Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22362 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 38287/2019 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso giusta procura in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
CONTRO
Comune di Paludi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 1828/2019, depositata il 26/9/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 /3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione del 14/3/2001 NOME COGNOME conveniva in giudizio il Comune di Paludi chiedendo la condanna «all’immediato risarcimento in favore dell’attore, dei danni causati allo stesso dall’illegittima occupazione per cui è giudizio, mediante il pagamento della somma determinanda a mezzo CTU ; condannare, inoltre, il Comune di Paludi al risarcimento immediato in favore dell’attore, di tutti gli ulteriori danni cagionatigli mediante le attività indicate in premessa».
In particolare, l’attore deduceva di essere proprietario di un terreno sito nel Comune di Paludi, loc. Pantano, facente parte di un fondo di maggiore consistenza individuato originariamente in catasto al foglio 19, particella 95.
Il terreno era stato espropriato per la realizzazione di un canale di scolo.
Si costituiva in giudizio il Comune chiedendo il rigetto delle domande e «precisando che la sede del canalone non era stata spostata e soprattutto la porzione di terreno occupata dal Comune risultava essere di soli 40 mq».
Veniva espletata una prima CTU affidata all’Ing. COGNOME.
Con la sentenza del Tribunale del 5/7/2016 veniva accolta la domanda dell’attore, con condanna del Comune al pagamento in suo favore della somma di euro 32.210,10.
Il Tribunale accertava che il terreno del COGNOME, identificato in catasto originariamente al foglio 19, particella 95, era stato poi fra-
zionato nelle particelle 377 (successivamente alienata), 380 (anch’essa successivamente alienata), 422 e 423.
In particolare, si precisava che tale terreno era stato già interessato da un precedente esproprio per la realizzazione della strada Paludi-Sila, con la stipulazione di una transazione il 4/2/1999, con cui l’attore aveva ottenuto l’indennizzo di lire 16.000.000, in relazione a mq 400 di terreno espropriato, per la somma di lire 15.000 al metro quadrato.
Con i lavori di costruzione del canale di scolo il Comune aveva occupato mq 872,50, ricadenti in parte della particella 377 (già alienata) ed in parte nella particella 423, nella misura di mq 510,60.
Il danno subito dall’attore per l’occupazione illegittima della particella 423 doveva essere calcolato sulla superficie di mq 424,90, sottraendo quindi dalla superficie complessiva occupata di mq 510,60 quella di mq 85,70 «utilizzata per la costruzione della strada Paludi-Sila e già indennizzata con la transazione del 1999».
Pertanto, al COGNOME spettavano euro 23.569,50, a titolo di risarcimento del danno subito per la perdita del terreno occupato dall’opera pubblica (euro 55,00 X mq 424,90), oltre ad euro 9840,6, a titolo di risarcimento del danno da deprezzamento del terreno residuo di mq 596,40, stimato dal CTU nella misura del 30% del suo valore, per un importo totale di euro 33.210,10.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale il Comune di Paludi sulla base di tre motivi.
3.1. Il primo motivo di appello principale era relativo all’estensione del terreno oggetto di occupazione. L’occupazione illegittima avrebbe riguardato la sola superficie occupata dal nuovo canale di scolo, pari a mq 78.
3.2. Il secondo motivo di appello principale atteneva al valore unitario di euro 55/mq attribuito al terreno dalla CTU COGNOME. Il
valore del terreno occupato sarebbe stato inferiore rispetto a quello individuato dal CTU.
3.3. Il terzo motivo di appello principale riguardava il «ritenuto deprezzamento dell’area residua», in quanto non vi era stato deprezzamento di tale area residua «tuttora recintata e coltivata dal COGNOME».
Resisteva il COGNOME proponendo anche appello incidentale.
Con la comparsa di costituzione in appello il COGNOME deduceva l’inammissibilità dell’appello principale ex art. 342 c.p.c., come pure l’inammissibilità dell’appello principale per «violazione degli articoli 183 e 184 c.p.c. (nella formulazione applicabile alla fattispecie de qua) e dell’art. 345 c.p.c.».
Reputava che l’appello principale fosse fondato «su fatti, deduzioni, allegazioni ed eccezioni in alcun modo acquisite ritualmente né acquisibili in questa sede», con la precisazione che «in grado di appello non possono essere ampliati il thema disputandum ed il thema decidendum ».
La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1828/ 2019, del 26/9/2019, all’esito dell’espletamento della seconda CTU (Ing. COGNOME), accoglieva i tre motivi di appello principale, condannando il Comune al pagamento in favore dell’attore della minor somma di euro 1950,00.
Dichiarava inammissibile l’appello incidentale del COGNOME.
5.1. Preliminarmente, la Corte territoriale respingeva l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale del Comune, ex art. 342 c.p.c., sollevata dal COGNOME.
5.2. Inoltre, reputava non fondata ulteriore eccezione «di nullità della sentenza di primo grado», sollevata dal COGNOME, in quanto «la decisione sarebbe fondata su documenti allegati alla CTP del Comune
di Paludi, depositata oltre il termine perentorio concesso ex art. 184 c.p.c. per la produzione documentale».
Per la Corte d’appello, il deposito della consulenza di parte, da considerare come un’allegazione difensiva, non era soggetto al termine di preclusione ex art. 184 c.p.c.
Peraltro, la CTU, svolta in prime cure, era frutto di autonomi accertamenti effettuati dal consulente «e della disamina della transazione intervenuta tra le parti nel 1999 acquisita sì nel corso delle operazioni peritali, ma in realtà già depositata dallo stesso attore al momento della costituzione in giudizio».
Inoltre, la CTU di primo grado era stata espletata utilizzando «le visure catastali acquisite il 7/12/2010, il rilievo topografico effettuato nel contraddittorio delle parti (messo a confronto con quello effettuato dal CTP del COGNOME), il certificato di destinazione urbanistica, l’estratto di mappa, le fotografie riproducenti il canale di scolo per cui è causa)».
La Corte d’appello, inizialmente, accoglieva il primo e il terzo motivo di gravame.
Chiariva la Corte territoriale che la controversia riguardava la realizzazione «di un nuovo canale di scolo in cemento in sostituzione del vecchio canale di scolo naturale».
Rimarcava che i due CTU avevano stimato in modo diverso l’area occupata: in prime cure l’Ing. COGNOME aveva calcolato la superficie occupata in mq 424,90; in secondo grado l’Ing. COGNOME aveva determinato tale superficie di mq 400,60, con una differenza quindi di mq 24,30.
A tali risultati era giunto il primo CTU, sottraendo alla superficie della particella 423 di mq 510,60, quella di mq 87,50, in precedenza occupata per la costruzione della strada e già indennizzata con la transazione del 4/2/1999.
Il secondo CTU aveva invece sottratto ai mq 510,60 della particella 423 una maggiore estensione di mq 110,00 già indennizzata con la precedente transazione.
La Corte d’appello si discostava, però, da entrambe le CTU, in riferimento all’area effettivamente occupata, giungendo a ritenere che l’unica superficie occupata era quella di mq 78.
Ciò in quanto la particella 423, già prima della costruzione del nuovo canale, risultava attraversata da un canale di scolo naturale, sicché la porzione di terreno a monte del canale (quella compresa tra il canale della strada) non risultava interclusa.
I CTU, invece, avevano preso in considerazione, non solo l’area utilizzata per la costruzione del canale di scolo, pari a mq 78, ma anche «la porzione della particella 423 compresa tra il nuovo canale e la strada Paludi-Sila di mq 322,60 secondo la CTU COGNOME (mq 400,60 – mq 78)».
Nulla spettava, dunque, all’attore per la superficie residua di mq 322,60 «neppure a titolo di risarcimento del danno da deprezzamento», in quanto tale porzione di terreno non era interclusa «perché accessibile dalla strada pubblica» e si trovava «attualmente nella disponibilità del COGNOME, risultando dalla documentazione fotografica in atti recintata e coltivata».
Inoltre, quanto alla residua superficie della particella 423, «posta a valle del canale di scolo», di mq 596,40 in base alla CTU COGNOME, sulla quale insisteva un uliveto, non si era verificata alcuna diminuzione di valore.
Non erano state infatti pregiudicate le possibilità edificatorie, essendo sufficiente osservare che l’intera particella 423 non aveva i requisiti per l’effettiva edificabilità «posto che solo una piccola porzione di mq 179 si trovava in zona B1 di completamento e che tutta
la restante superficie si trovava in zona destinata a verde attrezzato e a strada pubblica».
La Corte d’appello accoglieva anche il secondo motivo di gravame, rilevando l’eccessività della stima effettuata dal primo CTU COGNOME, pari ad euro 55 al mq.
Condivideva, invece, la stima espletata in secondo grado dal CTU COGNOME che aveva tenuto conto di quanto riportato nell’atto di transazione del 4/2/1999, relativo al medesimo terreno, per una frazione dello stesso, con una stima di euro 20,00 al metro quadrato, pari a lire 40.000 a metro quadrato, «opportunamente rivalutato alla data della stima (maggio 2018) in euro 25,00 a metro quadrato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Paludi, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione art. 112 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Omessa pronuncia su eccezione di inammissibilità dell’appello derivante da ampliamento del thema decidendum e del thema probandum . Proposizione eccezioni nuove e presentazione documenti nuovi in appello. Violazione art. 345 c.p.c.».
La sentenza impugnata sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c. «per omessa pronuncia».
La Corte territoriale non avrebbe deciso in ordine alla «seconda delle due eccezioni dell’appellato, di inammissibilità dell’appello avverso, che è tesa a denunciare l’illegittimo ampliamento del thema decidendum ».
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. In realtà, la Corte d’appello si è pronunciata espressamente in ordine alla eccezione di inammissibilità del gravame principale proposto dal Comune di Paludi, sollevata dalle COGNOME.
Ed infatti, la Corte territoriale dopo aver ritenuto non fondata la prima questione preliminare dedotta dalle COGNOME, in ordine alla inammissibilità dell’appello principale per mancanza di specificità ex art. 342 c.p.c., ha anche affrontato la seconda eccezione sollevata dall’attore «sul rilievo che la decisione sarebbe fondata su documenti allegati alla CTP del Comune di Paludi, depositata oltre il termine perentorio concesso ex art. 184 c.p.c. per la produzione documentale».
La Corte d’appello, infatti, «in disparte ogni considerazione sulla genericità dell’eccezione per omessa specificazione dei documenti», ha sottolineato che «il deposito della consulenza di parte – da considerare come un’allegazione difensiva – non è soggetto al termine stabilito dal codice per la produzione di documenti, e peraltro verso, che la consulenza di primo grado, recepita dal Tribunale, in realtà, è frutto di autonomi accertamenti effettuati dal consulente e dalla disamina della transazione intervenuta tra le parti nel 1999 acquisita sì nel corso delle operazioni peritali, ma in realtà già depositata dallo stesso attore al momento della costituzione in giudizio e quindi certamente utilizzabile».
Senza contare che il CTU di prime cure ha utilizzato «le visure catastali acquisite il 7/12/2010, il rilievo topografico effettuato nel contraddittorio delle parti (messo a confronto con quello effettuato dal CTP del COGNOME), il certificato di destinazione urbanistica, l’estratto di mappa, le fotografie riproducente il canale di scolo per cui è causa».
Come si vede, v’è stata ampia risposta da parte della Corte d’appello all’eccezione sollevata dal COGNOME nella comparsa di costituzione in appello.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 183,184 e 345 c.p.c., nonché degli articoli 132, primo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c. e art. 111 Costituzione (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Inosservanza termine per precisazione e modifica di eccezioni e conclusioni formulate in atto introduttivo (comparsa di risposta). Inosservanza termine per formulazioni richieste istruttorie e produzioni documentali. Violazione del divieto di eccezioni e conclusioni nuove in appello e del divieto di produzione di documenti nuovi in appello. Inammissibilità appello. Violazione divieto ex art. 345 c.p.c. Omessa motivazione o motivazione apparente».
Vi sarebbe un contrasto tra la comparsa di costituzione con cui il Comune di Paludi si è costituito in primo grado di giudizio, e l’atto di appello formulato dallo stesso ente in data 31/1/2017.
Nella comparsa di costituzione il Comune avrebbe formulato la generica contestazione della domanda dell’attore («l’attore assume con l’atto introduttivo circostanze non esatte vero essendo che la porzione di terreno occupata dal Comune sulla base dell’ordinanza in epigrafe citata risulta essere corrispondente a circa 40 m²; ed inoltre, non risponde al vero nemmeno l’affermazione che il Comune di Paludi avrebbe operato lo spostamento della sede del canalone di scolo»).
Diversamente, in sede d’appello il Comune di Paludi avrebbe modificato l’oggetto del giudizio, sollevando questioni nuove.
Tra l’altro, le questioni nuove poste a base dell’appello poggerebbero su documenti allegati solo in occasione della relazione del CTP del Comune di Paludi, con violazione dell’art. 184 c.p.c.
L’atto d’appello sarebbe così sorretto da nuovi documenti, non depositati entro il termine di cui all’art. 184 c.p.c., con violazione dell’art. 345 c.p.c. «integrata riguardo al divieto sia di nuove eccezioni che di produzione di nuovi documenti in appello».
Sarebbe poi assente la motivazione.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Infatti, da un lato, non si affronta la ratio decidendi contenuta nella motivazione della sentenza della Corte d’appello, in relazione alla mancata precisazione dei singoli documenti asseritamente inutilizzabili, dall’altro nel motivo di ricorso non si indicano con precisione i documenti che sarebbero stati prodotti tardivamente, né si specifica il momento di deposito di ciascun documento.
Senza contare che la Corte territoriale ha indicato con chiarezza che l’atto di transazione del 1999, anche se acquisito nel corso delle operazioni peritali, era stato però depositato dallo stesso attore al momento della costituzione in giudizio.
2.2. Si rileva, poi, che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione precisa delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione adottata.
2.3. Inoltre, non v’è stata alcuna mutatio libelli da parte del Comune nel corso del giudizio e, tantomeno, nell’atto di appello.
Infatti, con la comparsa di costituzione il Comune, come risulta dallo stralcio riportato dal COGNOME nel ricorso per cassazione, ha contestato espressamente il contenuto dell’atto di citazione dell’attore, asserendo che la superficie occupata era comunque di 40 m² e che non vi era stato alcuno spostamento della sede del canalone di scolo.
L’atto d’appello principale del Comune, per come trascritto dall’attore, non sposta i termini della questione, ma si limita a prendere posizione sugli esiti della CTU espletata in prime cure.
Costituiva del resto circostanza pacifica che in precedenza, nel 1999 fosse stata stipulata la transazione tra le parti, in relazione, sempre alla particella 423, per la superficie di mq 87,50.
Il Comune di Paludi si è limitato a precisare, nell’atto di gravame, che «la porzione di terreno occupata è pari – esclusivamente alla parte di canalone in cemento realizzata sulla particella 423 ed in particolare 78 m quadri così calcolati: ml 1,20 di larghezza X ml 65 di lunghezza».
Nell’atto di appello si è precisato anche che la porzione della particella 423, posta sopra al canalone, non era interclusa, ma era utilizzata dal COGNOME («infatti, la rimanente parte, corrispondente a 314 m², compresa tra la strada di Paludi-montagna e il nuovo canalone in cemento, risulta nella piena disponibilità del COGNOME che l’ha recintata e la continua a coltivare, e comunque non risulta in alcun modo irreversibilmente modificata»).
Nell’appello principale si è evidenziato che tale circostanza emergeva «da atti ufficiali del Comune e dai rilievi fotografici, che mostrano l’area recintata e gli ulivi insistenti».
2.4. Va, peraltro, chiarito che, nell’atto d’appello il Comune non ha sollevato eccezioni in senso stretto, per le quali v’è la preclusione di cui all’art. 183 c.p.c., ma si è limitato, come del resto nell’ambito della comparsa di costituzione di prime cure, a contestare i fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria dell’attore, prospettando, dunque, eccezioni in senso lato, ossia mere difese, che non incorrono in preclusioni.
Trova applicazione, infatti, il principio consolidato di questa Corte per cui, in relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente
nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte.
In ogni altro caso si deve ritenere sussistente la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere-dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile (Cass., Sez. U., 3/2/1998, n. 1099).
Ed infatti, le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero «non rilevabili d’ufficio», e non, indiscriminatamente, tutte le difese, co-
munque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni “in senso lato” o “improprie” (Cass., sez. 1, 20/3/ 2017, n. 7107; Cass., sez. 2, 31/10/2018, n. 27998).
Tra l’altro, le eccezioni in senso lato consistono nell’allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio, con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall’attore e non risultanti dagli atti di causa, mentre le mere difese si limitano a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria e sono sottratte al divieto di cui all’art. 345, 2º comma, c.p.c., sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (Cass., sez. 3, 6/5/2020, n. 8525; Cass., Sez. U., 22/3/2017, n. 7294, con riferimento al rilievo d’ufficio della nullità del contratto).
Nella motivazione della sentenza della Corte d’appello si indicano con precisione i documenti depositati nel corso del giudizio di prime cure, ed allegati alla CTU, ivi compreso il «rilievo topografico», effettuato «nel contraddittorio delle parti (messo a confronto con quello effettuato dal CTP del COGNOME)».
2.5. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione articoli 112,184 c.p.c., nonché degli articoli 132, primo comma, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c. e 111 Costituzione (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Eccesso di pronuncia. Decisione eccezione di nullità non proposta dall’appellato. Difetto di pronuncia. Omessa decisione dell’eccezione di tardività della produzione avversa. Difetto di motivazione. Motivazione mancante o apparente».
Per il ricorrente, la sentenza della Corte d’appello sarebbe erronea sia «per eccesso di pronuncia», non avendo il COGNOME formulato alcuna eccezione di nullità della sentenza di primo grado, sia per omessa pronuncia, in quanto l’attore, nell’atto di costituzione in appello, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di tutti i documenti versati da controparte in primo grado, senza l’osservanza dei termini di cui all’art. 184 c.p.c., «inclusi i documenti allegati alla relazione del CTP del Comune di Paludi, Geom. NOME COGNOME prodotta in detto grado».
Nessuna decisione sarebbe stata dalla Corte d’appello adottata in relazione a tali richieste.
Peraltro, la Corte d’appello avrebbe comunque violato l’art. 184 c.p.c., in tema di «tardività della produzione documentale».
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Come già detto, nella motivazione della sentenza della Corte d’appello vi è una espressa risposta in relazione alla eccezione di tardività dei documenti prodotti dal Comune in primo grado, soprattutto con riferimento alla relazione depositata dal c.t. di parte del Comune.
La Corte d’appello ha rilevato, «in disparte ogni considerazione sulla genericità dell’eccezione per omessa specificazione dei documenti tardivi», che la consulenza tecnica di parte non è soggetta al termine di cui all’art. 184 c.p.c., vigente ratione temporis , ma costituisce una allegazione difensiva.
