Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26333 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26333 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21631/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 179/2022 depositata il 03/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 3 settembre 2022 COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione della sentenza della Corte d’appello di l’Aquila n. 179/2022 depositata il 3/2/2022: le parti intimate NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno presentato difese.
Per quanto ancora di interesse, la Corte di merito ha rigettato la richiesta dei ricorrenti di vedere riformata la sentenza di primo grado che aveva rigettato le loro domande in quanto non provate.
I ricorrenti hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale ( pari a € 16000, 00, ciascuno) subito in conseguenza dei fatti illeciti addebitati agli intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME in ragione della esecuzione di un bonifico di € 80.000,00 uscito da un conto corrente della madre dei ricorrenti e di NOME COGNOME ( loro fratello germano) , quando la madre che accudiva era ancora in vita e cinque giorni prima del decesso, versato sul loro conto corrente cointestato. Nel giudizio di primo grado il Tribunale adito aveva respinto la domanda ritenendo non provato che attraverso la disposizione di bonifico fossero stati pregiudicati i diritti ereditari degli attori, dovendosi verificare se l’asse ereditario fosse stato distribuito tra gli eredi in maniera conforme a quanto stabilito dagli artt. 536 e ss. c.c.
La Corte d’appello, in seguito all’impugnazione dei ricorrenti, nel confermare la sentenza riteneva invece che, ‘dovendosi prescindere da ogni valutazione riguardante la ricostruzione dell’asse ereditario, e pur volendo assumere che intendessero solo reclamare sostanzialmente quali eredi la propria quota legittima dei danni patrimoniali che la madre avrebbe patito
allorquando trovandosi la donna in articulo mortis , il figlio COGNOME NOME mediante il fatidico bonifico spostò 80.000 € dal conto con lei con cointestato a quello suo e di sua moglie COGNOME NOME, si ha che tali danni non si sono mai verificati perché gli appellanti hanno da tempo già ricevuto dall’appellato NOME le somme ancora oggi incredibilmente rivendicate, il che consente di presumere come questi non volesse affatto appropriarsi della quota spettante agli appellanti, assommante a 16.000 € a testa (i figli erano 5 per cui ad ognuno di essi sarebbe spettato pari importo), men che meno truffarli’. Aggiungeva che l’istruttoria condotta nel primo grado invero consentiva agevolmente di rilevare l’avvenuta restituzione degli importi con disposizioni giustificate come prestiti familiari, il che avrebbe dovuto esser preso in considerazione dal tribunale anche sulla scorta delle precise allegazioni svolte dai convenuti, puntualmente riproposte nel giudizio di appello, tali da non lasciare alcun dubbio sul fatto che intenzione del fratello NOME non fosse quella di appropriarsi di € 80.000 appartenenti alla madre, bensì di spostare la somma sul suo conto corrente al fine di renderne più agevole la distribuzione tra gli aventi diritto, anche sotto il profilo fiscale.
Motivi della decisione
Con il primo motivo ex articolo 360 1 comma , n. 3 cod. proc. civ. I ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione dell’articolo 342, comma uno numero 1 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, violazione del limite devolutivo e travalicamento dell’oggetto del giudizio di appello individuato nell’appello principale, mancata proposizione di appello incidentale e conseguente giudicato formale dei capi e punti di sentenza sfavorevole ai convenuti non oggetto di appello incidentale all’atto della costituzione. Sostengono che il
capo della sentenza impugnato ha una sua sostanziale autonomia logica rispetto al resto della decisione di primo grado nella quale il tribunale di Ortona affermava l’astratta fondatezza della domanda introdotta dagli attori e la infondatezza assoluta delle eccezioni e controdeduzione dei convenuti anche quelle concernenti compensazioni dedotti a vario titolo. Da questo deriva che quei capi di sentenza relativi al rigetto dell’argomentazione avversarie devono ritenersi coperti da giudicato formale ed ostativo ad ogni rimaneggiamento in sede di gravame.
Il motivo è infondato. Osserva il Collegio che, sotto il profilo strettamente giuridico il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum , non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante; né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi , confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice ( Cass. Sez Sez. 3 – , Ordinanza n. 6533 del 12/03/2024; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 513 del 11/01/2019; Sez. 3, Sentenza n. 20652
del 25/09/2009 ).
