Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28652 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28652 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10736/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché contro
NOME COGNOME, in qualità di titolare della RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE). rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE.;
-intimata- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di BRINDISI n. 1331/2021, depositata in data 18/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Giudice di Pace di Brindisi, con la sentenza n. 1316/19, accoglieva la domanda di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che si dolevano di aver goduto di servizi qualitativamente inferiori rispetto a quelli oggetto del pacchetto turistico organizzato dalla RAGIONE_SOCIALE e venduto loro dall’RAGIONE_SOCIALE, e condannava esclusivamente la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, di euro 420,00, rigettava le altre domande degli attori.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa in quanto società facente parte della RAGIONE_SOCIALE, veniva dichiarata contumace.
Il Tribunale di Brindisi, con la sentenza n. 1331/2021, resa pubblica in data 18/10/2021, ha accolto l’appello della RAGIONE_SOCIALE ed ha riformato la pronuncia del giudice di primo grado.
Segnatamente, il tribunale ha accolto il primo motivo di appello sia nella parte in cui veniva dedotta l’omessa pronuncia sulla improcedibilità della domanda per il mancato svolgimento della negoziazione assistita sia -ad abundantiam – nella parte in cui veniva dedotta l’inammissibilità della prova testimoniale richiesta
dagli appellati e, per l’effetto, ha rigettato tutte le domande degli odierni ricorrenti.
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi, illustrati con memoria.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, quale titolare della RAGIONE_SOCIALE, resistono con separati controricorsi.
Il COGNOME, nella qualità, deposita memoria illustrativa.
RAGIONE_SOCIALE non svolge attività difensiva in questo giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il secondo motivo, che va anzitutto esaminato in quanto logicamente prioritario, i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 112, 163 nn. 3 e 4, 342, 339, ult. comma, e 246 cod.proc.civ. nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1 e 1 bis, del d.lgs. n. 28/2010, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Si dolgono che il giudice di prime cure abbia accolto l’eccezione di improcedibilità del giudizio di primo grado in quanto non preceduto dalla negoziazione assistita, sebbene la RAGIONE_SOCIALE si fosse limitata a denunciare detta improcedibilità senza trarne conclusioni conferenti, chiedendo solamente di essere estromessa dal giudizio e di rigettare ogni domanda degli appellati e giammai l’annullamento della sentenza del giudice di pace.
Lamentano che il tribunale, avvedutosi del contrasto insanabile tra la doglianza e le conclusioni della RAGIONE_SOCIALE, ha tentato di superarlo disponendo che «Infatti, va ritenuta fondata l’eccezione avente ad oggetto l’improcedibilità della domanda in quanto risulta sfornita completamente di prova»; così, non soltanto dichiarando erroneamente improcedibile una domanda infondata, ma anche violando l’art. 339 cod.proc.civ., atteso che la
sentenza del giudice di pace è appellabile per motivi esclusivamente processuali e non di merito.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti muovono dall’assunto che la sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità «in quanto la condanna nei confronti di RAGIONE_SOCIALE era limitata ‘a soli € 420,00’».
Detto assunto è basato unicamente sull’ammontare della condanna risarcitoria; il che ne dimostra l’erroneità in iure .
Per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, 3° comma, cod.proc.civ., come pretendono i ricorrenti, occorre assumere a riferimento non già il contenuto della decisione, ma il valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 cod. proc. civ. e segg. e senza tenere conto del valore eventualmente indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato.
Si tratta di un principio enunciato da Cass., Sez. un., 16/6/2006, n. 13917, e successivamente confermato, secondo cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi degli artt. 10 e segg. cod. proc. civ.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto (“contratto di massa” o meno), e non del contenuto concreto della decisione.
I ricorrenti non hanno indicato il contenuto della domanda (i controricorrenti lo indicano entrambi in euro 2758,00: v. p. 12 del controricorso della RAGIONE_SOCIALE e p. 15 del controricorso dell’RAGIONE_SOCIALE ) né hanno mai dedotto di avere stipulato il contratto mediante moduli o formulari.
Tantomeno hanno sostenuto e dimostrato che il giudice di pace abbia dichiarato, a torto o ragione, di avere deciso secondo equità: circostanza quest’ultima che avrebbe ingenerato, in forza del principio di apparenza, il convincimento che la sentenza, emessa
secondo equità, fosse, poi, sottoposta all’applicazione dell’art. 339, 3° comma, cod.proc.civ. (v. Cass. 12/12/2023, n. 34811 secondo cui «in materia di impugnazione delle sentenze del giudice di pace in contrRAGIONE_SOCIALEsie di valore non superiore ai millecento euro, al fine di stabilire se il giudice ha pronunciato secondo diritto o secondo equità occorre far riferimento a quanto lo stesso giudice ha statuito: se questi ha espressamente dichiarato di aver pronunciato secondo diritto, la sentenza non può considerarsi emessa secondo equità, operando il principio della c.d. apparenza, in virtù del quale il mezzo di impugnazione va individuato con riguardo alla qualificazione attribuita al provvedimento impugnato dal giudice che lo ha emesso, a prescindere dall’esattezza di tale qualificazione»).