Così motivando, la Corte territoriale si è allineata alla giurisprudenza di questa Corte per la quale le consulenze tecniche di parte non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese. Tuttavia, quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a
conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d’ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass., sez. 5, 21/11/2019, n. 30364).
Tant’è vero che essendo priva di autonomo valore probatorio, la produzione della consulenza tecnica di parte è sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., sì da essere consentita anche in appello (Cass., sez. 2, 24/8/2017, n. 20347; Cass., sez. 2, 19/1/2022, n. 1614).
3.3. Va anche precisato che questa Corte, a Sezioni Unite, del 1° febbraio 2022 n. 3086, ha affermato la possibilità per il CTU di valutare i documenti forniti dalle parti allo stesso, per consentirgli di svolgere il proprio mandato al fine di far conoscere al giudice la verità, anche dopo il decorso dei termini di preclusione di cui all’art. 183, comma 6º, c.p.c.
3.4. La Corte ha chiarito che il CTU è un ausiliario di giustizia restando la sua attività in funzione del superiore interesse della giustizia, con funzione «ancillare» rispetto a quella del giudice, che è il destinatario naturale dell’attività del consulente tecnico. Dopo aver distinto la consulenza tecnica «deducente» (che si esercita sul compendio probatorio edificato dalle parti) da quella «percipiente», e dopo aver segnato i confini tra il potere di «allegazione», spettante unicamente alle parti (in quanto estrinsecazione del principio della domanda e del correlativo principio dispositivo), ed il potere di «rilevazione», spettante anche al giudice (atteso il generale potere che gli compete di rilevare l’eccezione in senso lato), ha disegnato le caratteristiche salienti dei «fatti principali» e dei «fatti secondari» o «accessori» (privi di efficacia probatoria diretta, ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali). Il nostro codice prevede varie ipotesi di poteri d’ufficio del giudice, come emerge anche dall’art. 421,
secondo comma, c.p.c., per il processo del lavoro, e dall’art. 186, ottavo comma, c.p.c., con riferimento al processo ordinario di cognizione. Altre norme esaltano il potere ufficioso del giudice, come quelle di cui all’art. 118 c.p.c. (ispezione), all’art. 213 c.p.c. (informazione alla pubblica amministrazione) ed all’art. 2711 c.c., sia pure nei limiti della «indispensabilità» della prova, per garantire il «primario valore della giustizia della decisione». Se, dunque, il CTU svolge una funzione ancillare accanto al giudice, al solo scopo di far conoscere al giudice la verità, è evidente che non è possibile applicare alla sua attività lo sbarramento preclusivo istruttorio di cui all’art. 183 c.p.c., come ha, invece, ritenuto Cass., n. 31886/2019. Nell’esercizio del potere di rilevazione non può opporsi al giudice che i fatti siano venuti a conoscenza non motu proprio , ma attraverso le indagini commissionate al CTU, che lui stesso avrebbe dovuto compiere se non avesse avuto la necessità di servizi di un esperto. La sanatoria di cui all’art. 157, secondo comma, c.p.c., opera con riferimento ai «fatti secondari», sicché il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottoposti, a condizione che essi non siano dirette a provare i «fatti principali» dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto per quest’ultime, che non si tratti di documenti dirette a provare fatti principali rilevabili d’ufficio. Inoltre, ove si siano acquisiti dal CTU documenti, in caso di accertamento di fatti «diversi dai fatti principali» dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, in violazione del contraddittorio delle parti, vi è nullità relativa rilevabile ad iniziativa di
parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso. In linea generale, quindi, «i vizi che infirmano l’operato del CTU sono fonte di nullità relativa e fluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell’art. 157, comma 2, c.p.c.». Solo con riferimento all’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni (quindi se la consulenza affidata al perito indaghi su temi estranei all’oggetto della domanda), e salvo che quanto alle eccezioni non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, l’operato consulente tecnico nominato dal giudice viola il principio della domanda e del principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c..
3.5. I fatti principali sono, dunque, quelli individuati dalla situazione giuridica azionata ( causa petendi ) e dalla pretesa esercitata ( petitum ). Pertanto, per l’individuazione dei fatti principali deve aversi riguardo alle circostanze realmente indispensabili ad individuare l’oggetto della pretesa o quanto strettamente necessario perché essa sia accolta. I fatti secondari, per autorevole dottrina, non sono quelli identificativi o fondativi di una situazione giuridica soggettiva o di una eccezione, ma sono idonei a reggere il ragionamento inferenziale che, in via logica, consente di argomentare e sorreggere il ragionamento utile a dimostrare i fatti «principali».
Si è, dunque, ritenuto che, in tema di preclusioni processuali, occorre distinguere tra fatti principali, posti a fondamento della domanda, e fatti secondari, dedotti per dimostrare i primi, l’allegazione dei quali non è soggetta alle preclusioni dettate per i fatti principali, ma trova il suo ultimo termine preclusivo in quello eventualmente concesso ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., anche se richiesto ai soli fini dell’indicazione dei mezzi di prova o delle produzioni documentali (Cass., sez. 3, 6 maggio 2020, n. 8525).
3.6. Nella specie, è evidente che i documenti acquisiti dal CTU (anche attraverso la relazione del CTP del Comune), sia in prime cure, nel giudizio di divorzio, sia in sede di appello, attengono ai «fatti secondari», in relazione alle domande fatte proprie dall’attore.
La Corte d’appello sul punto ha reputato valide le conclusioni del CTU di primo grado, sotto il profilo della ritualità, anche se leggermente diverse rispetto a quella espletata in appello; esse erano fondate su «autonomi accertamenti effettuati dal consulente» e sulla «disamina della transazione intervenuta tra le parti nel 1999 acquisita sì nel corso delle operazioni peritali, ma in realtà già depositata dallo stesso attore al momento della costituzione in giudizio».
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della «nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 132, primo comma, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c., 111 Costituzione, 24 Costituzione, nonché degli articoli 112,116,183 e 345 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Motivazione mancante o motivazione apparente su estensione terreno occupato illegittimamente e su danni conseguenti al residuo terreno di proprietà del COGNOME. Omessa indicazione fonti di convincimento. Illegittima deliberazione eccezioni nuove presentate in appello dalla appellante. Violazione art. 345 c.p.c. e divieto di eccezioni e conclusioni nuove in appello. Conseguente omessa decisione su censura di inammissibilità di tali eccezioni. Motivazione mancante o apparente sul dissenso conclusioni e risultanze CTU. Illegittimo uso prudente apprezzamento risultanze istruttorie».