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ex articolo 360 numero 3 cod. proc.civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero applicazione di norme inesistenti in tema di imposte per successione e donazione trasfrontaliere e vizio di
motivazione ai sensi dell’articolo 360 numero 5 cpc per omesso esame in ordine a un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti e travisamento della prova per invenzione e perplessità in ordine alla identificazione del diritto applicabile. Con tale mezzo denunciano il percorso logico della Corte d’appello che muove dalle dichiarazioni rese dei correnti sentiti quali testimoni nell’ambito del giudizio svoltosi innanzi al tribunale di Pescara introdotto da NOME COGNOME nei confronti dell’altra sorella NOME e avente oggetto la richiesta di restituzione di somme asseritamente erogate da NOME alla sorella NOME con bonifici aventi per causale un ‘prestito familiare’ come nel caso che occupa, che in realtà si riferiscono a richieste di restituzioni degli importi da parte di NOME COGNOME del medesimo ammontare di cui si discute. Si denuncia che l’iter argomentativo seguito dalla Corte è riposto su due argomenti : uno di fatto consistente nella elargizione di somme qualificate formalmente come prestiti familiari, desunto dalla prova dichiarativa delle parti ricorrenti acquisita nel presente giudizio; l’altro consistente nella legislazione fiscale estera in tema di imposta di successione e donazione che avrebbe giustificato l’uscita delle somme a favore dei coeredi, qualificate come prestiti, e ciò al fine di eludere le possibili conseguenze fiscali correlate alla vicenda successoria che, a dire degli appellati, avrebbe comportato un’imposizione fiscale del 50% in Francia e in Belgio ove risiedevano gli attuali ricorrenti.
Assumono i ricorrenti che le norme fiscali acriticamente citate dalla Corte d’appello a supporto della decisione non sarebbero state verificate e comunque non sarebbero applicabili in virtù delle disposizioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 34/6/1990, il quale stabilisce regole e principi totalmente opposti a quelli citati dalla Corte d’appello, in quanto per chi risiede in Italia l’imposta è dovuta in relazione ai beni e ai diritti
trasferiti ovunque situati tenendo conto del luogo di residenza del donante e del de cuius , pacificamente in Italia, ove sussiste un’esenzione totale di imposta fino alla somma di un milione di euro tra ascendenti e discendenti e fino alla somma di€ 100.000 tra fratelli e sorelle.
Il motivo è inammissibile. Nel caso in questione il riferimento alla normativa fiscale straniera, anziché a quella italiana applicabile al caso di specie, non risulta un argomento decisivo speso dal giudice di merito, ma solo ad colorandum. Il riferimento alla intervenuta restituzione delle somme di cui si discute in veste di prestito familiare è in realtà quanto il giudice ha desunto dalle dichiarazioni rese dai medesimi ricorrenti in altra causa, riversate in atti, in cui hanno testimoniato che la richiesta di restituzione di un importo di pari cifra prestata dal coerede alla sorella NOME, corrisponde a quanto i medesimi hanno trattenuto per sé in base a trasferimenti in danaro disposti a loro favore da NOME COGNOME con la stessa causale, contestandone solo la finalità elusiva. Dal che il giudice ha ritenuto, con argomentare logico non intrinsecamente contraddittorio e non denotante una motivazione apparente o perplessa ( cfr. Cass. Sez. U. 8053/2014), che anch’essi in realtà hanno ricevuto sotto tale veste le somme che indicano come indebitamente sottratte da NOME COGNOME.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano l’erroneità della sentenza ai sensi dell’articolo 360 primo comma numero 4 c.p.c. per violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ritiene che gli appellanti siano stati tacitati da NOME COGNOME per le stesse causali per cui pende il giudizio, nonché per la parte in cui ritiene che con la dicitura ‘prestiti familiari’ i convenuti intendessero dissimulare un atto restitutorio; denunciano altresì vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 numero 5 per omesso esame in ordine un punto
decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti , travisamento della prova per invenzione e perplessità in ordine alla individuazione e giustificazione delle ragioni per cui i convenuti abbiano versato a favore degli attori somme con la causale prestito familiare e le abbiano trattenute nonostante non avessero richiesto prestiti.
Le censure sono inammissibili perché mettono in discussione l’esito di un ragionamento inferenziale riposto sull’esame delle prove acquisite, valutate nel loro contenuto essenziale, ma non certamente travisate quanto al loro contenuto oggettivo. Si tratta, in realtà di valutazioni effettuate su elementi di prova effettivamente versati in atti, per le quali vige il principio di libero convincimento. Va in proposito rammentato che per le violazioni di legge in tema di valutazione delle prove, deve ritenersi l’inammissibilità della censura, in quanto attinente a fatti valutati discrezionalmente dal giudice in merito alla loro rilevanza probatoria, se la valutazione delle prove è stata effettuata con rispetto dei paradigmi normativamente indicati in tema di prove. La violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.” (così, Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
Mentre, con riferimento all’art. 116 c.p.c., in sede di giudizio di legittimità l’errata applicazione della norma è configurabile solo nei casi in cui si applichi il libero apprezzamento in riferimento a una prova che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione, ovvero si dichiari di applicare un parametro legale ad una prova invece liberamente apprezzabile, non potendo comportare una diversa valutazione della prova da parte del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Cass. sez. VI, 09/12/2020, n.28105, che espressamente richiama Cass. Sez.3, 05.03.2019, n. 6303; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; Cass. Sez. U
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato quanto al primo motivo, dichiarato inammissibile per la restante parte; nulla per le spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento all’ufficio di merito competente , da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto .
Così deciso in Roma, il 01/07/2024.