Hanno basato, come si è detto, il loro ragionamento sull’erronea tesi che, essendo stata l’appellante condannata al pagamento di euro 420,00, la sentenza condannatoria sia stata emessa secondo equità e non secondo diritto.
È appena il caso di aggiungere che non ha alcun pregio la deduzione dei ricorrenti nella memoria depositata secondo cui «il valore delle cause relative a rapporti obbligatori, si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione.
La sentenza del G.P. ha riconosciuto agli attori un danno patrimoniale limitato all’importo complessivo di euro 420,00, condannandone al pagamento la sola RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e quest’ultima solo avverso detta statuizione ha proposto appello (v. conclusioni 1 e 2)».
I ricorrenti non contestano di aver domandato la condanna delle parti convenute al pagamento di euro 2.578,00 (valore della domanda, rilevante ai sensi dell’art. 10 cod.proc.civ.), ma che, essendo stata la RAGIONE_SOCIALE condannata in primo grado al pagamento di euro 420,00, in sede di appello il valore della contrRAGIONE_SOCIALEsia era quello di euro 420,00.
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 339, ult. comma, 112, 113 e 10 cod.proc.civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in riferimento all’art. 360, 1° comma, nn. 2,3,4 e 5 cod.proc.civ.
L’assunto da cui muovono i ricorrenti è che la sentenza pronunciata dal giudice di pace fosse impugnabile solo per vizi procedurali o per gli altri vizi tassativamente indicati dall’art. 339, ult. comma, cod.proc.civ., e che il tribunale sia incorso nella violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, 2, 3 e 4 cod.proc.civ. non pronunciandosi sull’eccezione di inappellabilità.
3) Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 342, 1° comma, n. 1 e n. 2, 324, 339 e 345 cod.proc.civ., 2697 cod.civ., 112. 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., per avere il tribunale rigettato la domanda ritenendola sfornita di prova, in quanto «i testimoni escussi erano inattendibili perché portatori dei medesimi interessi» degli odierni ricorrenti, sebbene: a) il giudice di pace avesse rigettato la domanda risarcitoria senza basarsi sulla prova testimoniale, ritenuta inammissibile; b) l’appellante avesse dedotto l’incapacità a testimoniare e non l’inattendibilità dei testimoni; c) la violazione dell’art. 2697 cod.civ. non rientri nel nRAGIONE_SOCIALEo dei motivi indicati tassativamente dall’art. 339 cod.proc.civ.; d) sull’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE si fosse formato il giudicato, non essendovi stato appello.
Lamentano che la RAGIONE_SOCIALE ha censurato erroneamente il capo della sentenza di primo grado relativo alla condanna alle spese, perché anche questo motivo non rientra nel nRAGIONE_SOCIALEo di quelli ammessi dall’art. 339, 3° comma, cod.proc.civ.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Gli assunti su cui la censura risulta fondata risultano del tutto assertivamente illustrati, denotando altresì che da parte dei
ricorrenti non è stata colta la ratio decidendi alla base dell’accoglimento del motivo di appello.
Il giudice a quo ha infatti chiarito di avere accolto il motivo di appello con cui era stata denunciata l’omessa pronuncia da parte del giudice di pace sull’eccezione di improcedibilità sollevata in primo grado e riproposta in appello (senza contestazione da parte degli odierni ricorrenti).
Va al riguardo precisato che il tribunale si è riferito all’accoglimento della eccezione di improcedibilità e non al rigetto della domanda per difetto di prova, quando ha affermato, a p. 7 (3° cpv.) «Pertanto va ritenuta fondata l’eccezione avente ad oggetto l’improcedibilità della domanda in quanto risulta sfornita completamente di prova».
Tant’è vero che l’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale (la seconda eccezione dell’appellante) è stata ritenuta fondata, ma ad abundantiam (p. 7, 4° cpv.)
In sostanza, il tribunale ha ritenuto completamente sfornita di prova la circostanza che la negoziazione assistita si fosse svolta ritualmente: all’invito alla negoziazione assistita non aveva fatto seguito la comunicazione del luogo e dell’ora in cui si sarebbe dovuta svolgere e «quindi il verbale di mancato accordo prodotto dagli odierni ricorrenti, datato 03/11/2016, veniva svolto in mancanza di contraddittorio tra le parti».