In estrema sintesi, poiché il motivo di ricorso muove da pagina 19 a pagina 31 del ricorso per cassazione, la doglianza della ricorrente è quella di una motivazione mancante o apparente da parte della Corte d’appello in ordine alla effettiva estensione di terreno occupata dal Comune.
La Corte d’appello ha ritenuto tale estensione individuata in mq 78, in modo difforme sia dal CTU di primo grado che da quello d’appello. Ciò avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale ad una motivazione più diffusa e persuasiva.
La sentenza, anche se fa cenni alle risultanze delle CTU di primo grado ed appello, sarebbe «priva di motivazione» (cfr. pagina 21 del ricorso per cassazione).
Non si comprenderebbe in quale parte delle proprie difese il Comune di Paludi abbia indicato la dimensione dell’area occupata in metri quadri 78.
Non sarebbe evincibile neppure da quale atto processuale emergerebbe che sia stato «fotografato» lo stato precedente ed attuale del fondo.
Sarebbe mancante anche l’indicazione dell’atto da cui deriverebbe la convinzione che, prima della costruzione del canalone in oggetto, sulla particella 423, la stessa fosse attraversata da un «canale di scolo naturale».
Analogo ragionamento viene fatto con riferimento all’affermazione della Corte territoriale per cui la porzione di terreno a monte del canale non sarebbe «interclusa perché accessibile dalla strada pubblica».
La Corte d’appello non avrebbe indicato la documentazione in cui si rinvengono le fotografie, anche se ammette l’esistenza di «semplici frammenti fotografici» (cfr. pagina 23 del ricorso per cassazione).
Finalmente, a pagina 27 del ricorso, si chiarisce che «la sentenza risulta viziata nella motivazione anche in riferimento alla determinazione di disattendere le conclusioni di entrambi i CC.TT. con riguardo alla estensione del terreno usurpato».
Non vi sarebbe sul punto «un’adeguata motivazione».
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Trova applicazione la giurisprudenza di questa Corte per cui il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale vizio può ricorrere anche nel caso in cui nel corso del giudizio di merito siano state espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, ed il giudice si sia uniformato alla seconda consulenza omettendo il confronto con le eventuali censure di parte senza giustificare la propria preferenza, limitandosi ad un’acritica adesione ad essa, ovvero si sia discostato da entrambe le soluzioni senza alcuna indicazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti (Cass., sez. 6-3, 7/9/2020, n. 18598; Cass., sez. 3, 31/5/2018, n. 13770; Cass., sez. 3, 26/5/2021, n. 14599).
Nella specie, la Corte d’appello ha fornito piena giustificazione delle ragioni per cui si è discostata sia dalla prima CTU, redatta dall’Ing. COGNOME, sia dalla seconda CTU, redatta dall’Ing. COGNOME
Ed infatti, il primo CTU ha determinato la superficie occupata della particella 423 mq 424,90, mentre il CTU COGNOME, in sede di appello, ha determinato tale superficie in mq 400,60.
La differenza era di appena mq 24,30.
Dopodiché ha reputato, discostandosi da entrambi i CTU, che la superficie effettivamente occupata era di mq 78, affermando che «a parte la lieve differenza esistente tra i 2 dati numerici appena riferiti , entrambi i consulenti prendono in considerazione non solo l’area utilizzata per la costruzione del canale di scolo, pari a mq 78, ma anche la porzione della particella 423 com-
presa tra il nuovo canale e la strada Paludi-Sila di mq 322,60 secondo la CTU COGNOME (mq 400,60 – mq 78)».
Aderisce, poi, al calcolo effettuato dal secondo CTU COGNOME laddove evidenzia che mentre il primo CTU, COGNOME, ha espunto dalla superficie della particella 423 di 510,60 quella di mq 87,50 precedentemente occupata per la costruzione della strada e già indennizzata con la transazione del 4/2/1999; il secondo – più correttamente – ha espunto dalla superficie della particella 423 di 510,60 mq quella maggiore di mq 110,00 già indennizzata con la ridetta transazione».
Insomma, per la Corte d’appello, la particella 423, oggetto di occupazione, doveva essere depurata della superficie già considerata nell’atto di transazione del 4/2/1999 che, ad avviso della Corte territoriale, aveva occupato mq 110,00, in base alla prospettazione del secondo CTU, COGNOME.
Tuttavia, la particella 423 presentava a valle un’ulteriore estensione di mq 596,4, sul quale era inserito un uliveto, e nella parte superiore, un’estensione di mq 322,60, recintata e utilizzata dall’attore, non interclusa e collegata con la strada pubblica.
La Corte d’appello si è però discostata, motivatamente, sia con riferimento alla individuazione della superficie effettivamente occupata dal Comune, che è stata quantificata in mq 78,00, ossia considerando solo l’area utilizzata per la costruzione del canale di scolo, sia in relazione al valore del terreno rimanente in capo alla COGNOME, reputando insussistente il deprezzamento, proprio perché la porzione della particella 423 posta a nord era recintata ed utilizzata dall’attore, oltre che collegata alla strada pubblica.
Per cui la Corte territoriale si distacca dal CTU COGNOME il quale invece aveva considerato la porzione della particella 423, di mq 322,60, come un «reliquato» posto tra il canale e la strada (cfr. zona colorata in rosso nella planimetria; allegato 10), «essendo di mode-
sta entità e risultando quasi intercluso»; sicché, «come tale, debba essere considerato acquisito al patrimonio del Comune e, perciò, indennizzato per intero».
La Corte d’appello ha preso le distanze da tale affermazione, in quanto «la costruzione del canale di scolo non ha portato un significativo mutamento in peius dello status quo ante che valga a ritenere non più utilizzabile dalle COGNOME l’area residua».
Ha chiarito la Corte territoriale definitivamente che «la particella 423 già prima della costruzione del nuovo canale risultava attraversata da un canale di scolo naturale; che la porzione di terreno a monte del canale (quella cioè compresa tra il canale e la strada) non risulta affatto interclusa, perché accessibile dalla strada pubblica e ciò che più conta – che detta porzione di terreno si trova attualmente nella disponibilità del COGNOME, risultando dalla documentazione fotografica in atti recintata e coltivata».
Conclude la Corte nel senso che «nulla spetta al COGNOME per la superficie residua di mq 322,60 neppure a titolo di risarcimento del danno da deprezzamento».
Deprezzamento che è stato escluso anche con riferimento all’ulteriore porzione della particella 423 di mq 596,4, posta a valle del canale di scolo, in quanto l’occupazione parziale «non ha pregiudicato le possibilità edificatoria ‘legali ed effettive’ del fondo stesso».
Per la Corte d’appello è sufficiente osservare che «l’intera particella 423 all’epoca dei fatti, non aveva i requisiti per l’effettiva edificabilità, posto che solo una piccola porzione di mq 179 si trovava in zona B1 di completamento e che tutta la restante superficie si trovava in zona destinata a ‘verde attrezzato’ e a ‘strada pubblica’».
Come si vede, la motivazione della Corte d’appello è articolata e completa, non avendo trascurato gli elementi istruttori forniti dalle parti, oltre che dalle due CTU, opportunamente interpretate.
Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 132, primo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c., nonché art. 111 Costituzione e degli articoli 112 e 116 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Motivazione mancante o apparente sua estensione terreno occupato illegittimamente, su danni conseguenti al residuo terreno di proprietà COGNOME e sul valore terreno oggetto di lite. Omessa valutazione delle conclusioni e censure di CTP e difensore dell’attore. Omessa indicazione Fonti di convincimento. Omessa decisione anche su richieste istruttorie di rinnovazione CTU ed i chiarimenti del CTU. Motivazione mancante o apparente su dissenso conclusioni e risultanze CTU. Illegittimo uso prudente apprezzamento risultanze istruttorie».
Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale non avrebbe esaminato le relazioni del tecnico di parte delle COGNOME, Ing. NOME COGNOME.
Nel motivo, che si dilunga da pagina 31 sino a pagina 52, si ripetono le medesime censure, già esposte nei precedenti motivi.
Si replica che il CTU avrebbe valutato «documenti che non possono essere utilizzati» (pagina 35 del ricorso).
Si contesta che il CTU avrebbe fatto riferimento, per individuare l’area effettivamente occupata, anche alla precedente transazione (cfr. pagina 36 del ricorso).
Si precisa che il CTU avrebbe errato nel non individuare la natura edificabile del terreno, non avendo svolto adeguate ricerche di mercato.
Il CTU avrebbe errato anche nel fare riferimento alla transazione intercorsa tra le parti, con riferimento ad altra porzione del medesimo terreno, stimato in sede transattiva in lire 40.000 al metro quadrato (cfr. pagina 39 del ricorso).
Pure erronea sarebbe l’affermazione per cui la superficie residua da indennizzare sarebbe pari a mq 424,90, e non mq 400.
Non si sarebbe tenuto conto di quanto affermato dal c.t. di parte COGNOME, per il quale il relitto, ossia la porzione della particella 423 ai confini con la strada pubblica, sarebbe inutilizzabile, in quanto «oltre a risultare di difficile accesso dalla viabilità pubblica, si configura con una geometria di difficile utilizzazione urbanistica. Dal punto di vista della conduzione agricola risulta pressoché precluso l’accesso con mezzi meccanici, pertanto le lavorazioni risultano particolarmente onerose» (cfr. pagina 44 del ricorso per cassazione).
5.1. Il motivo è inammissibile.
Si chiede, infatti, una nuova valutazione del materiale istruttorio, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, non valutabili in questa sede.
In realtà, si avanzano critiche all’operato del CTU di secondo grado COGNOME e non alla motivazione della sentenza della Corte d’appello.
6. Con il sesto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nonché dell’art. 111 Costituzione (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.). Onere di contestazione. Mancato assolvimento del convenuto. Genericità della contestazione del convenuto. Mancanza di specificità. Conseguente adempimento dell’attore dell’onere probatorio. Sussiste. Violazione del diritto di difesa. Carenza di parità di contraddittorio».
Si sostiene, insomma, che a fronte della precisa allegazione da parte dell’attore dei fatti di causa, la contestazione del Comune sarebbe stata generica, sicché i fatti allegati dovrebbero essere ritenuti come ammessi, ex art. 115 c.p.c.
La Corte d’appello ha ritenuto che la superficie occupata è di mq 78, non quella superiore riconosciuta da entrambi i CTU.
Tuttavia, nell’atto di citazione, trascritto in parte, si legge che il COGNOME aveva dedotto di aver subito l’occupazione del proprio terreno per un’estensione di 400 m².
Il Comune nella comparsa di costituzione, trascritta in cinque righe, avrebbe effettuato la contestazione generica.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, il motivo di ricorso, che si dipana da pagina 52 a pagina 62, pecca di autosufficienza ex art. 366, n. 6, c.p.c., in quanto il ricorrente, per dare la dimostrazione della mancata specifica contestazione, avrebbe dovuto riportare il contenuto della comparsa di costituzione, e non solo cinque righe della stessa.
Peraltro, anche dalla minima porzione di comparsa di costituzione del Comune riportata emerge la specifica contestazione dei fatti di causa addotti dall’attore, ove si legge che «l’attore assume con l’atto introduttivo circostanze non esatte vero essendo che la porzione di terreno occupata dal Comune sulla base dell’ordinanza in epigrafe citata risulta essere corrispondente a circa 40 m²; ed inoltre, non risponde al vero nemmeno l’affermazione che il Comune di Paludi avrebbe operato lo spostamento della sede del canone di scolo».
Del resto, per questa Corte, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata pacifica tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone alla ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass., sez. 6-1, 12/10/2017, n. 24062).
In tema di ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte
processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass., sez. 3, 9/8/2016, n. 16655).
7. Con il settimo motivo di impugnazione si deduce la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., dell’art. 118 disposizione di attuazione c.p.c., nonché dell’art. 111 Costituzione (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.). Motivazione mancante o apparente sull’estensione terreno occupato illegittimamente su utilizzo, al riguardo, di risultanze di pregresso atto di transazione di precedente contenzioso giudiziale. Erronea identificazione di parte del terreno oggetto del presente giudizio con quello oggetto di tale transazione. Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Fatto decisivo: non identificabilità del terreno di cui alla transazione con terreno oggetto della presente causa per assenza di individuazione catastale in tale transazione».
In sostanza, nel motivo che si svolge da pagina 62 a pagina 70, si deduce che il terreno di cui all’atto di transazione sarebbe diverso dal terreno oggetto della successiva occupazione, di cui alla particella 423.
La Corte d’appello avrebbe, senza alcuna giustificazione, accolto la tesi della CTU di secondo grado, Ing. COGNOME per cui dalla superficie complessiva della particella 423 si dovrebbe detrarre la superficie di metri quadri 110,00 e non quella, inferiore, di metri quadri 85,70 indicati dal CTU di prime cure, COGNOME.
Il CTU avrebbe recepito quanto riportato dal 2º CTU, senza però chiarire le ragioni delle affermazioni di questi.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe indicato «dove si individui nell’atto transattivo la particella di riferimento del terreno ad oggetto di esso» (cfr. pagina 65 del ricorso per cassazione).
In assenza, poi, di indicazione catastale del terreno, non si comprenderebbe che in realtà «l’area occupata con tale canale è totalmente diversa da quella indennizzata a seguito della menzionata transazione».
7.1. Il motivo è infondato.
Come per gli altri motivi, non può non ripetersi che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nell’indicazione delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione.
Inoltre, con piena valutazione meritale, la Corte d’appello ha ritenuto, sulla base delle due CTU espletate, che il terreno in esame era stato già oggetto di occupazione in precedenza, con la successiva stipula della transazione del 4/2/1999, oggetto di puntuale esame da parte della Corte territoriale.
Ha chiarito, peraltro, la Corte d’appello che «in buona sostanza, a parte la lieve differenza esistente tra i due dati numerici appena riferiti, entrambi i consulenti prendono in considerazione non solo l’area utilizzata per la costruzione del canale di scolo, pari a mq 78, ma anche la porzione della particella 423 compresa tra il nuovo canale la strada Paludi-Silla, di mq 322,60».
Con l’ottavo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 132, primo comma, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c. e 111 Costituzione, nonché dell’art. 232 c.p.c. e dell’art. 116 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Motivazione mancante
o apparente sull’estensione terreno occupato illegittimamente. Omessa valutazione esito interrogatorio formale e prova testimoniale. Illegittimo uso prudente apprezzamento risultanze istruttorie».
In sostanza, il motivo che si dilunga da pagina 71 a pagina 75, mette in evidenza che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che il Sindaco del Comune non era comparso a rendere l’interrogatorio formale sui capitoli di prova ammessi, nonché che le prove testimoniali assunte avrebbero dimostrato la maggiore superficie occupata dal Comune, rispetto a quella di mq 78 riconosciuta dalla Corte d’appello.
8.1. Il motivo è inammissibile.
Si chiede, in sostanza, una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata la Corte d’appello, e non consentita in questa sede.
Va sul punto precisato che l’obbligo di motivazione del giudice è ottemperato mediante l’indicazione delle ragioni della sua decisione, ossia del ragionamento da lui svolto con riferimento a ciascuna delle domande o eccezioni (nel giudizio di primo grado) o a ciascuno dei motivi d’impugnazione (nei giudizi d’impugnazione), mentre non è necessario che egli confuti espressamente – pur dovendoli prendere in considerazione – tutti gli argomenti portati dalla parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioè anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso, dovendosi ritenere, diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come “succinta” nel senso voluto dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. (Cass., sez. 6-1, 17/5/ 2013, n. 12123).
Inoltre, si ritiene che per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano presi in esame (al fine di confutarle o con-
dividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., n. 2272/2007; Cass. n. 18214/2006).
Senza contare che la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale non è affetta da vizio di motivazione, atteso che l’art. 232 c.p.c. riconnette a tale comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass., sez. 3, 16/12/2024, n. 32846).
9. Con il nono motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 132, primo comma, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c. e 111 Costituzione, nonché dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Motivazione mancante o apparente sul valore terreno usurpato e deprezzato. Omessa indicazione fonti convincimento. Omessa valutazione censure formulate da CTP e difesa dell’appellato alle conclusioni del CTU di appello. Illegittimo uso prudente apprezzamento risultanze istruttorie. Omessa pronuncia su richieste istruttorie di rinnovazione della CTU ed i chiarimenti del CTU. Violazione principio onere prova».
La Corte d’appello sarebbe giunta erroneamente all’affermazione del valore del terreno usurpato, pari a mq 78, in euro 25 m², recependo la valutazione del CTU dell’appello.
Il CTU non avrebbe tenuto conto delle difese e delle osservazioni del CTP del COGNOME, dinanzi alla Corte d’appello, con le quali avrebbe criticato la CTU espletata dal COGNOME.
Si riporta, nel motivo, per l’ennesima volta il contenuto della CTP del COGNOME.
Per il ricorrente il CTU non avrebbe individuato la collocazione urbanistica dell’area, non avrebbe tenuto conto che si trattava di un terreno ricompreso in un contesto completamente urbanizzato dotato di tutti i sottoservizi (cfr. pagina 85 del ricorso per cassazione).
Sono state poi riprodotte le critiche alla CTU rese in occasione dell’udienza del 22/5/2019 (cfr. pagina 88 del ricorso per cassazione), come pure quelle relative alle osservazioni del CTP alle controdeduzioni del CTU (cfr. pagina 89 del ricorso per cassazione.
La Corte d’appello avrebbe violato l’art. 116 c.p.c., avendo omesso di considerare gli elaborati del CTP COGNOME
Vi sarebbe anche violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere disposto la rinnovazione della CTU o la convocazione dello stesso a chiarimenti.
9.1. Il motivo è inammissibile.
Si chiede, in questa sede, una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello e non consentita in questa sede.
Tuttavia, la Corte d’appello, anche in questo caso ha reso una motivazione sufficiente in ordine alle caratteristiche urbanistiche del terreno, reputando non edificabile.
La Corte territoriale ha infatti osservato che «a differenza di quanto si legge nella CTU COGNOME, l’occupazione parziale della par-
ticella 423 non ha pregiudicato le possibilità edificatorie (legali ed effettive) del fondo stesso. A tal fine è sufficiente osservare che l’intera particella 423, all’epoca dei fatti, non aveva i requisiti per l’effettiva edificabilità, posto che solo una piccola porzione di mq 179 si trovava in zona B1 di completamento e che tutta la restante superficie si trovava in zona destinata a ‘verde attrezzato’ e a ‘strada pubblica’ (cfr. certificato di destinazione urbanistica; all. 7 CTU)».
