Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19408 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19408 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7684-2021 proposto da:
COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente successivo – contro
Oggetto
Lavoro domestico
R.G.N. 7684/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti al ricorso successivo avverso la sentenza n. 12/2020 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 23/09/2020 R.G.N. 181/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
la Corte d’Appello di Trieste, in parziale accoglimento dell’appello proposto dagli eredi di NOME COGNOME (deceduto nel 2017) ed in riforma di sentenza del Tribunale di Pordenone, con sentenza n. 12/20 rideterminava in complessivi € 20.205,31 lordi (di cui € 4.390 a titolo di TFR), oltre interessi di legge e rivalutazione monetaria, il credito di NOME COGNOME nei confronti degli appellanti e confermava per il resto l’impugnata sentenza;
in sintesi, la Corte di Trieste, sulla controversia riguardante il rapporto di lavoro domestico tra il 2008 e il 2015 tra NOME COGNOME e la famiglia COGNOME in Sacile, con mansioni di assistente domiciliare – badante C-Super in favore della moglie inferma del dante causa:
-ha ritenuto tempestivo l’appello con sentenza non definitiva n. 30/2019;
-ha accertato che la lavoratrice si era trasferita a partire da marzo 2011 presso l’abitazione di parte datoriale e dell’assistita;
-ha ritenuto che la lavoratrice avesse effettivamente lavorato da marzo 2011 alla data del licenziamento per un numero di ore superiore a quello contrattualmente stabilito;
-ha ritenuto non sufficiente la prova per affermare lo svolgimento di lavoro notturno nel medesimo periodo;
-ha ritenuto fondata e provata la richiesta di ottenere una retribuzione, a partire da marzo 2011, parametrata a un monte ore settimanale di 54 ore, oltre mancati riposi non domenicali, dal suddetto momento di accertata convivenza;
-ha rideterminato il TFR;
-ha ritenuto dovuta l’indennità di mancato preavviso;
-è così pervenuta alla condanna (degli eredi) del datore di lavoro al pagamento della somma sopra indicata, in luogo di quella di € 58.231,19 riconosciuta in primo grado;
per la cassazione della sentenza d’appello ricorrono gli eredi NOME con sei motivi; con successivo ricorso, da qualificarsi perciò ricorso incidentale, ricorre la lavoratrice con due motivi; le parti resistono con controricorso ai ricorsi avversari; la lavoratrice ha depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
RAGIONI DELLA DECISIONE
preliminarmente il Collegio osserva che il ricorso della lavoratrice appellata per la cassazione della sentenza non definitiva della Corte d’Appello di Trieste n. 30/2019 è stato dichiarato inammissibile con ordinanza di questa Corte n. 17602/2023;
s empre preliminarmente, osserva che l’eccezione di nullità della procura degli eredi NOME formulata nella memoria della lavoratrice è infondata, perché il richiamo a Cass. n. 14338/2017 non è pertinente (detta pronuncia riguarda la firma
digitale sull’atto introduttivo del giudizio, e non la procura ad litem );
3. con il primo motivo, parte ricorrente principale deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione degli artt. 132, n. 4, 112, 115 e 116 c.p.c. perché, rispetto a un punto determinante della decisione, manca una reale motivazione rispetto alle risultanze probatorie acquisite;
4. il motivo è inammissibile, perché con esso si prospetta, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, proponendo una propria diversa valutazione, corrispondente ad un mero dissenso motivazionale che non inficia la legittimità della sentenza impugnata, non essendo consentito trasformare il giudizio di cassazione nel terzo grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 8758/2017, n. 29404/2017, n. 18721/2018, n. 20814/2018, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, n. 15568/2020, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 20553/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
5. né è apprezzabile nella motivazione della sentenza impugnata la prospettata nullità; secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza la loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass. n. 20921/2019), restando il sindacato
di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053 e 8054/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019); nel caso di specie, la Corte ha esplicitato adeguatamente il percorso logico-argomentativo che l’ha portata (così come il Tribunale) a ritenere fondata la prova dei fatti a base di alcune rivendicazioni della lavoratrice e infondata quella delle circostanze a base di altre;
6. neppure è integrata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26739/2024, n. 26769/2018) ; la censura in esame si risolve in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità;
7. con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., nella parte in cui la Corte distrettuale ha affermato che il dato relativo alle ore settimanali lavorate risultava dalle deposizioni testimoniali, utilizzando una testimonianza de relato in assenza di altri elementi;
