Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22866 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22866 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
Oggetto
Responsabilità circolazione stradale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1838/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente – e nei confronti di
COGNOME Raffaele ;
-intimato – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, n. 2950/2023, depositata in data 23 giugno 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da NOME COGNOME nei confronti della Società Reale Mutua RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME per i danni subiti a seguito del sinistro stradale occorso in data 24 luglio 2006 per lo scontro tra il motociclo condotto dal COGNOME e il carro trainato da un trattore agricolo di proprietà del COGNOME e assicurato per la r.c.a. dalla Reale Mutua che gli procedeva innanzi nella stessa direzione;
disattendendo la tesi dell’istante, secondo cui egli era in fase di sorpasso e lo scontro era stato cagionato dall’improvviso scarto sulla propria sinistra del trattore, la Corte d’appello ha ritenuto più plausibile la ricostruzione del sinistro come tamponamento da tergo, basandosi sulla posizione statica dei veicoli rilevata dai Carabinieri e sull’entità dei danni al motociclo, conseguentemente escludendo potersi applicare la presunzione di pari colpa concorrente ex art. 2054 c.c. e ascrivendo per intero la responsabilità del sinistro al Dorello per la inosservanza della distanza di sicurezza ex art. 149 cod. strada;
avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidandolo a due motivi, cui resiste con controricorso la Società Reale Mutua RAGIONE_SOCIALE
l’altro intimato, già contumace in appello, non svolge difese nella presente sede;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie;
considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia « violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 e 2054 c.c., 115 e 116 c.p.c., sotto l’aspetto della carenza di motivazione e dell’omessa o erronea applicazione di norme di diritto »;
lamenta che la Corte d’appello abbi a erroneamente attribuito pieno valore probatorio al rapporto dei Carabinieri, nonostante la ricostruzione della dinamica del sinistro fosse basata su deduzioni e non su fatti avvenuti in presenza degli agenti, limitandosi a riportare la posizione statica dei mezzi al momento dell’arrivo degli agenti , non essendo escluso che i veicoli fossero stati spostati prima dell’arrivo dei carabinieri, come confermato dai testimoni;
erroneamente, inoltre, la Corte avrebbe negato valore probatorio alle dichiarazioni dei testimoni che avevano assistito al sinistro confermandone la riconducibilità causale alla manovra non segnalata del trattore, ritenendole inattendibili solo perché contrastanti con il rapporto dei carabinieri;
sostiene il ricorrente che, in tale contesto, la Corte avrebbe dovuto applicare la presunzione di corresponsabilità prevista dall’art. 2054 c.c., in quanto non era stato possibile ricostruire con certezza la dinamica del sinistro;
con il secondo motivo il ricorrente denuncia « violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., sotto l’aspetto della erronea e/o omessa considerazione delle risultanze istruttorie, della prova testimoniale e degli aspetti e dei fatti decisivi e discussi »;
lamenta la mancata valorizzazione delle prove testimoniali raccolte in primo grado, precise e concordanti nel descrivere la dinamica del sinistro come determinato dalla non segnalata svolta a sinistra del trattore, contestando la valutazione di inattendibilità dei testi in quanto
inadeguatamente motivata;
si duole per converso della sopravvalutazione del rapporto dei Carabinieri, benché carente e basato su deduzioni e sebbene gli agenti non avessero escluso che i veicoli fossero stati spostati prima del loro arrivo, come invece dichiarato dai testimoni;
rileva che la posizione statica dei veicoli descritta nel rapporto non può essere considerata dirimente per ricostruire la dinamica del sinistro;
lamenta di conseguenza l’errata applicazione dell’art. 149 cod. strada, in quanto basata su una dinamica del sinistro dedotta dal rapporto dei Carabinieri, che non tiene conto delle dichiarazioni testimoniali e dell’interrogatorio formale dell’attore ;
rileva che la Corte d’appello ha utilizzato le risultanze della c.t.u. per avvalorare la propria decisione, senza considerare le sue limitazioni;
entrambi i motivi, congiuntamente esaminabili in quanto sostanzialmente sovrapponibili, sono inammissibili, palesando una consistenza prettamente meritale, in chiave meramente oppositiva rispetto alle valutazioni, peraltro ampiamente e coerentemente argomentate nella sentenza impugnata, e in termini totalmente estranei al solo paradigma censorio in relazione al quale ne è consentito un sindacato in questa sede, che è quello del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.;
non è, anzitutto, predicabile nella specie un vizio di motivazione omessa (peraltro solo accennato nella rubrica dei motivi ma in nessun modo poi coerentemente illustrato);
è appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
intanto, dunque, un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.
non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione);
né tanto meno esso può configurarsi quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati;
in questo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della esistenza di una motivazione in sé e per sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di
espressione linguistica (significante) idonea a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di Cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti ;
una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, come detto, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio;
nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; piuttosto, sono le censure a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa, sostanzialmente lamentandosi una non adeguata considerazione degli argomenti esposti;
le contestuali denunce di violazione di legge, in relazione agli artt. 2700 e 2054 cod. civ. sono parimenti inammissibili, non essendo in ricorso indicata, né comunque essendo oggettivamente ricavabile dalla sentenza, l’affermazione che dovrebbe rivelare una erronea ricognizione dei precetti normativi o una erronea loro applicazione (o mancata applicazione) rispetto alla fattispecie concreta come accertata in sentenza;
la decisione impugnata non si basa affatto sulla presunta attribuzione di una prevalente forza di prova legale alla ricostruzione
operata dai verbalizzanti intervenuti sul luogo del sinistro, ma ben diversamente su una ragionata ponderazione degli elementi ricavabili da quel rapporto, a fronte di quelli offerti dalle prove testimoniali, in realtà espressamente considerati dai giudici di merito ma motivatamente valutati recessivi, e ciò non per una aprioristica subvalenza della fonte di prova bensì all’esito di una complessiva valutazione di tutti gli elementi raccolti (considerata in particolare la posizione di quiete dei veicoli rilevata dagli agenti, motivatamente considerata incompatibile con un loro previo spostamento, e la collocazione e l’entità dei danni subiti dal motociclo); ciò nel pieno e legittimo esercizio del potere/dovere del libero convincimento, insindacabile in questa sede in quanto sorretto da chiara e coerente motivazione;
anche la violazione dell’art. 2054 cod. civ. è inammissibilmente dedotta solo sulla scorta di una proposta diversa ricostruzione del fatto;
va al riguardo rammentato che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 16132 del 2005; n. 26048 del 2005; n. 20145 del 2005; n. 1108 del 2006; n. 10043 del 2006; n. 20100 del 2006; n. 21245 del 2006; n. 14752 del 2007; n. 3010 del 2012 e n.
16038 del 2013);
in altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle;
nella specie le doglianze svolte non sono idonee a far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie concreta così come accertata in sentenza, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso;
non sfugge ad analoga valutazione di inammissibilità la contestuale denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto chiaramente dedotta al di fuori dei paradigmi al riguardo dettati dalla giurisprudenza di questa Corte;
sul punto, varrà richiamare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma (cioè dichiarando di non doverla osservare), o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle
parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘valutazione delle prove’ (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
sotto altro profilo, l’ammissibilità della doglianza relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c. è consentita solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02);
nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo , del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), si è limitato a denunciare, nella sostanza, un (preteso) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della
contro
ricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza