Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1555 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1555 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19064/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, con domicilio digitale , rappresentato e difeso da ll’avvocato
NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
NOME e DI NOME, domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, con domicilio digitale , rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE CHIETI n. 807/2020, depositata il 29/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023
dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
-Con ricorso affidato a cinque motivi, NOME COGNOME ha impugnato la sentenza del Tribunale di Chieti, resa pubblica il 29 dicembre 2020, che, in totale riforma della decisione del Giudice di pace della medesima Città, lo condannava al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, della somma di euro 1.000,00, oltre accessori, in favore sia di NOME COGNOME sia di NOME COGNOME, nonché al pagamento della sanzione pecuniaria civile di euro 1.000,00.
1.1. – Il Tribunale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava: a ) il gravame era ammissibile ai sensi dell ‘ art. 342 c.p.c., avendo gli appellanti indicato le parti di sentenza che intendevano impugnare e argomentato le relative censure; b ) la domanda risarcitoria originariamente proposta dal COGNOME e dal COGNOME era fondata, avendo il COGNOME tenuto, in data 17 settembre 2009 nei confronti degli attori, una condotta minacciosa e ingiuriosa durante la loro attività, resa in qualità di appartenenti alla Polizia di Stato, di rilevamento della velocità dei veicoli sulla strada ChietiBicchianico; b.1 ) in tale occasione, il COGNOME, al momento della consegna del verbale di rilevamento, effettuato con telelaser, del superamento di circa 5 Km/h della velocità consentita, gridava: ‘(s)iete dei disonesti, rubate i soldi alla povera gente’; b.2 ) inoltre, il medesimo convenuto, ripresa la marcia e nuovamente fermato dagli agenti dopo una inversione a ‘U’, si rifiutava ‘di consegnare i documenti e di fornire i propri dati identificativi’, «url(ando) agli agenti ‘sono il Sindaco di Fara San Martino nonché il Vice Presidente della Provincia di Chieti, vi farò vedere io cosa sono
capace di fare’»; c ) la prova che il convenuto avesse ‘effettivamente pronunciato le frasi per le quali gli appellanti hanno richiesto il risarcimento’ risultava: c.1 ) dalle affermazioni dei danneggiati ‘corroborate in primis dalla sentenza del giudice di pace di Chieti del 27.7.2014 che ha riconosciuto la penale responsabilità del COGNOME‘, poiché, pur essendo tale sentenza ‘stata annullata’, poteva essere considerata ‘prova atipica’; c.2 ) dalla considerazione che era ‘assai improbabile’ che gli agenti, ‘senza un plausibile motivo’ e ‘ben consci delle proprie conseguenze’ (concorso ‘nel reato di falso e successivamente in quello di falsa testimonianza’), avessero ‘potuto inventare tali frasi’, essendo la ‘loro veridicità … oltretutto avvalorata dalla qualità personale, mai smentita in atti, dell ‘ appellato, di Sindaco del Comune di Fara San Martino e vicepresidente della Provincia’; c.3 ) dal fatto che «non si comprenderebbe la necessità della stessa ‘lettera di scuse’ inviata dal convenuto agli attori il giorno dopo l ‘ incontro, scuse che costituiscono sostanziale conferma della commissione di un comportamento scorretto e quindi della sussistenza dell ‘ illecito per cui è causa».
-Resistono con un congiunto controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno anche depositato memoria ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
-Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 342 c.p.c., avendo il Tribunale erroneamente dichiarato ammissibile il gravame, pur non avendo gli appellanti ‘in alcun modo indicato le parti della sentenza’ che intendevano impugnare, né ‘le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal Giudice’, sostanziandosi ‘in definitiva in una critica alla valutazione delle prove effettuata dal Giudicante con una sostanziale richiesta di loro nuova analisi, senza la specificazione
degli elementi di fatto e di diritto sui quali fondare l ‘ erroneità della valutazione’.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
E ‘ principio consolidato (tra le molte, Cass. n. 3612/2022) che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione della questione dell ‘ inammissibilità dell ‘ appello, a norma dell ‘ art. 342 c.p.c., integrante error in procedendo , che legittima l ‘ esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l ‘ ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all ‘ art. 366, comma primo, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d ‘ interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l ‘ attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza.