8. con il terzo motivo viene dedotta (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione degli artt. 132, n. 4, 112, 115 e 116 c.p.c. perché, rispetto a un punto determinante della decisione, la Corte
distrettuale avrebbe omesso la motivazione in merito alla mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate dagli appellanti;
9. con il quarto motivo la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 4, c.p.c.) per violazione e falsa applicazione degli artt. 420, 421, 437 e 210 c.p.c., lamentando omessa valutazione delle prove testimoniali dedotte dagli appellanti e mancata formulazione del richiesto ordine di esibizione di documento del terzo (corsi frequentati presso CPIA -Centro Provinciale Istruzione Adulti di Pordenone) come da richiesta;
10. i motivi, connessi perché tut ti riguardanti l’istruzione probatoria e la valutazione dei suoi esiti, sono inammissibili, oltre che per i profili evidenziati con riferimento al primo motivo, perché (rammentati gli ampi poteri istruttori del giudice del lavoro) spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (v., tra le molte, Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021);
11. con il quinto motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c. nella parte in cui afferma che va riconosciuta l’indennità sostitutiva di mancato preavviso sul presupposto che la circostanza sia
provata perché non contestata, non considerando che la contestazione è avvenuta e che il preavviso è stato dato regolarmente, travisando la risultanza probatoria documentale rappresentata dalla comunicazione all’INPS d ella cessazione del rapporto di lavoro domestico;
12. il motivo non è fondato;
13. in primo luogo, perché non si riscontra nella specie violazione dell’art. 2697 c.c., deducibile per cassazione soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, come già rilevato, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove mentre la valutazione delle prove secondo il proprio prudente è esattamente il compito del giudice di merito ai sensi dell’art. 116 c.p.c.;
14. in secondo luogo, perché nel motivo vengono confusi due piani differenti, ossia le modalità di risoluzione del rapporto, generative del diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, dalla prova del pagamento di essa; e rispetto a questa prova non si tratta di non contestazione, ma di insufficienza, ai fini della prova del pagamento, della comunicazione all’INPS di cessazione del rapporto, che all’evidenza non proviene dalla lavoratrice interessata e non è assimilabile a ricevuta di pagamento o bonifico bancario o assegno o simili;
15. con il sesto motivo viene dedotta (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 14 CCNL lavoro domestico, nella parte in cui la Corte di Trieste ha riconosciuto la retribuzione relativa ai mancati riposi settimanali asseritamente non goduti, senza che
risultasse provato che fosse stato negato alla lavoratrice il riposo settimanale, né il ragionamento logico giuridico seguito;
16. il motivo è inammissibile, in quanto diretto a non consentita, in sede di legittimità, rivalutazione dei fatti e delle prove il cui esito non è condiviso dalla parte;
17. nella specie, la prova della debenza della voce contrattuale in questione è stata collegata al ritenuto maggiore impegno dopo il trasferimento della lavoratrice presso il domicilio dell’assistita, con motivazione logica e congrua nei limiti del cd. minimo costituzionale;
18. con il primo motivo del proprio ricorso, la lavoratrice lamenta (art. 360, n. 4, c.p.c.) omesso esame della domanda di compenso per presenza notturna;
19. il motivo è infondato, perché basato su norma contrattuale collettiva palesemente inapplicabile alla fattispecie (anche tenuto conto della descrizione dello svolgimento del rapporto di lavoro fornita dalla lavoratrice stessa) , e cioè l’art. 12 CCNL lavoro domestico, che riguarda il personale ‘ assunto esclusivamente per garantire la presenza notturna ‘, mentre la lavoratrice odierna ricorrente incidentale svolgeva mansioni di badante convivente assunta per l’assistenza diurna, con eventuale applicazione per il lavoro notturno (ove provato) di altra voce contrattuale;
20. con il secondo motivo, la ricorrente incidentale deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame della circostanza, risultante dalle prove, dello svolgimento di attività di assistenza notturna;
21. il motivo non è accoglibile, perché la valutazione relativa non è stata omessa, ma, al contrario, effettuata con giudizio di carenza della prova sul punto, sicché il motivo si risolve nella richiesta di rivalutazione in fatto delle prove per mero dissenso
sulle loro risultanze, in sede di legittimità che non costituisce il terzo grado di merito, come già rilevato;
in conclusione, il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere respinti;
la soccombenza reciproca determina la compensazione delle spese di lite del presente giudizio;
24. le parti ricorrenti, principale e incidentale, sono tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 7 maggio