Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15213 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 15213 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso 2075-2020 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
nonché contro
NOME, NOME, NOME COGNOME;
– intimati – avverso la sentenza n. 822/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 14/10/2019;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Udite le conclusioni del AVV_NOTAIO Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO per il ricorrente;
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, ed NOME convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari i germani COGNOME NOME e NOME per sentire dichiarare lo scioglimento della comunione del bene relitto caduto nella successione materna.
Si costituiva COGNOME che concludeva per il rigetto della domanda, asserendo in via riconvenzionale di avere posseduto il bene per un periodo di tempo utile ad assicurare l’usucapione, della quale chiedeva l’accertamento, chiedendo in via subordinata la condanna degli attori e dell’altra convenuta al rimborso delle
spese di miglioria e dei costi sostenuti per la costruzione della maggior parte della consistenza immobiliare.
Alla domanda aderiva NOME, moglie del convenuto.
Riunito il giudizio a quello separatamente proposto da COGNOME NOME, la quale deduceva che, oltre all’immobile oggetto di causa, andavano considerati anche quelli interessati da compravendite simulate che avevano leso la propria quota di legittima, e di cui chiedeva la reintegra, nelle more del giudizio decedeva COGNOME NOME, cui subentravano gli eredi, tra cui anche l’odierno ricorrente.
Il Tribunale con la sentenza non definitiva n. 2658/2010 rigettava la domanda di usucapione coltivata dagli eredi di NOME e disponeva la prosecuzione del giudizio.
Con la successiva sentenza n. 3178/2017 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda di riduzione proposta da COGNOME NOME e liquidava le spese di lite relativamente alla domanda di reintegra della quota di legittima ed alla domanda di usucapione, condannando COGNOME NOME, NOME e NOME COGNOME, quali eredi dell’originaria parte convenuta, al rimborso delle spese di lite in favore delle controparti, ritenendo che il valore della controversia dovesse essere determinato ai sensi dell’art. 15 c.p.c., sulla base della rendita catastale moltiplicata per 200.
Con la medesima sentenza il Tribunale rimise la causa in istruttoria per la prosecuzione del giudizio di divisione.
Avverso tale sentenza gli eredi di NOME COGNOME hanno proposto appello esclusivamente per il capo relativo alla condanna alle spese di lite, e la Corte d’Appello di Cagliari con la sentenza n. 822 del 14 ottobre 2019 ha rigettato il gravame.
Quanto alla deduzione secondo cui la prima sentenza non definitiva aveva previsto che la liquidazione delle spese sarebbe dovuta avvenire con la sentenza non definitiva (mentre non era tale quella impugnata che aveva dato ulteriori disposizioni per il prosieguo del giudizio di divisione), la Corte distrettuale reputava che, quanto alla domanda di usucapione, già la prima sentenza aveva carattere definitivo così che la successiva sentenza aveva ovviato ad una omissione nella quale era incorso il Tribunale.
Quanto alla contestazione del valore della controversia, la sentenza impugnata osservava che era stata fatta corretta applicazione dell’art. 15 c.p.c., che stabilisce che il valore della causa si determina in base al reddito dominicale o alla rendita catastale e che, solo in assenza di tali elementi, è dato attenersi alle risultanze degli atti, ovvero in caso di tale ulteriore carenza, ritenere la causa di valore indeterminabile.
Inoltre, gli elementi su cui il giudice può individuare il valore ex actis devono essere già precostituiti e disponibili fin dall’inizio del processo, essendo irrilevanti quelli acquisiti nel corso dell’istruzione.
Ciò implicava che non poteva attribuirsi rilevanza alla successiva relazione tecnica redatta nel prosieguo del giudizio ed ai fini della divisione, né alla relazione di parte predisposta da un tecnico degli appellanti.
Per l’effetto era corretta l’individuazione del valore della causa operata dal Tribunale e l’appello doveva essere rigettato.
NOME NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello sulla base di un motivo.
COGNOME NOMENOME NOMENOMENOME NOMENOME NOME, NOME ed NOME hanno resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Con ordinanza interlocutoria n. 3905 dell’8 febbraio 2022 la Sesta Sezione civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza.
Il AVV_NOTAIO Ministero ha depositato conclusioni scritte e le parti hanno depositato memorie.
Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 15, 91 e 115 c.p.c., dell’art. 6 del DM n. 55/2014 e dell’art. 1 della legge n. 228/2012, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3, c.p.c.
Si deduce che è erronea l’applicazione dell’art. 15 c.p.c., in quanto il prosieguo del giudizio di divisione avrebbe potuto permettere di appurare con maggiore precisione il valore dell’immobile oggetto di causa.
Lo stesso Tribunale nel disporre una consulenza tecnica d’ufficio sul bene ha peraltro riconosciuto di non avere sufficienti elementi per determinare il valore del bene.
La perizia espletata dal CTU aveva consentito di appurare che dei vani oggetto di causa solo quattro erano regolari dal punto di vista urbanistico, in quanto la maggior parte erano stati edificati in carenza di provvedimento autorizzatorio.
Ne consegue la violazione delle norme indicate in rubrica.
Il motivo è infondato.
5.1 In primo luogo, deve sostanzialmente reputarsi abbandonata la contestazione mossa in appello in ordine al fatto che le spese di lite erano state liquidate con la seconda sentenza non definitiva, sebbene la prima sentenza del Tribunale, che aveva rigettato la domanda di usucapione, avesse rimesso la liquidazione delle relative spese alla sentenza definitiva.
Depone in tal senso la circostanza che le norme di cui si denuncia la violazione nella rubrica del motivo non consentono di inferire la loro attinenza con la questione dedotta con il motivo di appello, concernente l’impossibilità di poter liquidare le spese con la sentenza non definitiva.
Conforta poi tale convincimento il fatto che la risposta data dalla Corte d’appello, e fondata sul fatto che già la sentenza che aveva rigettato la domanda di usucapione aveva sul punto carattere definitivo, così che la sentenza del Tribunale del 2017 aveva ovviato ad una colpevole omissione del Tribunale, non risulta in alcun modo attinta dalle critiche del ricorrente, così che, ove anche volesse ipotizzarsi la reiterazione della censura la stessa si palesa evidentemente inammissibile in quanto non presenta alcuna specifica critica al ragionamento che è alla base della decisione della Corte distrettuale in parte qua.
Le pur apprezzabili considerazioni in punto di diritto, svolte nella memoria del AVV_NOTAIO Ministero, quanto ai limiti al potere di liquidare le spese per la sentenza non definitiva, supportate da una puntuale disamina della giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, non tengono conto del fatto che la relativa censura era stata disattesa dal giudice di appello, senza che sia stata validamente attinta dal motivo di ricorso, e senza che possa supplire a tale omissione quanto esposto in sede di discussione orale dal difensore del ricorrente.
5.2 La critica invece investe la scelta del valore della causa sulla scorta del quale sono state poi liquidate le spese di lite, sostenendosi da parte del ricorrente l’erroneità del rinvio ai criteri di cui al primo comma dell’art. 15 c.p.c., che contempla la
moltiplicazione del valore della rendita catastale per il coefficiente previsto per le cause relative al diritto di proprietà.
Al riguardo occorre richiamare la disposizione di cui all’art. 5 del DM n. 55/2014 (che sul punto risulta riproduttivo delle analoghe previsioni contenute anche nei precedenti DM con i quali risultavano fissate le tariffe per la liquidazione dei compensi professionali degli avvocati), il quale prevede che per la liquidazione delle spese a carico del soccombente si ha riguardo al valore della controversia come determinato ai sensi delle norme del codice di procedura civile.
Poiché la controversia per la quale risultano liquidate le spese di lite è relativa ad una domanda di usucapione, risulta incensurabile il richiamo alla previsione di cui all’art. 15 c.p.c., che al primo comma prevede appunto che il valore delle cause sia determinato in base alla rendita catastale moltiplicata secondo i coefficienti ivi indicati dal legislatore (nella specie per 200, trattandosi di causa relativa alla proprietà).
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che solo in assenza degli elementi richiamati dal primo comma dell’art. 15 c.p.c. è possibile per il giudice attenersi alle risultanze degli atti e, non emergendo da essi concreti ed attendibili elementi per la stima, ritenere la causa di valore indeterminabile, con l’ulteriore precisazione che gli elementi su cui fondare il giudizio di valore ” ex actis ” devono, peraltro, risultare precostituiti e disponibili fin dall’inizio del processo (essendo irrilevanti quelli acquisiti in corso di istruzione), nonché specifici, concreti, obbiettivi ed idonei a fornire un razionale fondamento di stima, tale non potendosi ritenere, nella specie, la mera indicazione delle ridotte dimensioni
della zona controversa (Cass. n. 7615/1997, richiamata anche dalla Corte d’Appello; Cass. n. 13567/1999; Cass. n. 3802/1995 ). E’ stato altresì specificato che la presunzione del valore indeterminabile delle cause relative a diritti reali su beni immobili opera solo qualora l’immobile oggetto della domanda non sia accatastato ed agli atti non risultino elementi per la stima, mentre non trova applicazione quando la domanda riguarda un immobile che, pur catastalmente frazionato in varie parti, alcune delle quali senza reddito dominicale, costituisce un’unitaria entità immobiliare, il cui valore, ai fini della competenza, va calcolato moltiplicando per i coefficienti di cui all’art. 15 cod. proc. civ. (nel testo fissato dall’art. 7 della legge 30 luglio 1984 n. 349) il reddito dominicale delle particelle per le quali esso risulta indicato (Cass. n. 1488/1995; Cass. n. 8745/1990).
Alla luce di tali principi, atteso il pacifico accatastamento del bene per il quale era stata avanzata domanda riconvenzionale di usucapione, e stante il carattere sussidiario dei criteri di determinazione del valore posti dal terzo comma dell’art. 15 c.p.c., si palesa incensurabile la determinazione del valore avvenuta in base alla rendita catastale.
Né può invocarsi la circostanza che sia stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio onde pervenire alla stima del bene ai fini della divisione, in quanto, oltre a doversi rilevare che la consulenza d’ufficio ai fini della divisione mira non solo alla determinazione del valore del bene, ma anche alla verifica circa la fattibilità di una divisione in natura, occorre ribadire il carattere sussidiario dei criteri di cui al terzo comma, destinati a recedere ove in atti sia stata fornita la prova della rendita catastale dell’immobile.
Così come del pari risulta irrilevante il richiamo alla pretesa natura abusiva di parte del bene comune.
Questa Corte ha, infatti, affermato che nelle cause relative alla divisione di un bene immobile, non può considerarsi l’immobile privo di rendita catastale e determinare il valore della causa secondo quanto emerge dagli atti solo perché lo stabile sia stato ampliato, essendo invece necessaria ai fini indicati, una totale trasformazione a seguito di modifiche talmente radicali da farlo considerare una entità distinta dalla preesistente non più confondibile ne identificabile con quella (Cass. n. 10573/1998).
Lo stesso ricorrente riferisce di una parziale abusività del bene aggiungendo che in ogni caso, anche per le parti realizzate in assenza di provvedimento autorizzativo, sarebbe stata avanzata domanda di condono, circostanza questa che ben potrebbe assicurarne la commerciabilità.
Ma quel che appare ancor più rilevante è che il preteso carattere abusivo di alcune delle parti dell’immobile può incidere solo laddove l’immobile sia interessato dal compimento di alcuni degli atti per i quali la legge prevede espressamente la sanzione della nullità, come per le ipotesi di nullità comminate dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 (per la cui disciplina si veda Cass. S.U. n. 8230/2019).
La deduzione difensiva del ricorrente trascura però che la liquidazione è stata operata per una controversia avente ad oggetto la domanda di usucapione del bene, e cioè un’ipotesi di acquisto a titolo originario, sottratta, in ragione del carattere formale della nullità relativa ad immobili abusivi, alla previsione di nullità, così che sul punto diviene irrilevante la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’usucapione di beni in tutto o in
parte abusivi, rilevando unicamente il disposto del primo comma dell’art. 15 c.p.c. ai fini della determinazione del valore della causa, cui ragguagliare la liquidazione delle spese di lite.
Il ricorso è pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza, quanto ai controricorrenti, e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.
Nulla a disporre relativamente alle parti rimaste intimate.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO, dichiaratosene anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 23 maggio 2024