Il ragionamento del tribunale è invero chiaro: in assenza di prova dello svolgimento della negoziazione assistita, ha accolto l’eccezione di improcedibilità formulata dai controricorrenti.
Con particolare riferimento al terzo motivo va osservato che i ricorrenti censurano invero non già una ratio decidendi dell’impugnata sentenza, quanto bensì argomentazioni rese dal giudice a quo espressamente ad abundantiam .
Facendo applicazione della giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 24/01/2025, n. 1770; Cass. 08/06/2022, n. 18429; Cass.
10/04/2018, n. 8755), è da considerare inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.
La domanda degli odierni ricorrenti è stata considerata improcedibile.
Dopo aver rilevato l’improcedibilità, così privandosi della potestas iudicandi , il tribunale ha esaminato anche il merito dell’impugnazione sotto il profilo della prova, precisando altresì «ma queste ultime argomentazioni restano puramente ipotetiche e virtuali» ; l’unica ratio decidendi giuridicamente rilevante della sentenza impugnata è, quindi, quella relativa alla improcedibilità, l’unica su cui può formarsi il giudicato e la sola suscettibile di sindacato in questa sede (Cass. 11/10/2022, n. 29529).
4) Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 100, 101, 105, 132 n. 4, 324, 329, 342 e 91 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Lamentano non essere stata impugnata l’affermazione con cui il giudice di pace ha ritenuto responsabile del danno esclusivamente la RAGIONE_SOCIALE, essendosi sul medesimo pertanto formato il giudicato.
Ciononostante la RAGIONE_SOCIALE si è costituita in appello senza motivare «quale fosse l’interesse residuale che la legittimava a chiedere al Tribunale la riforma della sentenza del G.P. n. 1316/19, ancorché la stessa fosse totalmente satisfattiva, avendo escluso ogni responsabilità della RAGIONE_SOCIALE» (p. 12 del ricorso).
Si dolgono che il tribunale abbia errato nel condannarli al pagamento delle spese di lite nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, atteso che «non essendosi instaurato alcun contraddittorio (per mancanza di reciproche domande nel rispetto dei limiti dell’art. 339 u.co.), tecnicamente non era ravvisabile soccombenza alcuna» (p. 13).
Lamentano che senza motivazione, e quindi violando l’art. 132, n. 4 cod.proc.civ., il giudice a quo ha riconosciuto la legittimazione e l’interesse della RAGIONE_SOCIALE in relazione al giudizio d’appello.
Il motivo è infondato.
Il tribunale ha fatto evidentemente applicazione del principio di causalità, che insieme con quello di soccombenza regola la liquidazione delle spese di lite, e ha individuato la parte soccombente in quella che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione e che debba qualificarsi tale in relazione all’esito finale della contrRAGIONE_SOCIALEsia.
Nella specie è invero pacifico che la domanda risarcitoria degli odierni ricorrenti è stata formulata nei confronti sia dell’RAGIONE_SOCIALE di viaggi che del tour operator (insieme con quest’ultimo era stata evocata in giudizio la RAGIONE_SOCIALE).
La questione della legittimazione passiva ( relativa a chi fosse responsabile dei danni cagionati dall’asserito inadempimento ) era ancora sub iudice allor quando era stato formulato l’appello; il che impedisce di considerare passata in giudicato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto unica responsabile del danno lamentato la RAGIONE_SOCIALE Di conseguenza, l’RAGIONE_SOCIALE, sebbene non soccombente in primo grado, era legittimata, nel giudizio di appello formulato dalla parte soccombente, a intervenire e riproporre espressamente, al fine di
evitare la presunzione di rinunzia derivante da un suo contegno omissivo, le difese svolte nel precedente grado di giudizio.
Il rapporto processuale tra i ricorrenti e la RAGIONE_SOCIALE, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, si è instaurato con la proposizione della domanda risarcitoria; il rigetto della domanda nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, senza la relativa estromissione dal giudizio o una rinunzia da parte degli odierni ricorrenti alla domanda nei suoi confronti, ha mantenuto in vita quel rapporto processuale, giustificando -in applicazione come detto del principio di causalità- la condanna degli odierni ricorrenti al pagamento delle spese di lite del giudizio di merito.
All’inammissibilità e all’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in favore dei controricorrenti nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida: a) in complessivi euro 2.200,00 ( di cui euro 2.000,00 per onorari ), oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario; b) in complessivi euro 1200,00 ( di cui euro 1.000,00 per onorari ), oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore del controricorrente COGNOME, nella qualità, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 30 settembre 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME