Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23818 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23818 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13109/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE difesa dall’avvocato NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 513/2019 depositata il 15/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In esecuzione di un contratto di appalto, la Iasp forniva e installava serramenti presso un immobile della RAGIONE_SOCIALE, la quale le corrispondeva € 30.000 come quota del corrispettivo. Successivamente la Iasp otteneva dal Tribunale di
Venezia un decreto ingiuntivo di pagamento di € 100.602,56, quale prezzo per la fornitura di serramenti esterni (circa € 32,000) e serramenti interni (circa € 42.000) , nonché per la manodopera (circa 870 ore). In sede di opposizione, la RAGIONE_SOCIALE allegava vizi delle opere, contestava le ore di manodopera fatturate e domandava la risoluzione del contratto per inadempimento.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo, rigettava la riconvenzionale di risoluzione, riconoscendo all’appaltatrice un credito di € 11.000.
Con la sentenza in epigrafe, la Corte distrettuale ha accertato l’omessa pronuncia sul corrispettivo per i serramenti interni e l’ha quantificato in € 937, ha accertato che il giudice di primo grado non aveva considerato il pagamento di € 30.000 da parte di RAGIONE_SOCIALE ma ha dichiarato inammissibile ex art. 345 co. 1 c.p.c. la domanda restitutoria di RAGIONE_SOCIALE concludendo che la Iasp nulla più doveva ricevere, rimodulando le spese a carico della Iasp per due/terzi.
Ricorre in cassazione la Iasp con sette motivi. Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La memoria depositata dalla ricorrente il 5/5/2025 è tardiva, quindi inammissibile.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Conviene anticipare, rispetto al secondo motivo di ricorso, l’es posizione del terzo e del quarto motivo.
2.1. – Il primo motivo (p. 32) denuncia un errore di percezione da parte della Corte di appello nella valutazione del contenuto della CTU integrativa, in violazione dell’art. 115 c.p.c., nonché un contrasto irriducibile tra affermazioni nella motivazione. A sostegno delle doglianze, la ricorrente richiama i passaggi della perizia e confronta le fatture per dimostrare che il valore di € 937,60 si riferisce esclusivamente a tre voci della seconda pagina della fattura n. 11/05, non ai 75 elementi complessivamente forniti. La
Corte d’appello avrebbe dunque posto a fondamento della decisione prove insussistenti, o travisato il contenuto della CTU. In particolare si denuncia un duplice errore: a) l’errata attribuzione alla CTU di una stima complessiva della fornitura pari a € 11.000,00 (in realtà riferita ai soli serramenti esterni, come pacificamente ammesso); b) l’errata attribuzione alla CTU di una valutazione dei serramenti interni pari a € 937,60, invece riferita esclusivamente a tre elementi.
Il secondo errore è censurato anche sotto il profilo della motivazione illogica con riferimento in particolare ai 75 pezzi forniti.
La controricorrente sostiene che il motivo è infondato, poiché la Corte si è limitata a recepire le conclusioni del CTU, il quale ha esaminato tutta la fornitura interna, rilevando vizi solo nei tre elementi citati. Aggiunge che, se anche si fosse trattato di un errore materiale di percezione, lo stesso avrebbe dovuto essere dedotto mediante revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., e non come motivo di ricorso per cassazione.
2.2. -Il terzo motivo (p. 47) denuncia l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., circa la quantità e la qualità dei serramenti interni forniti, fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. La Corte non ha ricostruito la composizione della fornitura interna. Ha recepito i dati della CTU integrativa limitandosi a quanto affermato in relazione a tre elementi.
La controricorrente osserva che la censura è priva di fondamento, in quanto la Corte ha tenuto conto delle risultanze della CTU, la quale ha esaminato l’intera fornitura, senza riscontrare vizi eccetto quelli di natura cromatica in tre elementi. Aggiunge che, in ogni caso, la ricorrente non ha fornito la prova dell’effettiva esecuzione e del valore della fornitura interna nei termini fatturati, sicché la doglianza risulta anche carente di fondamento probatorio.
2.3. – Il quarto motivo di ricorso (p. 52) denuncia ex art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso confronto tra il valore indicato nelle fatture per i serramenti interni (€ 42.790,04) e il valore risultante dalla CTU integrativa (€ 937,60). La Corte ha recepito acriticamente il dato di € 937,60 senza confronto con il valore fatturato.
La controricorrente replica che RAGIONE_SOCIALE ha specificatamente contestato ogni voce dei predetti documenti contabili e IASP non ha provato né offerto di provare an e quantum del proprio credito. Tale prova, poi, non potrebbe essere desunta da un asserito silenzio della c.t.u.
