Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14766 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1982-2021 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 593/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 06/07/2020 R.G.N. 242/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Sanzioni amministrative
R.G.N. 1982/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 05/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Con atto di irrogazione sanzioni n. CODICE_FISCALE/2005 l’Agenzia delle Entrate intimava a NOME COGNOME il pagamento della somma di euro 76.966,00, per avere impiegato tre lavoratori (due pizzaioli e una cameriera presso il ristorante Manhattan in Massafra) non regolarmente iscritti, come accertato dalla Guardia di Finanza il 22.11.2003.
L’atto veniva impugnato e, nel frattempo, in forza di esso veniva emessa da Equitalia Pragma S.p.A. la cartella esattoriale n. 106 2011 0024091000000 dell’importo complessivo di euro 80.550,80.
Anche la suddetta cartella veniva opposta e, riuniti di due giudizi, il Tribunale di Taranto rigettava le opposizioni.
Proposto appello, la Corte di appello di Taranto, con la sentenza n. 593/2020, respingeva il gravame di NOME COGNOME condannandola anche alle spese di lite.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) la COGNOME non aveva offerto prova contraria per superare la presunzione di cui all’art. 3 co. 3 del D.l. n. 12/2002 in ordine alla durata effettiva dei rapporti di lavoro rispetto a quella presunta ai sensi di legge; b) le dichiarazioni rese dai testi in fase ispettiva dovevano ritenersi maggiormente attendibili rispetto a quelle rese nel processo dagli stessi soggetti; c) con l’opposizione a cartella esattoriale la COGNOME non aveva espresso censure diverse e ulteriori rispetto a quelle mosse avverso l’atto di irrogazione della maxi-sanzione: atto opposto per primo.
Avverso tale decisione NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui resisteva con controricorso la Agenzia delle Entrate.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cpc, nonché degli artt. 103 e 104 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 e n. 5 cpc. Si sostiene che la Corte territoriale non aveva preso in considerazione la censura, proposta sub IV dei motivi di appello, concernente la illegittimità della iscrizione a ruolo essendo pendente il giudizio di merito sull’atto di irrogazione delle sanzioni; in subordine, qualora una pronuncia si fosse ritenuta adottata, si lamenta l’om essa motivazione sulla detta questione.
Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per motivazione apparente sul punto della ritenuta maggiore attendibilità, da parte della Corte territoriale, delle dichiarazioni rese dai testi in sede di ispezioni rispetto a quelle fornite nel processo: valutazione argomentata con una semplice adesione alla pronuncia di primo grado.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione ed errata applicazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ. e dell’art. 23 legge n. 689/81, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale, in un contesto di contrasto tra dichiarazioni rese in sede ispettiva e processuale, invertito in sostanza gli oneri probatori esonerando l’Amministrazione di dimostrare i fatti oggetto della contestazione amministrativa.
Con il quarto motivo si censura la violazione ed errata applicazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1
n.3 cpc, per avere la Corte territoriale, in sostanza, considerato come facenti prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi soggetti a libera valutazione.
Con il quinto motivo si obietta la violazione ed errata applicazione del D.l. n. 12/2002, dell’art. 3 co. 3, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché la Corte territoriale, considerando erroneamente attendibili solo in parte le dichiarazioni dei testi (in particolare quella di tale COGNOME che aveva affermato in sede ispettiva di avere lavorato un solo giorno) rese alla Guardia di Finanza, ha ritenuto che essa ricorrente non avesse fornito la prova della minore durata del rapporto rispetto alla presunzione sulla decorrenza di esso come prevista dalla legge.
Il primo motivo non è meritevole di accoglimento.
La Corte territoriale, formalmente, si è pronunciata sui vizi denunciati nel giudizio di opposizione avverso la cartella esattoriale ritenendo che gli stessi non fossero diversi ed ulteriori rispetto a quelli mossi avverso l’atto di irrogazione della maxi-sanzione (opposto per primo): quindi, formalmente una pronuncia vi è stata.
Quanto, invece, alla doglianza relativa al vizio di motivazione sulla specifica questione se, in pendenza di giudizio avverso l’atto di irrogazione della sanzione, si potesse procedere alla relativa iscrizione a ruolo senza attendere l’esito del processo di merito, essendo comunque la statuizione di rigetto impugnata conforme a legge può procedersi alla sua integrazione/correzione (ex art. 384 cpc) e rilevare la infondatezza della censura in quanto, come precisato in sede di legittimità (Cass. n. 12025/2019) sia pure in tema di riscossione di contributi e premi assicurativi ma con
argomentazioni estendibili anche al caso in esame, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento, valendo gli stessi princìpi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo; ne consegue che, ove la cartella consegua ad un accertamento già impugnato davanti all’autorità giudiziaria, non sussiste un interesse concreto e attuale della parte a far valere l’illegittimità dell’iscrizione per difetto di un provvedimento giudiziale esecutivo sull’impugnazione dell’accertamento, ex art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999, senza neppure dedurre che la cartella emessa è stata azionata in via esecutiva, giacché un’eventuale pronuncia sul punto non comporterebbe per la parte alcun risultato giuridicamente apprezzabile.
E proprio ciò è avvenuto nella fattispecie in esame ove i due giudizi (l’uno riguardante l’atto di irrogazione della sanzione e l’altro la cartella esattoriale) sono stati riuniti ed è stata valutata nel merito la fondatezza della pretesa per cui si sarebbe rivelata non giuridicamente apprezzabile e non decisiva una eventuale pronuncia sulla illegittimità formale della iscrizione a ruolo.
Il secondo motivo è infondato.
La violazione dell’art. 132 cpc sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Analogamente, il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ricorre solo quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (cfr. Cass. n. 6758/2022).
Dalle argomentazioni svolte nella gravata sentenza è, invece, agevole dedurre l’iter logico -giuridico seguito da entrambi i giudici di merito che, in una situazione di cd. ‘doppia conforme’, hanno ritenuto che le dichiarazioni rese ‘a caldo’ dai lavoratori dovessero essere ritenute maggiormente attendibili di quelle, evidentemente compiacenti, che essi stessi e altri testi avevano fornito in sede processuale, a distanza di molto tempo dei fatti.
E’ opportuno sottolineare, come si legge nella gravata sentenza, che la ricostruzione dei fatti posti a base della sanzione amministrativa è stata fondata su una attenta attività ispettiva posta in essere dalla Guardia di Finanza di Castellaneta poi completata dagli Ispettori del Lavoro in forza alla Direzione Territoriale di Taranto e, quindi, oltre alle dichiarazioni agli Ufficiali di PG, vi è stato anche un accertamento documentale sulla non avvenuta registrazione nelle scritture obbligatorie dei tre soggetti.
Il terzo, il quarto motivo ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente perché interferenti, sono anche essi infondati.
Va osservato che i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (per tutte Cass. n. 9251/2010).
Inoltre, è stato precisato (Cass. n. 24208/2020) che la valutazione complessiva delle risultanze di causa ben consente al giudice di attribuire maggior rilievo alle circostanze riferite dagli interessati ai verbalizzanti, nell’immediatezza dei fatti, piuttosto che alle circostanze da essi riferite in sede di deposizione in giudizio (cfr. Cass. n. 17555/02), e che in sostanza i verbali di contravvenzione forniscono elementi di valutazione liberamente apprezzabili dal giudice, il quale può peraltro anche considerarli prova sufficiente delle relative circostanze, sia nell’ipotesi di assoluta carenza di elementi probatori contrari – considerata la sussistenza in capo al datore di lavoro, obbligato ai versamenti contributivi, del relativo onere probatorio -, sia qualora il giudice di merito, nel valutare nel suo complesso il materiale probatorio a sua disposizione, pervenga, con adeguata motivazione, al convincimento della effettiva sussistenza degli illeciti denunciati (cfr. Cass. n. 11900/03, Cass. n. 3527/01, Cass. n. 9384/95).
Nel caso de quo , la Corte territoriale è giunta ad una valorizzazione dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza attraverso una valutazione
completa ed esaustiva di tutto il materiale probatorio, scrutinando compiutamente e con adeguata motivazione anche le testimonianze acquisite nel corso del giudizio e quelle rese in sede amministrativa ed evidenziando i profili di inattendibilità di alcuni dichiaranti rispetto agli altri.
E’ opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 cpc), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
Il giudice del merito, pertanto, è libero di fondare il proprio convincimento sugli elementi istruttori che ritenga più attendibili e idonei alla risoluzione della controversia e non è obbligato ad accettare integralmente le dichiarazioni di un informatore, potendo scinderle ed accettarle soltanto per quella parte che, secondo il suo prudente apprezzamento, meglio si armonizzi con le altre risultanze di causa (quinto motivo).
Quanto, in particolare, alla asserita violazione del principio del ‘prudente apprezzamento’ (quarto motivo), in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e
diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento: dette ipotesi, però, non sono ravvisabili nel caso in esame. Ove si deduca, invece, che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Da ultimo, deve rilevarsi che è infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. (terzo motivo) che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo .
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo 2025