Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13390 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13390 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20459/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME ( -) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 460/2019 depositata il 01/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME convenivano NOME COGNOME ed NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Salerno in negatoria servitutis , domandando altresì il riconoscimento del coevo diritto di recintare la particella n. 145 e di ottenere il risarcimento dei danni. Spiegavano domanda riconvenzionale i convenuti, volta all’accertamento del loro diritto al passaggio.
Il Tribunale accoglieva la domanda principale, respingendo quella riconvenzionale.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME proponevano gravame. Nella resistenza delle controparti, con sentenza n. 4601, depositata il 1° aprile 2019, la Corte d’appello di Salerno rigettava l’impugnazione.
I giudici di secondo grado rilevavano che gli appellanti non avevano dimostrato la sussistenza degli elementi idonei alla declaratoria di usucapione, né tantomeno avevano provato una servitù di uso pubblico, conferita mediante dicatio ad patriam , essendo invece emerso che il fondo era utilizzato non da una moltitudine indeterminata di persone, ma da un numero limitato di fruitori.
Ricorrono in cassazione NOME COGNOME ed NOME COGNOME con tre motivi.
Resistono NOME e NOME COGNOME con controricorso.
In prossimità della presente udienza, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, adducendo la violazione degli artt. 2909 c.c. e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si denuncia che la Corte di appello avrebbe denegato la domanda dei ricorrenti, volta al riconoscimento di una servitù di uso pubblico per il tratto iniziale di strada, ‘non tenendo conto della sentenza del Tribunale di Salerno n. 3252/2915 e della linea difensiva dei COGNOME in quel processo fondata sulla natura pubblica della strada in loco’.
Il motivo è inammissibile.
1.a. Effettivamente la Corte d’appello, con una statuizione icastica, ha affermato ‘ Quanto alla sentenza del Tribunale di Salerno 3252/2015 la stessa non produce alcun effetto di giudicato, tra l’altro neanche ipotizzato come riflesso o esterno; così come la difesa svolta dal patrocinatore della parte in tale giudizio non equivale a confessione ‘.
1.b. Tuttavia, la doglianza dei ricorrenti è aspecifica, sia perché non contrappone alcuna argomentazione al predetto assunto, sia perché neppure indica quale parte della pronunzia richiamata sia in tesi contrastante con l’affermata inefficacia del predetto giudicato. Inoltre, la sentenza in questione non è stata allegata al ricorso, né, poiché è stato denunciato un error in iudicando , alla Corte di legittimità è consentito l’esame degli atti di merito (Sez. 3, n. 9245 del 18 aprile 2007; Sez. 1, n. 24856 del 22 novembre 2006).
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si denuncia la violazione degli artt. 825 c.c. e 116 c.p.c., giacché la sentenza di appello avrebbe disatteso le conclusioni del C.T.U., secondo cui la strada, dopo il tratto iniziale di proprietà
COGNOME, sarebbe stata di proprietà pubblica e sarebbe stata destinata a soddisfare un interesse generale, perché utilizzata da una collettività indifferenziata, come avrebbero dimostrato le prove testimoniali.
2.a. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si censura la violazione degli artt. 1051 c.c. e 116 c.p.c. La Corte d’appello avrebbe negato il riconoscimento di una servitù coattiva a favore dei ricorrenti, qualificando erroneamente la situazione di fatto, caratterizzata da un fondo agricolo accessibile soltanto a piedi lungo scale in calcestruzzo in condizioni proibitive.
I due motivi -scrutinabili congiuntamente, considerata la loro continenza logico sistematica – sono inammissibili.
3.a. E’ opportuno ricordare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
3.b. Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento
della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
3.c. D’altronde, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020; Sez. 5, n. 16016 del 9 giugno 2021).
3.d. È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite dei controricorrenti, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna NOME COGNOME ed NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali a favore di NOME e NOME COGNOME, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 2.100 (duemila/100) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma il 13 marzo 2024, nella camera di consiglio