Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 227 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 227 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
Oggetto: Controversia davanti al TAR – Annullamento atto – Liquidazione spese – Criterio – Valore indeterminabile.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25062/2018 R.G. proposto da
AVV. NOME COGNOME in qualità di procuratore di sé stesso, elettivamente domiciliato presso l’avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentate e difese, anche disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e dal prof. Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 873/2018 del 9/5/2018, emessa dalla Corte d’Appello di Torino, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/11/2023 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Come si legge nella sentenza impugnata, l’avv. NOME COGNOME COGNOME di Grésy impugnò per revocazione ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ., la sentenza n. 2195/17 del 4-9/10/2017 della Corte d’Appello di Torino, pronunciata nella causa promossa dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento e la definizione delle competenze pretese dal legale per l’attività difensiva svolta in quattro ricorsi davanti al T.A.R. Lazio, aventi per oggetto l’annullamento di provvedimenti tariffari dell’energia elettrica, ritenendo che la Corte avesse compiuto un errore di fatto nel non aver reperito nel fascicolo di causa le copie dei quattro ricorsi amministrativi, benché questi risultassero debitamente depositati e presenti agli atti, e nell’avere di conseguenza considerato, ai fini della liquidazione del compenso professionale, di valore indeterminabile le relative vertenze innanzi al giudice amministrativo, senza invece considerarne il valore effettivo ivi indicato.
Nella resistenza delle società, che, pur ammettendo la presenza dei ricorsi nel fascicolo di causa, chiesero comunque la reiezione dell’impugnazione, la Corte d’Appello di Torino rigettò il ricorso.
Contro la predetta ordinanza, l’avv. NOME COGNOME COGNOME di Grésy propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria. Le società RAGIONE_SOCIALE Societa’ agricola, RAGIONE_SOCIALE Societa’ agricola, RAGIONE_SOCIALE Societa’ agricola ed RAGIONE_SOCIALE Societa’ agricola si difendono con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 D.M. 20 luglio 2012, n. 140, e s.m.i. e dell’art. 10 cod. proc. civ. e s.m.i., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., perché il giudice di merito aveva affermato che i ricorsi davanti al T.A.R. non quantificavano l’ammontare del rimborso e/o del risarcimento richiesto sotto il profilo del quantum debeatur , ma chiedevano che all’uopo venisse disposta idonea c.t.u., sicché avevano considerato indeterminato il valore delle controversie amministrative, stante l’irrilevanza del presunto valore del risarcimento del danno, sia perché rendevano comunque necessaria la c.t.u., sia perché correlavano la pretesa a parametri futuri e incerti in ragione della durata della concessione, sia perché indicavano maggiori costi, ritenendo che il valore della controversia andasse riferito alla data di precisazione delle conclusioni. Il ricorrente ha sul punto obiettato che, ai fini della determinazione del valore della controversia, fossero irrilevanti sia l’avvenuta richiesta di c.t.u., sia il carattere futuro e incerto dei valori forniti dal legale, essendo, per contro, sufficiente, per un verso, la mera possibilità, ancorché non agevole, di valutare economicamente la pretesa alla stregua degli atti di causa, e, per altro verso, l’indicazione, all’uopo, di elementi concreti e attendibili da stabilirsi in astratto e non in concreto, giacché si sarebbe altrimenti preteso dal giudice ordinario, benché gli fosse precluso, un sindacato nel merito dell’accoglibilità in concreto della domanda, nonostante l’eccezionalità del criterio del valore effettivo di cui all’art. 5 D.M. n. 140 del 2012. Inoltre, l’attendibilità delle cifre indicate dal difensore avrebbero dovuto essere valutate con minor rigore, essendo state le stesse tratte dalle stesse indicazioni del cliente, peraltro confermate dalla sua controparte, quando, in sede di transazione, aveva operato in autotutela. Infine, i giudici, nel determinare il valore della causa, avevano valutato anche una porzione residuale della domanda, ossia quella afferente al danno derivante dai maggiori costi per la
realizzazione dell’impianto integrato, che avevano considerato legata a parametri futuri e incerti, benché il cuore della controversia attenesse al riconoscimento della maggior tariffa incentivante per gli impianti integrati, senza considerare che proprio quella voce era stata poi espunta dalla transazione avvenuta, che aveva riconosciuto alle clienti la sola maggior tariffa incentivante.
Col secondo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia e la violazione di legge in riferimento all’art. 5 D.M. 20 luglio 2012, n. 140 , e s.m.i. e dell’art. 10 cod. proc. civ. e s.m.i., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunciarsi sul terzo motivo d’appello, col quale il giudicante era stato invitato ad applicare correttamente l’art. 5 D.M. n. 140 del 2012, in virtù del quale, in caso di impossibilità di determinare il valore del giudizio a norma del codice di procedura civile, il giudice avrebbe dovuto tener conto dell’interesse sostanziale tutelato, senza poter riconoscere il compenso previsto dallo scaglione per le controversie di valore indeterminabile.
3. Col terzo motivo, subordinato alla reiezione del secondo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 D.M. 20 luglio 2012, n. 140 , e s.m.i. e dell’art. 10 cod. proc. civ. e s.m.i., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che i criteri indicati dal legale nei ricorsi e i dati relativi ai futuri maggiori introiti derivanti alle società assistite per effetto del riconoscimento della maggiore tariffa incentivante, non fossero idonei a determinare il valore dei giudizi, in quanto elementi futuri e incerti, mentre avrebbero dovuto limitarsi a tener conto dell’interesse sostanziale tutelato o effettuare un mero giudizio prognostico al fine di valutare se tale interesse fosse rilevante fino al punto di applicare uno scaglione
tariffario maggiore rispetto a quello relativo al valore indeterminabile. Infatti, il principio secondo cui nei giudizi amministrativi di tutela dell’interesse alla legittimità degli atti amministrativi il valore della causa è indeterminato, in quanto non riconducibile ad una espressione pecuniaria, era stato superato, ad avviso del ricorrente, dalle Sez. unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 500 del 1999, che aveva riconosciuto la tutela risarcitoria anche per l’interesse legittimo, sicché il giudice ordinario avrebbe dovuto, innanzitutto, stabilire se il valore del giudizio potesse essere determinato alla stregua del c.p.c. e, in caso di impossibilità, tener conto dell’interesse sostanziale tutelato, valutazione che, nella specie, non era stata effettuata, avendo il giudice di merito giudicato inidoneo il valore indicato dal ricorrente negli atti di causa (ossia il maggior ricavo derivante alle società dall’accoglimento della domanda), senza precisare se ne avesse tenuto conto al fine di pervenire alla conclusione della applicabilità del criterio del valore indeterminabile, senza considerare il maggior introito di euro 340.000,00 conseguito dalle società nel primo anno di convenzione e senza formulare un giudizio prognostico sulla probabilità che l’interesse perseguito coi ricorsi fosse esistente e concreto, ossia, come richiesto dall’art. 5 D.M. n. 140 del 2012, che le prospettive aperte dal legale delle società rendessero plausibile un notevole incremento di incassi, sì da consentire l’applicazione di uno scaglione superiore.
Col quarto motivo, si lamenta, infine, la nullità della sentenza per omessa motivazione e motivazione apparente e la violazione di legge in riferimento all’art. 5 D.M. 20 luglio 2012, n. 140, e s.m.i. e dell’art. 10 cod. proc. civ. e s.m.i., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che gli elementi invocati dal legale ricorrente, al
fine di determinare il valore delle controversie, fossero futuri e incerti senza precisare le specifiche ragioni dalle quali avevano tratto il proprio convincimento nei predetti termini. In caso di vantaggio economico proiettato in un arco di tempo futuro, l’incertezza dello stesso può essere dovuta a variabili di fatto (quali il tempo, la tariffa e il criterio collegato alla tariffa) e di diritto (ossia se il preteso diritto acquisito faccia parte del patrimonio del beneficiario o il suo conseguimento sia rimesso ad ulteriori determinazioni della P.A.), le quali non erano state sindacate dai giudici di merito.
I quattro motivi, da trattare congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati.
Occorre innanzitutto respingere la richiesta di trattazione orale della causa, avanzata con memoria dal ricorrente, non essendo questa prevista per le udienze in camera di consiglio e non avendo il ricorso proposto rilievo nomofilattico.
Venendo al merito, occorre in primo luogo chiarire come, in tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, il quale ha dato attuazione all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione
di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (Come affermato da Sez. U, 12/10/2012, n. 17405).
