Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14279 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
difende ope legis
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6495/2018 del la Corte d’Appello di Roma, depositata il 16.10.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13097/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
, che la rappresenta e
L a Corte d’Appello di Roma, adita da RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato la nullità del lodo arbitrale che aveva condannato quella società a pagare ad RAGIONE_SOCIALE «rilevanti somme di danaro» a titolo di maggiori oneri oggetto di riserve iscritte da ll’impresa nel corso dell’esecuzione del contratto stipulato il 14.6.2005 e avente ad oggetto «la realizzazione con qualsiasi mezzo dei lavori di ammodernamento in una nuova sede della INDIRIZZO».
Contro la sentenza della Corte territoriale RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione dell’ art. 176 del Codice dei Contratti, con riferimento al mancato riconoscimento dei maggiori oneri sostenuti dal Contraente RAGIONE_SOCIALE in conseguenza di eventi di forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti o comunque richieste dal soggetto aggiudicatore».
La Corte d’Appello ha ritenuto il lodo frutto di un’erronea applicazione delle regole di diritto inerenti al merito, per avere il collegio arbitrale liquidato al contraente generale voci di danno senza l’accertamento di un inadempimento contrattuale o di un illecito extracontrattuale del soggetto aggiudicatore e senza l’approvazione di varianti progettuali corrispondenti ai maggiori onere riconosciuti.
La ricorrente sostiene, invece, che la decisione della Corte territoriale sia il frutto di una violazione dell’art. 176 del Codice dei Contratti pubblici all’epoca vigente (d.lgs. n. 163 del 2006) o, più precisamente -trattandosi di contratto stipulato il 14.6.2005 -dell’art. 9 del d.lgs. n. 190 del 2002 , poi trasfuso, pressoché identico, nel citato art. 176. AR.RAGIONE_SOCIALE.c.p.A. considera infatti corretta l’interpretazione che alla norma era stata data dal collegio arbitrale, secondo cui -per rispettare il carattere «commutativo» e non aleatorio del contratto -il soggetto aggiudicatore era obbligato a ristorare il contraente generale dei maggiori costi dovuti a «forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi», anche a prescindere dalla approvazione di formali varianti progettuali coerenti con tali imprevedibili sopravvenienze.
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1 Il d.lgs. n. 190 del 2002 («Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale ») introdusse nell’ordinamento il contratto di «affidamento unitario a contraente generale» (art. 6, lett. b ), quale possibile «Modalità di realizzazione» delle cd. opere strategiche. La disciplina speciale di tale contratto era contenuta nell’art. 9 del medesimo d.lgs. , il cui comma 5 era dedicato in particolare alle «varianti del progetto affidato al contraente generale», stabilendo, alla lettera a) , che: « restano a carico del contraente generale le eventuali varianti necessarie ad emendare i vizi o integrare le omissioni del progetto redatto dallo stesso ed approvato dal soggetto aggiudicatore, mentre restano a carico del soggetto aggiudicatore le eventuali varianti indotte da forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute
prescrizioni di legge o di enti terzi o comunque richieste dal soggetto aggiudicatore ».
Tale disciplina venne poi trasfusa nell’art. 176, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006.
1.1.2. Dal momento che è pacifico il fatto che non furono approvate varianti del progetto corrispondenti ai maggiori lavori e oneri per i quali vennero iscritte le riserve, il nucleo essenziale dell’i nterpretazione qui proposta da RAGIONE_SOCIALE S.c.p.A. (e condivisa dal collegio arbitrale, ma smentita dalla Corte territoriale) è che nel sopra riportato testo del comma 5 l’espressione «varianti» non andrebbe intesa «in senso tecnico-giuridico», bensì come sinonimo di «semplice variazione».
Sennonché, la Corte territoriale ha rilevato, che, in termini generali, non corrisponde a un corretto criterio ermeneutico supporre che il legislatore abbia usato in modo atecnico il termine «varianti» proprio « nell’ambito di una disciplina normativa specialistica del settore delle opere pubbliche quale quella in esame, in cui la l’istituto della variante trova la sua specifica collocazione e regolamentazione».
Condivisibile è anche l’osservazione del giudice a quo secondo cui non può essere valorizzata, in senso contrario, la mancanza -accanto al sostantivo «varianti» -dell’attributo «progettuali», che compare invece nella successiva lett. b) del medesimo comma 5. Infatti, «l’uso dell’aggettivo non vale ad immutare il significato del sostantivo» e, quindi, altrettanto insignificante è la mancanza dell’aggettivo .
Del resto, ad escludere qualsiasi possibile dubbio, viene anche l’ incipit dell’art. 9, comma 5, ove si legge che le «varianti del progetto affidato al contraente generale … sono regolate …
dalle disposizioni seguenti … ». È quindi del tutto impensabile che nelle immediatamente successive lettere a) e b) il termine «varianti» sia stato utilizzato dal legislatore con due significati diversi , uno dei quali incoerente con la premessa dell’ incipit , riferita espressamente alle «varianti del progetto».
La ripartizione della disciplina delle varianti nelle due lettere del comma 5 non è certo dovuta alla necessità di distinguere «varianti progettuali» e varianti di fatto , bensì al diverso trattamento riservato alle varianti necessarie (ripartite, quanto al carico dei relativi oneri, nella lettera a) ) e varianti facoltative, che il contraente generale può proporre, in quanto ritenute «utili a ridurre il tempo o il costo di realizzazione delle opere», e che il soggetto aggiudicatore può, motivatamente, rifiutare (lett. b) ).
Si aggiunga che il termine «varianti», senza aggettivi, è utilizzato anche nel precedente comma 3, lett. b) , ove è stabilito che il soggetto aggiudicatore provvede «alla approvazione del progetto esecutivo e delle varianti».
1.1.3. Quest’ultimo rilievo vale anche ad escludere che l’interpretazione fatta propria dalla Corte territoriale, e che ha portato alla dichiarazione di nullità del lodo, ponga problemi di incompatibilità con l’indiscussa natura sinallagmatica, e non aleatoria, del contratto di «affidamento unitario a contraente generale» o addirittura con la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost.
La disciplina legale speciale di tale contratto, nel mentre pone a carico del soggetto aggiudicatore l’onere delle «eventuali varianti indotte da forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi» (oltre che di
quelle da lui richieste), gli impone anche di provvedere «alla approvazione … delle varianti» (art. 9, comma 3, lett. b ). Ne consegue che, sussistendone i presupposti, il contraente generale ha titolo per pretendere dal soggetto aggiudicatore l’approvazione delle varianti necessarie e può agire per l’inadempimento del relativo obbligo contrattuale. Ma ciò è evidentemente cosa ben diversa dal pretendere dal soggetto aggiudicatore il pagamento di opere e lavori aggiuntivi che richiederebbero l’approvazione di una variante progettuale , senza che la variante sia stata approvata.
La disciplina generale delle varianti in corso d’opera è parzialmente derogata nel contratto di «affidamento unitario a contraente generale» («non si applicano gli articoli 24 e 25 della legge quadro»), ma la necessità delle varianti e della relativa approvazione è chiaramente ribadita proprio nel citato art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 190 del 2002 (e poi nell’art. 176, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006).
1.1.4. Il rilievo della mancanza di varianti approvate da porre a carico del soggetto aggiudicatore è assorbente nella motivazione della sentenza impugnata, mentre assumono il valore soltanto di un coerente contorno le considerazioni della Corte territoriale sull’obbligazione di risultato e sul rischio d’impresa assunti dal contraente generale , nonché quelle sulla impossibilità di accordare a quest’ultimo un ulteriore e non pattuito corrispettivo in ogni caso di oggettiva «alterazione del sinallagma iniziale», senza l’accertamento di alcun profilo di responsabilità a carico del soggetto aggiudicatore.
Con il secondo motivo si denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio».
Il «fatto storico» di cui sarebbe stato omesso l’esame sarebbe, secondo la ricorrente, «la (accertata) responsabilità delle cause ostative che hanno alterato il programmato sviluppo delle prestazioni disciplinate dal Contratto alle situazioni eccezioni ed imprevedibili che -ai sensi dell’art. 176, comma 5, del Codice dei Contratti -‘ restano a carico del soggetto aggiudicatore ‘».
2.1. Il motivo è inammissibile -anche a prescindere dal fatto che la Corte d’Appello ha esaminato e diversamente valutato quei fatti, laddove ha affermato che il collegio arbitrale avrebbe omesso un «adeguato approfondimento in merito alla circostanza che l’anomalo andamento dei lavori rientrasse o meno nelle carenze progettuali facenti carico all’AR.GI.» -, perché non censura la fondamentale ed assorbente ratio decidendi incentrata sulla mancata approvazione delle varianti da porre a carico del soggetto aggiudicatore e, quindi, sulla inesistenza di un credito, a tale titolo, del contraente generale.
Il terzo motivo , facendo riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è rubricato « falsa applicazione dell’art. 344 della legge 20.3.1865, n. 2248, con riferimento al (presunto) superamento del limite generale del quinto del prezzo iniziale di appalto».
RAGIONE_SOCIALE censura, con questo motivo, la parte finale della motivazione della sentenza impugnata, laddove è aggiunto, « ad abundantiam », un argomento incentrato sul
superamento del «limite generale del quinto del prezzo iniziale d’appalto » previsto, appunto, dall’art. 344 citato in rubrica.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché censura un argomento espressamente inserito nella sentenza « ad abundantiam » e che, in effetti, nulla aggiunge e nulla può togliere al nucleo essenziale della motivazione incentrato sulla corretta interpretazione dell’art. 176 , comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006 ( rectius , dell’identico art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 190 del 2002).
Rigettato il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente , liquidate in € 15.000, oltre alle spese prenotate a debito;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima