Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23454 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23454 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26894-2022 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore , AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 145/2022 della Corte d’appello di Bologna, pubblicata in data 06/07/2022;
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Sindacato sulla valutazione della prova ex art. 116 c.p.c. Inammissibilità
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1445/22, del 6 luglio 2022, della Corte d’appello di Bologna, che respingendone il gravame avverso la sentenza n. 400/2021, del 19 giugno 2021, del Tribunale di Ferrara -ha dichiarato risolto, per grave inadempimento della stessa, il contratto di locazione ad uso commerciale corrente con RAGIONE_SOCIALE, condannandola a pagare alla locatrice la somma di € 11.415,04 per canoni scaduti e impagati dal gennaio al luglio 2019, oltre interessi al tasso legale ‘dal dì del dovuto al saldo effettivo’.
Riferisce , in punto di fatto, l’odierna ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE ebbe ad intimarle sfratto per morosità, in relazione al mancato pagamento -in allora, per i mesi da gennaio a maggio 2019 -dei canoni della locazione di un immobile sito in Ferrara, in INDIRIZZO, adibito ad albergo.
Costituitasi in giudizio, l’intimata si opponeva alla convalida dello sfratto, eccependo, a norma dell’art. 1460 cod. civ., l’omessa esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione dei quali essa conduttrice si era, pertanto, dovuta fare carico, proponendo, quindi, domanda riconvenzionale, volta sia al rimborso di spese all’uopo sostenute, sia al risarcimento del danno -stimato in € 25.000,00 da mancato sfruttamento dell’immobile. Esclusa dall’adito giudicante la ricorrenza dei presupposti per l’emissione di ord inanza provvisoria di rilascio (dando atto che l’opposizione risultava fondata su ‘idonea documentazione’, attestante che ‘l’immobile locato risultava in
pessime condizioni di manutenzione prima della contestata morosità’ e che esso ‘necessitava di interventi di manutenzione non ordinaria’), veniva disposta la conversione del rito, con concessione di termine per l’integrazione degli atti introduttivi.
Espletato, senza successo, il procedimento di mediazione obbligatoria, istruita la causa anche con lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, l’esito del primo grado di giudizio consisteva nell’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento proposta dalla locatrice, con decisione, poi, confermata in appello.
Avverso la sentenza la sentenza della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ. ‘in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.’.
Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale ‘non ha minimamente preso in valutazione le doglianze proposte nell’atto di appello’, essendosi limitata ‘a confermare la bontà della sentenza impugnata avvalorando in conteggi eseguiti dal Giudice di primo grado’, mentre gli stessi ‘erano sbagliati’.
Invero, il giudice d’appello si duole la ricorrente -‘non ha valutato le spese indicate dal CTU’, né che quelle ‘relative al rifacimento della realizzazione di una «nuova saletta o area comune» pari a € 3.775,78 non potevano o dovevano essere imputate come spese di manutenzione ordinaria ma quali spese straordinarie da porsi a carico della proprietaria’. Del pari, alla proprietà si sarebbe dovuto far carico pure delle spese per le pulizie, giacché ‘derivate dal fatto che l’albergo era stato chiuso per mancanza dei requisiti per rimanere aperto, ovvero per la
mancanza della predetta saletta oltre che della hall e del bagno comune’, quest’ultimo chiuso perché aveva ‘ceduto il soffitto’.
Si contesta, in particolare, alla Corte territoriale di non aver né ‘rivalutato i documenti prodotti nel primo grado di giudizio’, né di aver ‘motivato sul contestato criterio adottato dal Giudice di primo grado in ordine all’attribuzione di un valore così assoluto alla perizia del CTU onde valutare la gravità dell’inadempimento’ ad essa COGNOME imputato.
Allo scopo, dunque, di evidenziare gli errori commessi da ambo i giudici di merito, in particolare in relazione al difetto di motivazione circa i l ‘criterio di imputazione dei vari costi’, la ricorrente riproduce la parte dell’elaborato tecnico dell’ausiliario del giudice ‘in cui sono stati quantificati i lavori necessari per mettere a norma l’immobile’.
In relazione, pertanto, ai suddetti conteggi, sarebbe occorsa -già da parte del giudice di primo grado -l’esplicitazione della motivazione per la quale si riteneva che essi corrispondessero a ‘spese straordinarie’ oppure a ‘spese di manutenzione ordinaria’ . Pertanto, arrivare ‘a sintetizzare che vi è stato un inadempimento maggiore’ da parte di essa COGNOME, sul presupposto ‘che i lavori di manutenzione ordinaria fossero superiori rispetto a quelli imputati a presunti lavori di manutenzione straordinaria è del tutto inconcepibile e fuorviante’. E ciò in quanto dalla ‘documentazione depositata in atti emerge tutta un’altra realtà e tutta un’altra serie di contestazioni in merito all’inadempimento da parte della proprietaria’, c iò che la ricorrente procede, in ricorso, ad indicare.
Essa, segnatamente, evidenzia come le ‘problematiche strutturali ed impiantistiche’ dell’immobile (concretizzatesi, poi, in ‘gravi cedimenti’ di sue parti), fossero state rilevate già in occasione della perizia di stima dell’immobile, effettuata nel corso della procedura esecutiva all’esito della quale la COGNOME si era
aggiudicata lo stesso, così divenendone proprietaria, oltre che riscontrate dai RAGIONE_SOCIALE nel sopralluogo effettuato il 13 novembre 2018 in relazione al suo ‘dissesto statico’, tanto da dichiarare ‘non fruibili’ i vani interessati da tale fenomeno e da indurre lo stesso Comune di Ferrara ad inviare alla COGNOME, il successivo 21 novembre, una diffida a mettere in sicurezza l’immobile. Sarebbe stato, dunque, a fronte dell’inerzia della locatrice -si ribadisce con il presente motivo di ricorso -che essa COGNOME ha provveduto all’esecuzione (come da preventivi versati in atti) di quei lavori di manutenzione straordinaria che avrebbero dovuto fare carico, invece, alla COGNOME, determinazione assunta dall’odierna ricorrente anche nel timore di una revoca dell’abilitazione per l’esercizio dell’attività alberghiera.
Nel corso del giudizio, peraltro, la situazione si aggravava ulteriormente, atteso che il Comune di Ferrara, in data 13 giugno 2019, diffidava la RAGIONE_SOCIALE a compiere una serie di lavori necessari per l’integrazione dei requisiti minimi richiesti per la clas sificazione dell’albergo ad una stella, chiedendo, inoltre, alla AUSL territorialmente competente di eseguire gli accertamenti tecnici di sua spettanza. Essa, con sopralluogo effettuato in data 11 luglio 2019, rilevava la presenza, nell’immobile, di condiz ioni ‘antigieniche’, tanto che la RAGIONE_SOCIALE -presente allo stesso -dichiarava di aver presentato al ‘SUAP’ del Comune ferrarese una ‘SCIA’ di sospensione dell’esercizio dell’attività dal 13 luglio 2019 fino al 13 luglio 2020.
Orbene, assume la ricorrente che tutta ‘la predetta documentazione’ non sarebbe stata ‘presa in visione né dal Giudice di primo grado né dalla Corte di Appello di Bologna’, donde l’esistenza del vizio di ‘malgoverno delle risultanze documentali’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -‘violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, in particolare dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1460, 1576 e 1575, comma 1, n. 2), cod. civ.’.
Sul presupposto che questa Corte -è citata Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892 -avrebbe ritenuto ‘possibile denunciare il vizio di violazione di legge per violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. (non in sé per sé considerato) allorquando la «valutazione imprudente» della prova sia grave, risolvendosi in un’interpretazione logicamente insostenibile, ed abbia determinato un’errata ricostruzione del fatto e quindi un’erronea applicazione di norma di diritto’, la ricorrente assume che tale sarebbe, appunto, il caso di specie. Si ribadisce che la Corte felsinea ha solo testualmente riportato quanto affermato dal primo giudice, senza motivare alcunché, e ciò ‘in base all’omessa visione di tutta la documentazione in atti e soffermandosi solo sul fatto c he non vi siano stati «danni strutturali»’, che potessero ‘incidere sulla staticità/stabilità/sicurezza dell’immobile’ (all’infuori di quelli il cui costo è stato stimato in € 6.759,58), secondo quanto emerso sia dalla perizia espletata su incarico congiunto delle parti a seguito di mancato accordo in sede di mediazione, sia da quella svolta dall’ausiliario del giudice.