Pertanto, è al d.m. n. 140 del 2012 che, nella specie, occorre far riferimento per la liquidazione delle spettanze in favore del ricorrente, atteso che le sentenze del T.A.R., con le quali era stata dichiarata l’improcedibilità dei ricorsi per sopravvenuta carenza interesse, sono intervenute successivamente al 10 ottobre 2013, data della definizione stragiudiziale della vertenza. Orbene, l ‘art. 5, D.M. 20 luglio 2012, n. 140, recante ‘Determinazione del valore della controversia’, stabilisce che « 1. Ai fini della liquidazione del compenso, il valore della controversia è determinato a norma del codice di procedura civile avendo riguardo, nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta, nei giudizi di divisione, alla quota o ai supplementi di quota in contestazione, e nei giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno, alla somma attribuita alla parte vincitrice e non alla somma domandata. In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale. 2. Nelle cause davanti agli organi di giustizia amministrativa il valore della causa è determinato a norma del comma 1 quando l’oggetto della controversia o la natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio o comunque correlato al provvedimento impugnato ne consentono l’applicazione. Quando ciò non è possibile, va tenuto conto dell’interesse sostanziale tutelato. 3. Per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile si tiene particolare conto dell’oggetto e della complessità della stessa ».
Dall’analisi del la suddetta disposizione, risulta, innanzitutto, come il criterio dell”interesse sostanziale’ della parte, indicato, per i giudizi amministrativi, dal comma 2 del ridetto art. 5, abbia carattere meramente sussidiario, potendo trovare ingresso soltanto quando l’oggetto della controversia o la natura del rapporto sostanziale dedotto in causa e correlato al provvedimento impugnato non consentano l’applicazione dei criteri di cui al precedente comma 1, sicché, una volta verificato in senso positivo questo aspetto, come evidente nella fattispecie in esame, avendo le società chiesto non soltanto l’annullamento dell’atto assunto come illegittimo, ma anche la condanna della controparte alla corresponsione della tariffa incentivante di cui al d.m. 19 febbraio 2007 per gli impianti con integrazione architettonica e del risarcimento dei danni patiti e patiendi da accertarsi in corso di causa, è al criterio codicistico che occorre fare riferimento, non potendo configurarsi alcuna reviviscenza di quello residuale.
Ciò detto, ritiene il collegio che i giudici di merito, tenendo conto del petitum e della causa petendi , abbiano correttamente attribuito alla causa valore indeterminato, essendosi gli stessi conformati all’orientamento di questa Corte, che, sia pure con riferimento all’art. 6 della tariffa forense approvata con d.m. n. 585 del 1994, ma applicabile anche all’art. 5 d.m. n. 140 de 2012, in quanto ad esso sostanzialmente analogo, ha attribuito valore indeterminabile alle controversie introdotte davanti al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto, essendo la causa petendi della domanda l’illegittimità dell’atto stesso e il petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda (tra le tante Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15061, in tema di concessione edilizia; Cass., Sez. 2, 24/1/2013, n. 1754 e Cass., Sez. 2, 16/3/2022, n. 8599, in tema
di aggiudicazione di appalto di opere pubbliche), quali l’eventuale indicazione dell’ammontare del danno patrimoniale (Cass., Sez. 2, 30/1/1997, n. 932) o l’ incremento del patrimonio indirettamente riconducibile al provvedimento amministrativo (Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15061, cit.).
Né la contestuale proposizione della domanda di condanna alla corresponsione della tariffa incentivante prevista dal d.m. 19 febbraio 2007 per gli impianti fotovoltaici con integrazione architettonica e al risarcimento dei danni patiti e patiendi, nella misura accertanda in giudizio, incide sul valore adottato.
La regola contenuta nell’art. 5 del d.m. n. 140 del 2012, infatti, non soltanto rinvia alle norme del codice civile e, dunque, agli artt. 10 e 14, che fanno rispettivamente riferimento alla domanda e, nelle cause relative a somme di denaro, alla somma richiesta, ma aggiunge, altresì, il criterio secondo cui « nei giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno », occorre far rifermento « alla somma attribuita alla parte vincitrice e non alla somma domandata », mentre l’indicazione, contenuta nel terzo comma, per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile è quella secondo cui si tiene particolare conto dell’oggetto e della complessità della causa, sicché il criterio prescelto dalla norma per i giudizi di pagamento della prestazione oggetto di obbligazioni pecuniarie è quello del decisum , ossia del contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice, e non del disputatum , ossia quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio, onde fronteggiare il rischio di una quantificazione iniziale ingiustificata dell’importo preteso, al mero fine della lievitazione delle spese di lite (Cass., Sez. 1, 26/4/2021, n. 10984), e di calmierare le liquidazioni a favore di chi abbia richiesto importi eccesivi rispetto al dovuto, mantenendo a carico di chi agisce i possibili maggiori costi di
difesa cagionati da una pretesa esorbitante rispetto a quanto spettante (Cass., Sez. L, 13/11/2019, n. 29420).
