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Valore probatorio scritture contabili: la Cassazione

Un dipendente ha richiesto il pagamento di anticipazioni basandosi su una nota contabile informale. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che il documento non aveva sufficiente valore probatorio. La Corte ha specificato che una nota interna non firmata e non datata non può provare l’esistenza di un credito verso il datore di lavoro, ponendo l’onere della prova sul lavoratore. Anche il ricorso incidentale dell’azienda è stato respinto.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Valore probatorio scritture contabili: una nota interna è sufficiente?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nei rapporti di lavoro: qual è il valore probatorio delle scritture contabili informali, come una nota interna non firmata, per dimostrare un credito del dipendente? La Corte ha fornito una risposta netta, ribadendo i principi fondamentali sull’onere della prova e sui requisiti di validità dei documenti in un contenzioso.

I Fatti del Caso

La controversia nasce dalla richiesta di un lavoratore dipendente di un cantiere navale, il quale agiva in giudizio per ottenere il pagamento di una somma a titolo di anticipazioni sostenute per conto dell’azienda. A supporto della sua pretesa, il lavoratore presentava una nota contabile ad uso interno, priva di data certa e sottoscrizione. Parallelamente, l’azienda proponeva una domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni derivanti da presunti comportamenti negligenti del dipendente.

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente la domanda del lavoratore, riconoscendogli il credito, e rigettava la richiesta risarcitoria dell’azienda. In sede di appello, tuttavia, la situazione si ribaltava: la Corte territoriale negava il credito al lavoratore, ritenendo il documento prodotto inidoneo a fungere da prova. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione, con ricorsi incrociati da entrambe le parti.

Il Valore Probatorio delle Scritture Contabili nel Ricorso del Lavoratore

Il dipendente basava il suo ricorso principale su tre motivi, tutti incentrati sulla presunta erronea valutazione del documento contabile da parte della Corte d’Appello. Sosteneva che i giudici avessero violato le norme sul valore probatorio delle scritture contabili (art. 2709 c.c.), le quali possono costituire prova contro l’imprenditore. Inoltre, lamentava una motivazione ‘apparente’ e l’omessa valutazione delle testimonianze che confermavano l’esistenza del credito.

La Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del lavoratore. Gli Ermellini hanno chiarito che, affinché una scrittura contabile possa avere efficacia probatoria, deve possedere i requisiti formali previsti dalla legge. Un semplice prospetto interno, non sottoscritto e privo di data certa, non può essere assimilato alle scritture contabili regolarmente tenute dall’impresa. Di conseguenza, non può costituire prova sufficiente. La Corte ha ribadito che l’onere di provare il proprio credito grava sul lavoratore, e la produzione di un documento così generico e informale non assolve a tale onere. La valutazione del giudice di merito, che aveva ritenuto tale prova inidonea, è stata giudicata corretta e non sindacabile in sede di legittimità.

Le Contestazioni dell’Azienda nel Ricorso Incidentale

Anche l’azienda aveva presentato un ricorso, definito incidentale, lamentando diversi errori da parte della Corte d’Appello, tra cui l’errata gestione di un’eccezione di compensazione e l’omessa pronuncia su un’eccezione di pagamento di alcune mensilità.

La Cassazione ha respinto anche questo ricorso, ritenendolo in parte infondato e in parte inammissibile. In particolare, riguardo all’eccezione di compensazione, la Corte ha sottolineato che una contestazione generica, priva di dettagli specifici, non solo non è idonea a confutare il credito altrui, ma finisce per ammetterne implicitamente l’esistenza. Per un altro motivo, la Corte ha rilevato l’inammissibilità a causa della cosiddetta ‘doppia conforme’: poiché le sentenze di primo e secondo grado erano giunte alla medesima conclusione, non era possibile sollevare in Cassazione un vizio relativo all’omesso esame di un fatto decisivo.

Le motivazioni della Corte

La decisione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati. Il fulcro del ragionamento è che la prova di un credito deve essere rigorosa. Un documento interno, non ufficiale e privo di elementi essenziali come data e firma, è troppo debole per fondare una condanna al pagamento. Il giudice ha correttamente evidenziato che spetta a chi avanza una pretesa (il lavoratore, in questo caso) fornire elementi di prova certi e convincenti. La semplice produzione di una nota contabile informale, contestata dalla controparte, non è sufficiente. Allo stesso tempo, la Corte ha sanzionato l’approccio difensivo dell’azienda, chiarendo che le contestazioni e le eccezioni devono essere specifiche e dettagliate, non generiche.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. Per i lavoratori, emerge la necessità di documentare con precisione e formalità ogni anticipazione di spesa o credito vantato nei confronti del datore di lavoro, attraverso ricevute, accordi scritti o altri mezzi di prova idonei. Per le aziende, la decisione ribadisce che la difesa in giudizio richiede contestazioni puntuali e non mere eccezioni generiche, che possono rivelarsi controproducenti. In definitiva, la chiarezza e la formalità nella gestione dei rapporti economici sono fondamentali per prevenire e risolvere le controversie.

Un documento contabile interno, non firmato e senza data, può essere usato come prova in tribunale per un credito?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un tale documento è privo di valore probatorio perché manca dei requisiti di certezza e attribuibilità richiesti dalla legge per costituire una prova valida.

Su chi ricade l’onere di provare l’esistenza di un credito per anticipazioni fatte al datore di lavoro?
L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore. È sua responsabilità fornire prove sufficienti, come documenti formali o testimonianze attendibili, per dimostrare l’esistenza e l’ammontare del proprio credito.

Sollevare un’eccezione di compensazione equivale a contestare il credito della controparte?
No. La Corte ha chiarito che sollevare un’eccezione di compensazione in modo generico, senza una contestazione specifica e dettagliata del credito, non solo non nega il debito, ma di fatto ne ammette implicitamente l’esistenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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