla ripetuta modificazione del piano dei lavori, a seguito dell’introduzione delle varianti, dai fatti che ne resero necessaria l’approvazione, non imputabili all’impresa, e dal notevole lasso di tempo intercorso tra la scadenza della prima proroga e l’approvazione della seconda perizia. Se è vero, infatti, che, come accertato dalla sentenza impugnata, i lavori subirono ritardi fin dall’inizio e non risultavano ultimati alla scadenza della prima proroga, e ciò essenzialmente a causa della disorganizzazione dell’impresa e dell’impiego di forza lavoro in quantità insufficiente, è anche vero, però, che, per quanto risulta dalla medesima sentenza, non fu a causa di tali ritardi che si manifestò la necessità delle varianti, le quali, d’altronde, ancorché previste fin dall’origine, furono imposte non solo dalla sopravvenienza di fatti indipendenti dalla volontà delle parti (quali il rinvenimento di reperti archeologici e l’entrata in vigore della nuova normativa in materia di ascensori), ma anche da errori addebitabili all’ATI cui la Regione aveva affidato la progettazione dell’opera, e non avevano ad oggetto opere ulteriori, estranee al progetto originario e volte a migliorarne l’aspetto e la fruibilità, ma opere definite dalla stessa Corte territoriale «indispensabili al completamento dell’edificio e prive di una propria autonomia».
Al di là di tali rilievi, particolarmente significativi ai fini della valutazione complessiva della vicenda contrattuale, va richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza in tema di appalto, secondo cui la richiesta di notevoli ed importanti variazioni del progetto, avanzata dal committente nel corso della realizzazione dell’opera, si traduce in un mutamento dell’originario piano dei lavori, che comporta la sostituzione consensuale del regolamento
contrattuale, con il venir meno del termine pattuito per la consegna dell’opera (cfr. Cass., Sez. II, 7/05/2024, n. 12396; 2/04/2019, n. 9152; 26/03/2019, n. 8405). Alla stregua di tale principio, la Corte territoriale avrebbe dovuto chiedersi se alla scadenza della prima proroga il termine per l’ultimazione dei lavori risultasse ormai superato, per effetto del comportamento della stessa committente, che era in procinto di adottare una nuova perizia di variante, o se comunque tale superamento costituisse una conseguenza della fissazione di un nuovo termine, intervenuta a notevole distanza di tempo dalla scadenza del precedente, senza che nel frattempo fosse stata disposta la sospensione dei lavori né fosse stato adottato alcun provvedimento nei confronti dell’impresa, che non aveva ancora ultimato i lavori previsti dal progetto originario, così come modificato dalla prima perizia di variante. Non può infatti condividersi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui incombeva all’appaltatrice l’onere di sollecitare la sospensione dei lavori o d’invitare la committente a prendere in consegna l’opera, nello stato in cui si trovava all’esito dei lavori previsti dalla prima perizia di variante: ai sensi dell’art. 133 del d.P.R. n. 554 del 1999, il potere di sospendere i lavori spetta al direttore o al responsabile del procedimento, che possono avvalersene rispettivamente a fronte di «circostanze speciali» che impediscano in via temporanea la prosecuzione dei lavori a regola d’arte, o per ragioni di pubblico interesse o necessità, la cui mancanza esclude la facoltà dell’appaltatore di sospendere unilateralmente l’esecuzione dei lavori, anche nel caso in cui ravvisi la necessità di una variante al progetto originario (cfr. Cass., Sez. I, 7/06/2012, n. 9246; 18/11/1994, n. 9794); tale divieto costituisce espressione del principio di continuità nell’esecuzione di lavori, che al fine di garantirne l’ordinato sviluppo nel tempo ed il costante progresso verso il tempestivo compimento dell’opera, esclude la facoltà dell’appaltatore di rallentarli o interromperli a sua discrezione, ferme restando le pause imposte dalla legge, da normali esigenze tecniche o da cause di forza maggiore. Nella specie, d’altronde, avendo la seconda perizia ad oggetto lavori indispensabili per il completamento dell’opera, in mancanza dei quali la stessa non avrebbe potuto considerarsi realizzata ad opera d’arte, la sospensione rispondeva all’interesse dell’Amministrazione committente, e non già a quello dell’appaltatrice, la quale non era tenuta alla
consegna dell’opera, in mancanza dell’ultimazione della stessa o di un provvedimento di risoluzione del contratto o del recesso della committente.
I primi cinque motivi vanno pertanto accolti, restando conseguentemente assorbito il sesto, proposto in via subordinata ed avente ad oggetto l’omessa pronuncia in ordine alla richiesta di riduzione della penale avanzata dalla ricorrente.
È invece infondato il settimo motivo, riguardante la prova del danno cagionato dai furti perpetrati nel corso dei lavori.
Nell’esaminare la domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla avvenuta sottrazione ad opera d’ignoti, nel corso dell’esecuzione dei lavori, di diciotto tavole dipinte ad olio risalenti al XVIII-XIX secolo, raffiguranti scene mitologiche e collocate al di sopra delle porte dell’edificio, la Corte territoriale ha dato infatti atto della produzione in giudizio di riproduzioni fotografiche relative soltanto a dieci di tali dipinti, ritenendo tuttavia condivisibile la stima compiuta, sulla base di tale documentazione, da un perito nominato dalla Regione, che, escusso in qualità di teste nel corso dell’istruttoria, aveva indicato il valore ragionevolmente attribuibile all’intero ciclo pittorico, verosimilmente omogeneo per datazione, autore e soggetto.
Tale valutazione, dichiaratamente ispirata a criteri equitativi, si pone perfettamente in linea con il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la perizia giurata depositata da una parte non è dotata di efficacia probatoria, nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, con la conseguenza che ad essa si può riconoscere soltanto il valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass., Sez. V, 27/12/ 2018, n. 33503; Cass., Sez. III, 22/04/2009, n. 9551). Alla parte che ha prodotto la perizia giurata è tuttavia riconosciuta la facoltà di dedurre una prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente, che, se confermate dal medesimo in veste di testimone, possono acquisire dignità e valore di prova, sulla quale il giudice di merito è tenuto ad esprimere, esplicitamente o implicitamente, la propria valutazione ai fini della
decisione (cfr. Cass., Sez. III, 25/02/2002, n. 2737; 19/05/1997, n. 4437). Il ricorso all’equità, nell’accertamento del danno, trova a sua volta giustificazione nella sussistenza dei presupposti prescritti dall’art. 1226 cod. civ., cioè nella certezza del danno e nell’impossibilità di fornire la prova nel suo preciso ammontare, a causa della perdita degli originali e dell’indisponibilità di una documentazione fotografica completa, mentre il ricorso alla comparazione con i dipinti riportati nelle fotografie, ai fini della stima del valore di quelli non documentati, può ritenersi convincentemente motivato attraverso il riferimento all’identità del soggetto e alla provenienza dal medesimo autore.
11. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi cinque motivi di ricorso, dichiara assorbito il sesto e rigetta il settimo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 22/10/2024