2.4. – Le parti della sentenza censurate dai motivi esposti sono essenzialmente le seguenti: «Il decreto ingiuntivo opposto era stato emesso per la somma di € 100.602,56, comprensiva di IVA, di cui € 32.347,14 per la fornitura dei serramenti esterni (fatt. 10/05 in parte); € 42.790,04 per la fornitura dei serramenti interni (fatt. 10/05 in parte e fatt. 11/05) . Deve rilevarsi che il CTU, con la relazione integrativa del 22.02.2011, ha specificato di non essere in grado di trarre conclusioni sul minor valore delle opere relative ai serramenti interni, i cui vizi non erano stati denunciati in sede di ATP . Riguardo ai serramenti interni , il CTU ha indicato in complessivi € 937,60 il valore di essi, specificando che i presunti danni riscontrati, di incerta addebitabilità alla appellante, potevano stimarsi in complessivi € 300 ,00».
2.5. -Il primo, il terzo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto investono profili tra di loro connessi, relativi all’accertamento del valore della fornitura dei serramenti interni oggetto del contratto.
Essi sono fondati nei termini che seguono.
La Corte di appello ha recepito la stima di € 937,60 contenuta nella CTU integrativa, riferita a tre elementi soltanto (due casse per porte interne e una porta da bagno), considerandola rappresentativa del valore complessivo della fornitura dei
serramenti interni, composta da oltre settanta elementi. Tale operazione valutativa, tuttavia, non è sorretta da alcuna motivazione, né la sentenza dà conto dell’esame del contenuto delle fatture o dell’esistenza di ulteriori elementi istruttori (documentali o tecnici) che consentano di ritenere ininfluente la differenza tra i valori esposti e quelli ritenuti in sentenza. Manca, in particolare, ogni confronto con la documentazione contabile prodotta. La motivazione risulta pertanto carente, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto omette l’esame di fatti decisivi per la decisione, oggetto di discussione tra le parti, ossia la reale consistenza e il valore della fornitura reltiva ai serramenti interni.
Il primo, il terzo e il quarto motivo sono accolti.
3. -Il secondo motivo (p. 39) denuncia la violazione degli artt. 1362, 1366, 1368 c.c. per non avere la Corte interpretato il contratto secondo i criteri ermeneutici legali, erroneamente qualificandolo come appalto, anziché come compravendita. La Corte di appello ha qualificato il rapporto come contratto di appalto, senza svolgere argomentazioni espressive di un confronto tra gli elementi contrattuali e i criteri interpretativi degli artt. 1362 ss. c.c.
Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha confermato la natura di contratto di appalto sulla base della struttura complessa della prestazione: IASP non si è limitata alla mera fornitura di beni (serramenti), ma ha eseguito lavorazioni su misura, con posa in opera, montaggio in cantiere, adeguamento dei materiali e interventi tecnici successivi. La sentenza richiama in più punti le attività eseguite da IASP presso i locali della committente, anche con riferimento alla manodopera impiegata. Questi dati assumono rilievo dirimente, in quanto la componente principale dell’obbligazione non è riconducibile sic et simpliciter alla cessione di un bene, ma all’esecuzione coordinata e specializzata di un insieme di attività produttive e di installazione.
La qualificazione adottata dalla Corte non appare dunque affetta da vizi di sussunzione, ma corrisponde a un apprezzamento di fatto coerente con la natura della prestazione dedotta in giudizio, come accertata istruttoriamente. La censura, in quanto volta a sollecitare una diversa qualificazione giuridica della fattispecie in assenza di una violazione di norme legislative di ermeneutica contrattuale, si traduce in una richiesta di rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità.
4. Il quinto motivo di ricorso (p. 60), proposto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., lamenta l’omesso esame di un ulteriore fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti: le ore di manodopera necessarie per il montaggio complessivo dei serramenti. La ricorrente evidenzia che, a fronte della domanda originaria comprendente anche il compenso per la posa in opera (pari a € 25.465,00), la Corte di appello ha del tutto trascurato di valutare il fondamento e la documentazione a sostegno di tale voce, limitandosi ad escluderla implicitamente dal credito residuo senza motivazione. L’omissione riguarda quindi un elemento autonomo della pretesa creditoria, non assorbibile nel giudizio sui materiali forniti, e tanto più rilevante in assenza di contestazioni specifiche da parte di RAGIONE_SOCIALE sull’effettivo svolgimento delle attività di montaggio. L’assenza di qualunque accertamento istruttorio o valutazione logica su questo profilo determina, secondo la ricorrente, un vizio motivazionale che priva la sentenza della completezza necessaria su un fatto decisivo.
Il quinto motivo è rigettato.
La Corte di appello ha esaminato in modo puntuale il profilo relativo alla voce di manodopera. In particolare, ha dato atto che il CTU, nella relazione integrativa, ha effettuato un accertamento quantitativo e qualitativo delle ore necessarie per l’esecuzione delle opere in cantiere. Sulla base di tale perizia, ritenuta coerente e logicamente motivata, la Corte ha stimato congruo un impiego pari
a 85/90 ore complessive, comprensive delle operazioni di montaggio e trasporto, e ha rigettato la pretesa di 870 ore, ritenendola abnorme e non assistita da riscontri istruttori.
La motivazione sul punto è espressa con chiarezza ove si afferma che i costi indicati dalla Iasp erano sovrastimati e non provati, e che l’asserita difficoltà nell’esecuzione dell’opera non era stata in alcun modo dimostrata in sede testimoniale. La Corte ha dunque operato un apprezzamento delle prove tecniche e orali disponibili, ed è pervenuta ad una valutazione complessiva coerente con il materiale istruttorio acquisito.
L’asserzione secondo cui la Corte avrebbe del tutto omesso l’esame di tale profilo è pertanto smentita dalla lettura del provvedimento impugnato, che anzi affronta direttamente la questione, richiamando le risultanze peritali e spiegando perché le pretese creditorie dell’appellante non potessero trovare accoglimento su questo punto.
La censura, nella sostanza, si traduce in una diversa valutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità.
5. Il sesto motivo di ricorso (p. 65), svolto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 112 c.p.c., nonché degli artt. 1173, 1174, 1175, 1193, 1194, 1195, 1321 e 1362 c.c., congiuntamente al principio di buona fede e al divieto di venire contra factum proprium. In particolare la Corte non avrebbe valutato correttamente il significato giuridico del pagamento di € 30.000. La ricorrente afferma che tale pagamento non era riferibile al contratto oggetto del presente giudizio (appalto verbale del 2004), bensì a una diversa fornitura regolata da contratto scritto del 2002 e documentata dalla fattura n. 69/2002. Secondo Iasp, tale imputazione era desumibile dalla documentazione allegata e dal comportamento di RAGIONE_SOCIALE che non aveva richiesto una
nuova fattura dopo i pagamenti del 2004, confermandone così la riferibilità alla sola fornitura del 2002.
Il sesto motivo è rigettato.
L a Corte di appello ha accertato che il pagamento di € 30.000,00 era stato effettuato prima dell’inizio della causa ed era riferibile alla medesima commessa per la quale IASP aveva richiesto il decreto ingiuntivo. In particolare, a p. 9 della sentenza si legge che il pagamento è «intervenuto, provato e non contestato» e che si tratta dell’importo di € 30.000,00 oltre IVA stabilito con il contratto di appalto, del quale la sentenza di primo grado ha omesso di dare atto. Da ciò la Corte ha tratto la conseguenza che il credito residuo fosse da considerarsi estinto.
La sentenza non solo menziona il pagamento, ma lo qualifica con chiarezza come eseguito in adempimento del medesimo rapporto contrattuale fatto valere in giudizio. Nessun elemento risulta convincentemente provato da Iasp per dimostrare che il pagamento si riferisse ad altro rapporto o commessa. La fattura n. 69/2002 viene evocata in ricorso ma non è valorizzata nel giudizio di merito, né sono indicati in sentenza elementi istruttori di segno contrario rispetto alla qualificazione adottata.
In assenza di riscontri documentali o istruttori univoci che attestino una diversa imputazione del pagamento, la valutazione della Corte di appello appare pienamente coerente con il quadro probatorio ed è immune da vizi logico-giuridici.
6. – Il settimo motivo di ricorso p. 75 denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte posto a carico di Iasp anche le spese relative alla chiamata in causa dell’assicurazione RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE La Corte ha disposto la compensazione delle spese per due terzi e posto il residuo a carico di Iasp, comprese le spese della compagnia assicurativa. La chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE era stata effettuata da Iasp, la quale aveva formulato nei confronti della compagnia domanda di manleva in relazione alle pretese
risarcitorie avanzate da RAGIONE_SOCIALE con la propria domanda riconvenzionale.
La controricorrente osserva che le spese della compagnia sono state correttamente poste a carico di COGNOME, in quanto fu proprio quest’ultima a chiamare in causa la COGNOME per essere manlevata rispetto alle domande riconvenzionali risarcitorie di RAGIONE_SOCIALE, e che la Corte ha giustificato la regolazione delle spese richiamando la reciproca soccombenza, in una valutazione rimessa alla sua discrezionalità ex art. 91 c.p.c.
Il settimo motivo è assorbito.
L ‘accoglimento de l primo, del terzo e del quarto motivo, che comporta la cassazione della sentenza in relazione alla determinazione del credito di Iasp e impone un nuovo esame della controversia nel merito, rende prematuro ogni scrutinio sul regime delle spese, che dipende dall’esito finale del giudizio.
7. – La Corte accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il secondo, il quinto e il sesto motivo; dichiara assorbito il settimo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il secondo, il quinto e il sesto motivo; dichiara assorbito il settimo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025.