9. Quanto, poi, alla doglianza relativa alla mancata pronuncia in ordine alla richiesta di rinnovazione della CTU, si evidenzia che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice; l’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass. n. 14789/2020; Cass. n. 27247/2008; Cass. n. 7622/2010).
Si è anche evidenziato che il giudice, se non ha l’obbligo di motivare il diniego, che può anche essere implicito, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicché l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass., sez. 2, 24/11/2020, n. 26709).
9.1. Non è dunque necessaria neppure un’espressa pronunzia sulla richiesta di rinnovo della CTU (Cass., sez. 3, 29/9/2017, n. 22799).
È sufficiente, dunque, che in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per le disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass., sez. 3, 15/7/2011, n. 15666).
9.2. Anche quanto alla richiesta di chiarimenti al CTU, per questa Corte rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass., sez. 2, 20/8/2019, n. 21525; Cass., sez. 6-L, 24/1/2019, n. 2103).
9.3. Quanto al dedotto vizio omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., si è chiarito che l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione
non integra tale vizio, ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass., sez. 6-2, 18/3/2015, n. 5339), rientrando il rinnovo dell’indagine tecnica tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria un’espressa pronunzia sul punto (Cass., sez. 3, 19/7/2013, n. 17693).
9.4. Non risulta violato neppure l’art. 116 c.p.c.
Ed infatti, per questa Corte in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., sez. 1, 1/3/2022, n. 6774).
10. Con il decimo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 c.c., nonché degli articoli 1325, 1326, 1346, 1363, 1364 e 1366 c.c., nonché dell’art. 2043 c.c. (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.). Violazione e falsa applicazione di legge in materia di transazione, contratti ed interpretazione di contratti sul valore del terreno usurpato e deprezzato. Illegittimo uso di transazione di lite giudiziale afferente ad altra condotta acquisitiva dell’ente appellante-convenuto di altro terreno dell’attore. Violazione e falsa applicazione di legge in materia di diritto al risarcimento dei danni. Violazione di giurisprudenza di legittimità costituente ius receptum ».
In sostanza, il ricorrente, nel motivo, che va da pagina 94 sino a pagina 99, svolge una critica alla sentenza d’appello per aver utilizzato le risultanze della transazione intercorsa tra le parti in causa il 4/2/1999, «relativa ad un pregresso contenzioso instaurato dal COGNOME riguardo ad una precedente occupazione illegittima di un suo terreno, subita ad opera del Comune di Paludi».
La Corte territoriale avrebbe sostenuto che il valore del terreno oggetto della presente causa dovesse essere lo stesso di quello attribuito in tale atto di transazione a detto diverso terreno, determinando tale valore in lire 40.000 m².
Ciò costituirebbe violazione dell’art. 1965 c.c.
Le parti, dunque, con tale transazione del 1999 si sarebbero riferite esclusivamente al contenzioso giudiziale definito in quella sede, senza alcuna incidenza di tale valutazione sui futuri rapporti.
Per il ricorrente, infatti, «nessun riferimento è contenuto ad altra e diversa illegittima occupazione di un qualsivoglia diverso terreno del COGNOME, né alla possibilità di fare riferimento a tale disciplina transattiva per future contestazioni».
Peraltro – ad avviso del ricorrente – la transazione sarebbe la risultante di un accordo che prescinde da una statuizione giudiziale, cui le parti, appunto, hanno deciso di rinunciare.
La Corte territoriale avrebbe violato il principio di interpretazione del contratto in base a buona fede ex art. 1363 c.c.
Non era possibile ritenere che, sulla scorta di tale transazione, le parti «si siano volute riferire ad ogni eventuale altro contenzioso che sarebbe potuto sorgere fra esse».
10.1. Il motivo è inammissibile.
10.2. Tale motivo non coglie, infatti, la ratio decidendi della motivazione della sentenza della Corte d’appello.
Si trattava di stabilire il valore al metro quadrato della superficie occupata, pari a mq 78, da parte del Comune.
Del tutto correttamente la Corte d’appello ha valorizzato il dato oggettivo, per cui le medesime parti, nell’anno 1999, avevano stipulato la transazione in relazione alla determinazione del prezzo di una porzione del medesimo terreno, tant’è vero che, sia per il primo CTU, COGNOME, che per il secondo CTU, COGNOME, nominato in sede d’appello, comunque dalla superficie occupata della particella 423, si doveva detrarre quella precedentemente occupata, che il primo CTU aveva quantificato in metri quadrati 87,50 ed il secondo CTU in mq 110,00, più correttamente in quest’ultimo caso in base a quanto affermato dalla Corte d’appello.
Non si trattava, allora, di interpretare il negozio giuridico costituito dalla transazione, ma semplicemente di prendere atto di un dato oggettivo, e cioè che in quella transazione una porzione dello stesso terreno per cui è controversia, era stato valutato nella somma di lire 40.000 m², somma che è stata opportunamente rivalutata sino a quella di euro 25 m².
Ha spiegato la Corte d’appello che il valore unitario di euro 55 m² indicato dal CTU COGNOME non era sorretto da alcuna documentazione.
Ha chiarito la Corte territoriale che il primo CTU, «pur dichiarando di avere condotto un’indagine di mercato attraverso la disamina di atti di compravendita recenti e l’assunzione di informazioni presso agenzie immobiliari e l’agenzia del territorio, non si è premurato di allegare alla relazione i risultati delle sue indagini, così impedendo ogni verifica sulla correttezza della stima».
Maggiormente attendibile era però la consulenza tecnica d’ufficio del COGNOME, il quale «ha ritenuto di ancorare la stima a un dato certamente obiettivo, ossia al valore attribuito al medesimo terreno
in seno all’atto di transazione del 4/2/1999, pari a lire 40.000/mq (circa euro 20,00/mq) opportunamente rivalutato alla data della stima (maggio 2018) in euro 25,00/mq».
Con la precisazione da parte della Corte d’appello per cui «a differenza di quanto assume la difesa del COGNOME, il valore di lire 40.000/mq non è stato determinato ‘in via amichevole’, ma rappresenta il valore reale del fondo all’epoca della transazione. Si legge, infatti, nella premessa dell’atto di transazione che il valore del terreno occupato illegittimamente dal Comune di Paludi (metri quadri 400) per realizzare la strada Paludi-Sila era stato determinato in corso di causa dal CTU, Ing. NOME COGNOME, in lire 40.000/mq e che detta valutazione era stata considerata dal COGNOME e dal Comune ‘realistica e veritiera’».
11. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 2.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025