Su tali basi, quindi, la sentenza impugnata ha concluso che ‘la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto, al più, rivendicare una compensazione con quanto la stessa aveva affermato di aver anticipato e speso in luogo del proprietario, ovvero la somma di € 4.903,00 circa, ma anche sino a € 6.579,58, ma in alcun modo, cessare autonomamente, ai sensi dell’art. 1460 c od. civ., il pagamento dei canoni tout court ‘, quelli insoluti essendo stati ‘quantificati nell’ordine di € 11.415,04’, e quindi tali da integrare, ‘nel quadro di rilevanza causale del contratto’, il ‘grave i nadempimento ex art. 1455 cod. civ. sancito a carico della conduttrice’.
Senonché, come detto, il giudice d’appello ‘non ha valutato le spese indicate dal CTU’, né che quelle ‘relative al rifacimento di una nuova «saletta o area comune» pari a € 3.775,78 non dovevano e non potevano essere valutate come spese di manutenzione ordinaria ma quali spese straordinarie da porsi a carico della proprietaria’, come, del resto, non potevano considerarsi a carico della conduttrice neppure le spese di pulizia.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile in ciascuno dei motivi in cui si articola.
8.1. Il primo motivo, infatti, è inammissibile.
8.1.1. Esso denuncia un supposto vizio motivazionale, per essersi la Corte felsinea limitata ‘a confermare la bontà della sentenza impugnata’, d oglianza che si risolve, però, nella contestazione di un ‘malgoverno delle risultanze documentali’, per non essersi presa visione di una serie di emergenze
documentali che avrebbero portato a concludere nel senso di un maggior credito di essa COGNOME (e, comunque, di un più grave inadempimento della COGNOME) per la ripetizione di spese effettuate in relazione ad interventi che esulavano dalla manutenzione ordinaria, rispetto al credito della locatrice in ordine al pagamento del canone.
Orbene, anche a voler ritenere che quello denunciato sia un vizio motivazionale (e non un tentativo, precluso in questa sede di legittimità, di rimettere in discussione l’apprezzamento delle risultanze istruttorie), esso è, comunque, inammissibile.
Occorre, infatti, rammentare che, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -nel testo ‘novellato’ dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (appl icabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 62983001, nonché, ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).
Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti ‘meramente apparente’, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di ‘carenza grafica’ della stessa, quando essa, ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01, Cass. Sez. 6-1, ord. 1° marzo 2022, n.
6758, Rv. 66406101), o perché affetta da ‘irriducibile contraddittorietà’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 65088001), ovvero connotata da ‘affermazioni inconciliabil i’ (da ultimo, Cass. Sez. 6 -Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 64962801), mentre ‘resta irrilevante il semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit .), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01), dovendo, dunque, trattarsi sempre di un vizio ‘testuale’ (così, in motivazione Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, Rv. 670391-01), e non destinato ad emergere ‘ aliunde ‘, come si assume, invece, nel caso di specie, postulandosi, come detto, la necessità di un confronto con la documentazione in atti.
8.2. Anche il secondo motivo è inammissibile.
8.2.1. Esso propone una configurazione del vizio di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. che non trova alcun riscontro nella giurisprudenza di questa Corte.
Difatti, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è ravvisabile solo quando ‘il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria
soggetta ad un diverso regime’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, erroneamente richiamata dalla ricorrente a sostegno del motivo; nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 65884002), mentre ‘ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivaz ione relativa all’apprezzamento della prova, dei già segnalati i profili ‘testuali’ di irriducibile contraddittorietà, di inconciliabilità logica o di assoluta inintelligibilità del ragionamento probatorio.
Deve, dunque, vieppiù confermarsi che, in un sistema in cui non è consentito a questa Corte di legittimità che un sindacato limitatissimo sulla motivazione della sentenza , ‘il controllo sul giudizio di fatto ‘, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., ‘ resta affidato all’impugnazione di merito che caratterizza il giudizio di appello, il quale costituisce, come è noto, non un sindacato sull’atto (il provvedimento giurisdizionale di primo grado), ma un giudizio direttamente sul rapporto dedotto in giudizio ‘ (co sì, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 17 novembre 2021, n. 34786, Rv. 663118-01).
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
10. A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME, in proprio e nella già indicata qualità, a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.5 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contrib uto unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della