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Valore probatorio dichiarazioni: la Cassazione decide

Un datore di lavoro, sanzionato per l’impiego di un lavoratore non regolarizzato, ha contestato il valore probatorio delle dichiarazioni rese da quest’ultimo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, sebbene il lavoratore possa avere un interesse diretto nella causa, le sue dichiarazioni possono essere liberamente interrogate dal giudice ai sensi dell’art. 421 c.p.c. e utilizzate come elementi di convincimento. La decisione non si è basata solo su tali dichiarazioni, ma anche su quelle rese dallo stesso datore di lavoro durante l’ispezione, considerate pienamente attendibili dal giudice di merito.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Valore Probatorio Dichiarazioni: La Cassazione Chiarisce il Ruolo del Lavoratore

Il tema del valore probatorio delle dichiarazioni rese da un lavoratore in un contenzioso che lo riguarda direttamente è da sempre al centro di dibattiti legali. Può un lavoratore, il cui rapporto di lavoro è oggetto di un accertamento ispettivo, essere considerato un testimone attendibile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, distinguendo tra l’incapacità formale a testimoniare e i poteri istruttori del giudice del lavoro.

I Fatti del Caso: Dall’Accertamento al Ricorso in Cassazione

La vicenda trae origine da un’opposizione a due ordinanze ingiunzioni con cui l’Ispettorato del Lavoro aveva sanzionato il titolare di un’attività commerciale per aver impiegato un lavoratore “in nero”. La sanzione ammontava a oltre 44.000 euro. Il datore di lavoro sosteneva che si trattasse solo di una collaborazione occasionale e contestava le risultanze dell’accertamento ispettivo, basate in gran parte sulle dichiarazioni rese dal lavoratore stesso.

Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione, riducendo la sanzione. Successivamente, la Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ripristinava un importo sanzionatorio più elevato. Il datore di lavoro, non soddisfatto, proponeva ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: la violazione dell’art. 246 c.p.c., per aver considerato capace a testimoniare il lavoratore, e la violazione dell’art. 421 c.p.c., per aver utilizzato le sue dichiarazioni ai fini della decisione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del datore di lavoro, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondati i motivi di ricorso, fornendo importanti chiarimenti sul valore probatorio delle dichiarazioni in questo tipo di controversie.

Le Motivazioni: il valore probatorio delle dichiarazioni del lavoratore

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra la figura del testimone formale e quella della persona informata sui fatti nel processo del lavoro. La Corte ammette che, in un giudizio sulla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore interessato ha senza dubbio un interesse che lo renderebbe incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c.

Tuttavia, questo non esclude che il giudice possa utilizzare i poteri istruttori conferitigli dall’art. 421 c.p.c. Questa norma, specifica del rito del lavoro, permette al giudice di interrogare liberamente le parti e le persone informate sui fatti, traendo dalle loro risposte elementi utili per formare il proprio convincimento. Tali dichiarazioni, pur non avendo il valore di una testimonianza formale, costituiscono materiale probatorio liberamente valutabile dal giudice, da considerare unitamente a tutte le altre risultanze processuali.

L’Apprezzamento Complessivo delle Prove

Un altro punto cruciale sottolineato dalla Corte è che il convincimento dei giudici di merito non si era fondato esclusivamente sulle parole del lavoratore. Al contrario, un peso significativo è stato attribuito alle dichiarazioni rese dallo stesso datore di lavoro in sede ispettiva. Egli aveva ammesso di impiegare il lavoratore per diverse ore e giorni alla settimana, con un compenso forfettario. Queste ammissioni sono state ritenute ancora più significative e dimostrative dell’assunto dell’Ispettorato.

La Corte ha specificato che la valutazione di questi elementi, la loro coerenza e il loro confronto, rientra nel prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è sindacabile in sede di Cassazione se, come nel caso di specie, è adeguatamente e logicamente motivato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel contenzioso lavoristico, le dichiarazioni del lavoratore coinvolto, sebbene non possano essere qualificate come testimonianza pura, mantengono un rilevante valore probatorio. Il giudice può e deve tenerne conto, inserendole in una valutazione globale e complessiva di tutto il materiale probatorio a disposizione. Per i datori di lavoro, questa decisione sottolinea l’importanza cruciale delle dichiarazioni rese durante un’ispezione: esse possono diventare un elemento di prova determinante contro di loro, anche a prescindere da ciò che dirà il lavoratore in un eventuale giudizio.

Un lavoratore può testimoniare in una causa che riguarda la regolarità del suo stesso rapporto di lavoro?
Secondo la Corte, il lavoratore ha un interesse diretto che lo rende formalmente incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c. Tuttavia, il giudice del lavoro può interrogarlo liberamente sui fatti di causa ai sensi dell’art. 421 c.p.c. e utilizzare le sue risposte come elementi di prova da valutare insieme ad altri elementi.

Che valore hanno le dichiarazioni rese dal lavoratore e dal datore di lavoro durante un’ispezione?
Le dichiarazioni raccolte nell’immediatezza dell’accertamento ispettivo, sia quelle del lavoratore che quelle del datore di lavoro, costituiscono materiale probatorio liberamente valutabile dal giudice e possono essere sufficienti per fondare la decisione, anche senza l’esperimento di ulteriore attività istruttoria.

Il giudice può basare la sua decisione solo sulle dichiarazioni del lavoratore?
No, la decisione deve basarsi su una valutazione globale e prudente di tutti gli elementi istruttori. Nel caso specifico, il convincimento del giudice si è formato non solo sulle dichiarazioni del lavoratore, ma anche e soprattutto su quelle, ritenute più significative, rese dallo stesso datore di lavoro durante l’ispezione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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