Il criterio del decisum opera, però, soltanto in caso di accoglimento della domanda, allorché deve aversi riguardo alla somma liquidata (fra le tante, Cass. 4 luglio 2017, n. 16440; Cass. 12 gennaio 2011, n. 536; Cass., sez. un., 11 settembre 2007, n. 19014), ma non anche in caso di sua reiezione, dovendosi in tal caso tener conto della somma chiesta con la domanda, giacché, diversamente opinando, il valore della causa sarebbe, in tali casi, matematicamente pari a zero, con conseguente mancata liquidazione di un compenso (Cass., Sez. 1, 26/4/2021, n. 10984, cit.; Cass. 7/11/2018, n. 28417; Cass., 30/11/2011, n. 25553; Cass. 11/3/2006, n. 5381; Cass. 15/7/2004, n. 13113; in tal senso, anche Cass., 9/9/2019, n. 22462).
Nel caso in cui il criterio sia quello del disputatum , dunque, il valore della causa, ai fini della determinazione dello scaglione degli onorari di avvocato per la liquidazione delle spese di lite, va considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l’espressione ” o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia ” o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell’art. 1367 cod. civ., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, ‘a priori” che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l’attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione (in questi termini, Cass., Sez. 1, 26/4/2021, n. 10984).
E tale regola, pacifica nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5 giugno 2019, n. 15306, non massimata; Cass. 20/7/2018, n. 19455; Cass., 18/1/2018, n. 1210, non massimata; Cass. 21/6/2016, n. 12724; Cass. 11/3/2013, n. 6053, non massimata; Cass. 16/3/2010, n. 6350; Cass. 11/7/2006, n. 15698; Cass. 8/2/2006, n. 2641; Cass. 24/1/2006, n. 1313; Cass. 30/8/1984, n. 4727; Cass. 22/10/1981, n. 5549), deve ritenersi operare anche quando non vi sia un decisum in senso sfavorevole al richiedente, ma, come nella specie, una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse in ragione della transazione della lite, e una richiesta risarcitoria non quantificata, ma lasciata, a questi fini, alla misura da accertarsi in corso di giudizio.
A questo risultato è pervenuta, infatti, la citata Cass., Sez. 1, 26/4/2021, n. 10984, allorché ha affermato che, ai fini della liquidazione dell’onorario, la regola del disputatum e della indeterminatezza e indeterminabilità della domanda opera anche quando l’attore non abbia affatto individuato, nell’atto di citazione, in modo certo il danno richiesto, ma abbia solo indicato un valore orientativo, rimesso alla successiva indagine ed accertamento giudiziale, il quale sia del tutto mancato in ragione del rigetto della domanda o, addirittura, della conclusione in rito del giudizio, non operando, in tali casi, il principio della quantificabilità ex ante o ex post del danno, stante la differenza tra le nozioni di valore interminato ed valore indeterminabile (Cass. 22 giugno 2020, n. 12043; Cass. 22 gennaio 2018, n. 1499; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3372; Cass. 11 maggio 1985, n. 2942) e, altresì, la parificabilità, ai sensi del d.m. n. 140 del 2012, dello «scaglione di valore indeterminato o indeterminabile».
Ciò significa che i giudici di merito hanno correttamente giudicato allorché hanno fatto riferimento allo scaglione riferito alle cause di valore indeterminabile, atteso che la domanda lasciava all’esito del giudizio l’esatta determinazione del petitum , sebbene senza specificare che la sua applicabilità in tanto era possibile, in quanto il giudizio non si era concluso con l’accoglimento della pretesa, ma con un provvedimento in rito.
Né può dirsi che i giudici siano incorsi in un’omessa pronuncia su un motivo d’appello, atteso che il rigetto del gravame operato senza analizzare e decidere gli ulteriori motivi d’appello non può risolversi nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., profilandosi un’omessa pronuncia soltanto quando l’assorbimento di una domanda sia stato erroneamente dichiarato, ma non anche quando, come nella specie, l’assorbimento della domanda sia avvenuto in senso improprio, ossia quando la decisione assorbente escluda la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporti un implicito rigetto di altre domande (Cass., Sez. L, 22/06/2020, n. 12193; Cass., Sez. 6 1, 03/02/2020, n. 2334), situazione nella quale non si ha il vizio lamentato (se non in senso formale), in quanto la decisione assorbente, ove valutata correttamente, permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (Cass., Sez. 1, 12/11/2018, n. 28995).
6. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 9/11/2023