A tanto non risponde la formulazione della censura in esame, poiché il ricorrente si è limitato a rinviare, quanto al contenuto dell ‘atto di appello, al «DOC. ‘G’ fasc. ex art. 369 c.p.c.» (p. 10 del ricorso), senza fornire, anche sinteticamente, alcuna trascrizione delle parti essenziali del medesimo atto di impugnazione, ma affermando apoditticamente che esso fosse carente sia nella parte c.d. volitiva, sia in quella c.d. argomentativa e censoria.
E una siffatta palese genericità della doglianza appare ancor più significativa nella specie, avendo il giudice di secondo grado puntualmente indicato (alle pp. 3 e 4 della sentenza impugnata) quale fosse lo sviluppo ‘volitivo’ (rinvenuto alle pp. 2 e 3 dell’ atto
di appello) ed ‘argomentativo’ del gravame (rispetto alla ricostruzione del Giudice di pace in ordine all ‘ esclusione del fatto della ‘minaccia’), altresì conformandosi al principio per cui la specificità dei motivi d ‘ appello richiesta dall ‘ art. 342 c.p.c. può apprezzarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l ‘ allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. n. 23781/2020).
2. -Il secondo e il terzo motivo sono dedotti congiuntamente: con il secondo mezzo si lamenta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell ‘art. 115 c.p.c. ‘sotto il profilo del travisamento della prova’, nonché, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 111, comma sesto, Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.; con il terzo mezzo si prospetta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c.
Il Tribunale ha ritenuto ‘provato in atti’ che esso convenuto aveva ‘pronunciato le frasi minacciose ed offensive’ nonostante tale prova non vi fosse, sussistendo soltanto le ‘mere affermazioni’ degli attori, non rivestenti valore di prova.
Né potrebbero costituire prova idonea -sostiene ancora il ricorrente -l ‘ annotazione di servizio del 17.9.2009 e la sentenza penale del Giudice di pace di Chieti del 27.7.2014: a ) la prima è ‘documento proveniente dai resistenti’; b ) la seconda si fonda sulle sole dichiarazioni rese dai danneggiati nel corso del giudizio penale come ‘testimoni’, in quanto parti offese, non utilizzabili come prova nel processo civile e, inoltre, è stata annullata (per non aver il P.M. richiesto al G.I.P. l ‘ autorizzazione alla riapertura delle
indagini), non rivestendo, dunque, efficacia di sentenza irrevocabile di condanna ex art. 651 c.p.p.
2.1. – I motivi congiuntamente dedotti -e che si articolano essenzialmente nella doglianza di insussistenza di alcun elemento dimostrativo a sostegno della pretesa azionata in giudizio dagli attuali ricorrenti -sono infondati.
La decisione impugnata resiste, infatti, alle critiche che le sono mosse avendo fatto buon governo del principio per cui il giudice civile ben può fondare il proprio convincimento sulle prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione con pienezza di cognizione al fine di accertare i fatti materiali all ‘ esito del proprio vaglio critico (Cass. n. 16893/2019).
In particolare, poi, sebbene non sia consentita nel processo civile l ”utilizzazione’, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sentita quale testimone nel corso del processo penale (dovendo trovare applicazione, viceversa, il divieto sancito dall ‘ art. 246 c.p.c. di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio), le medesime dichiarazioni, tuttavia, possono costituire fonte di convincimento ai fini della decisione siccome liberamente valutabili dal giudice come argomenti di prova ex artt. 116, comma secondo, e 117 c.p.c. (Cass. n. 16916/2019; Cass. n. 27016/2022).
Di tale principio -e non già della regola dettata dall ‘ art. 651 c.p.p. sull ‘ efficacia della sentenza penale irrevocabile di condanna nel giudizio civile – ha fatto applicazione il Tribunale assumendo a fonte del proprio convincimento (cfr. sintesi al § 1.1. del ‘Ritenuto che’; pp. 4/5 della sentenza impugnata) le dichiarazioni testimoniali rese dal COGNOME e dal COGNOME Fabrizio nel giudizio
penale (svoltosi dinanzi al Giudice di pace di Chieti e conclusosi con sentenza che affermava la responsabilità del COGNOME, sebbene poi annullata per vizio del procedimento), sottoponendole a vaglio critico (evidenziando una serie di fatti incontestati -esser stato fermato il COGNOME dagli agenti di polizia, aver costoro sanzionato l ‘automobilista e aver costui protestato ‘fuori le righe’ a supporto dell ‘ inferenza delle frasi minacciose, concordante con l ‘ oggetto dichiarazioni testimoniali anzidette) e corroborandone la valenza di argomenti probatori efficaci (in forza della ‘lettera di scuse’ inviata dal COGNOME stesso).
-Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5, c.p.c., nullità della sentenza ‘per vizio di motivazione … (sentenza perplessa) per anomalia motivazionale o motivazione apparente’, nonché per violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 132, comma secondo, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per aver il Tribunale deciso in base ad un percorso argomentativo solo apparente o, comunque, inidoneo a rendere percepibile l ‘ iter logico-giuridico della decisione, affidandolo solo a dichiarazioni provenienti dalle parti del giudizio, non costituenti prova nel giudizio civile, reputate ‘credibili’ a differenza delle dichiarazioni contrarie della controparte.
-Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 e 2729 c.c., nonché degli artt. 111, comma sesto, Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per aver il Tribunale ascritto valore probatorio alla ‘lettera di scuse’ ai fini della ‘sostanziale conferma dell’illecito’, là dove detta lettera era ‘mera espressione di pentimento e rincrescimento per l ‘atteggiamento tenuto e per aver usato un tono non appropriato’.
-Il quarto e il quinto motivo -da scrutinarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi -sono in parte infondati e in parte inammissibili.
5.1. -È infondata, anzitutto, la doglianza di motivazione affetta da anomalia che la rende al di sotto del c.d. ‘minimo costituzionale’, così da integrare violazione di legge (artt. 111, comma sesto, Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.).
Giova rammentare che un tale vizio -che attiene all ‘ esistenza della motivazione in sé e deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l ‘aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione (tra le molte, Cass., S.U., n. 8053/2014). In particolare, poi, la motivazione è solo ‘apparente’ quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, giacché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all ‘ interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Cass., S.U., n. 22232/2016; Cass. n. 22022/2017; Cass. n. 21037/2018; Cass. n. 27112/2018).
Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata (cfr. sintesi al § 1.1. del ‘Ritenuto in fatto’, cui si rinvia integralmente) si mostra affatto intelligibile e coerente nel suo sviluppo logico, privo di insanabili contraddizioni e, dunque, ben rispettosa del c.d. ‘minimo costituzionale’.
Peraltro, vale quanto già posto in evidenza in sede di scrutinio del secondo e terzo motivo di ricorso rispetto alle ulteriori critiche di parte ricorrente, che si fondano sull ‘ assunto di assenza di prova dell ‘ illecito.
5.2. -Inammissibili sono, altresì, le censure che -evocando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2697 e
2729 c.c. -sono nella sostanza volte a criticare la valutazione degli elementi di fatto, anche attraverso un percorso inferenziale, operata dal giudice di merito, sollecitando un sindacato che non è consentito in questa sede di legittimità.
È, difatti, principio consolidato che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione anche del citato art. 2729 c.c. non può concretarsi nella ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (tra le altre, Cass. n. 9054/2022). Ciò che, invero, si rinviene nelle censure in esame, ricostruendo il ricorrente un differente percorso inferenziale rispetto a quello seguito dal giudice del merito, dando anche alle c.d. ‘lettura di scuse’ un significato congeniale alla propria personale prospettazione.
6. -Il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza