Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15067 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15067 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17825/2021 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro-tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6513/2020 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 18/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
rilevato che
con sentenza resa in data 18/12/2020, la Corte d’appello di Roma, pronunciando quale giudice del rinvio a seguito di cassazione in sede di legittimità (sentenza n. 5252/2016 del 16 marzo 2016), in accoglimento dell’appello proposto dal Comune RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna del Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall’attore per l’illegittimo annullamento, da parte dell’amministrazione comunale convenuta, dell’autorizzazione all’esercizio dell’estrazione di cava precedentemente rilasciata in proprio favore;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base del complesso degli elementi istruttori acquisiti nel corso del giudizio, non fosse concretamente emersa alcuna adeguata dimostrazione dei danni denunciati dal COGNOME nel periodo ritenuto rilevante ai fini del giudizio (dal giugno 1992 al settembre 1994, data, quest’ultima, corrispondente all’epoca del rilascio dell’autorizzazione amministrativa richiesta dal COGNOME), da tanto dovendo discenderne il rigetto della relativa domanda risarcitoria proposta nei confronti del comune avversario;
avverso la sentenza del giudice del rinvio, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
il Comune di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che ,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c. n. 5, incidente sulla natura dell’indagine tecnica espletata, per avere la corte territoriale
trascurato la considerazione della circostanza di fatto, incontestata tra le parti, consistita nella forzata chiusura per oltre due anni dell’attività imprenditoriale esercitata dall’odierno istante, finendo col decidere sulla domanda proposta da quest’ultimo sulla base di emergenze istruttorie del tutto prive di riferimenti rispetto al thema decidendum ;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.l n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ ;
secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo , di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là
dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01);
dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
in particolare, al di là della genericità complessiva delle argomentazioni spese dal ricorrente nell’illustrazione della censura in esame, il fatto dallo stesso qui dedotto ( id est , la forzata chiusura per oltre due anni dell’attività imprenditoriale) sia stato preso in considerazione nella sentenza impugnata, con la conseguenza che la censura in esame in altro non si risolve se non in una contestazione della valutazione dei mezzi istruttori operata dal giudice d’appello, e dunque di una doglianza costruita sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. incidente sulla valutazione dei costi sostenuti nel periodo di chiusura della cava compreso tra il 9.06.1992 e il 9.09.1994, per avere la corte
territoriale trascurato la valutazione di prove esistenti agli atti del giudizio e, segnatamente, il modello unico relativo all’attività autonoma svolta dal COGNOME, quale documentazione ufficiale inoltrata all’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate sulla cui efficacia probatoria non avrebbero potuto ragionevolmente nutrirsi dubbi interpretativi, là dove il giudice a quo ha illegittimamente conferito rilevanza decisiva all’assenza di ulteriori e diversi elementi di prova nella specie sostanzialmente non necessari;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, il ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitato ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente lo sesso nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a qu o;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del
contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
varrà peraltro rilevare come la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma di cui all’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;
sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma (cioè dichiarando di non doverla osservare), o
contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘valutazione delle prove’ (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
sotto altro profilo, l’ammissibilità della doglianza relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c. è consentita solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02);
nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo , del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo , di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.) -si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione