Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4193 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4193 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19999/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e NOME (C.F.CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE);
-intimato – avverso la sentenza n. 2213/2018 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, depositata il 28.09.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda processuale, per quanto qui ancora rileva, può riassumersi nei termini seguenti:
–RAGIONE_SOCIALE ottenne decreto ingiuntivo per l’ammontare di € 97.609,20 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, quale corrispettivo per la fornitura di enzimi alimentari;
-avanzata opposizione da parte dell’ingiunta, il Tribunale di Firenze, confermato il decreto ingiuntivo, in accoglimento della domanda riconvenzionale dell’ingiunta, risolse per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE i contratti di compravendita di cui alle fatture nn. 2 e 6 del 2006;
-la Corte d’appello di Firenze rigettò l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza d’appello RAGIONE_SOCIALE ricorre sulla base di sei motivi.
La controparte è rimasta intimata.
Con il primo motivo viene denunciata falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per non avere la sentenza considerato che il rapporto contrattuale, sulla base delle stesse ammissioni della controparte, che aveva fatto riferimento a un <>, avrebbe dovuto reputarsi uno solo, con la conseguenza che per tutte le forniture avrebbero dovuto essere garantiti il marchio ‘Natuzym’ e il certificato ‘Koscher’.
Con il secondo motivo viene denunciata falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ., deducendosi essere stata fornita la prova dell’inadempimento della società fornitrice. In particolare la ricorrente addebita alla sentenza di avere tratto conclusioni erronee dal vaglio istruttorio, che l’avevano portata ad affermazioni probatorie non corrispondenti all’acclarato, e, per contro, senza spiegare i criteri utilizzati, a non dare rilevanza alle acquisizioni probatorie di segno contrario.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere confermato la statuizione di primo grado, la quale aveva giudicata infondata l’eccezione di mancata consegna della merce di cui alla fattura n. 40/2005, senza tener conto del convergente quadro probatorio che suffragava la tesi della odierna ricorrente.
Con il quarto motivo viene denunciata <> , in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la Corte di merito assegnato <> alla missiva del 12/10/2006 a firma del legale che rappresentava l’amministratore unico dell’RAGIONE_SOCIALE.
Con il quinto motivo viene denunciata falsa applicazione dell’art. 345, co. 3, cod. proc. civ., per avere la sentenza di secondo grado dichiarato inammissibile per novità la doglianza con la quale si era contestato l’ammontare del preteso credito, dovendosi, comunque, scomputare la somma di € 5.428,80, trattandosi di <>.
Con il sesto motivo, infine, la ricorrente si duole per la falsa applicazione dell’art. 346 cod. proc. civ., avendo errato la Corte di Firenze a reputare che le richieste istruttorie formulate dall’esponente <>.
Il primo e il terzo motivo, tra loro osmotici, non superano il vaglio d’ammissibilità.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in sede di giudizio di legittimità, sindacabile, neppure attraverso
l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior
forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
9. Inammissibile è il secondo motivo.
Piuttosto palesemente, la critica, nella sostanza, risulta inammissibilmente diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto del vigente n. 5 dell’art. 360, cod. proc. civ., in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
10. Inammissibile è il quarto motivo.
All’evidenza non si è in presenza di un fatto omesso, bensì della critica a una decisione istruttoria.
Il Collegio condivide e intende dare continuità al consolidato orientamento di questa Corte, la quale ha più volte precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. 6, n. 28887, 08/11/2019, Rv. 655596; conf., ex pluris, Cass. nn. 2745/2018, 2498/2015), tanto più, val la pena soggiungere, quando il ricorrente l’appezzamento delle emergenze probatorie effettuato insindacabilmente dal giudice del merito.
11. Inammissibile è il quinto motivo.
La Corte d’appello sul punto ha spiegato che <>.
Il motivo, alla luce di quanto riportato, non attinge nella sua completezza la ‘ratio decidendi’. La sentenza impugnata, invero, ha spiegato che, ancor prima che la prova, mancava un’apprezzabile allegazione probatoria in primo grado.
Il sesto motivo è inammissibile a cagione della sua invincibile aspecificità, non essendo dato sapere di quali istanze istruttorie si tratti e della loro eventuale precipua rilevanza.
Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Non vi è luogo a statuizione sulle spese poiché la controparte è rimasta intimata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024.