Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25275 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25275 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5335/2024 R.G. proposto da : COGNOME domiciliato ex lege digitalmente, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (SLVDRD59L09F839M), COGNOME (VLTGPP65C04B922S)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME E C, COGNOME CITTA’ DI VICO EQUENSE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3690/2023 depositata il 21/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato 20/2/2024 COGNOME NOME impugna la sentenza della Corte d’appello di Napoli pubblicata il 21/7/2023. Le parti intimate COGNOME NOME e il Comune di Vico Equense non hanno formulato difese.
La società ‘RAGIONE_SOCIALE citava in giudizio COGNOME NOME, deducendo che in data 15.6.2008, alle ore 18.30 circa, dall’unità immobiliare di proprietà del COGNOME NOME, nella zona a monte dell’area di proprietà, si verificava il distacco di parti di intonaco, calcinacci e materiale cementizio che cadevano nella sottostante proprietà ove esercitava la gestione di un bagno, in conseguenza dello stato di cattiva manutenzione e/o di abbandono della proprietà immobiliare del COGNOME, chiedendone il risarcimento dei danni. Si costituiva il COGNOME che deduceva che l’area era stata abusivamente occupata dalla società e di avere avviato per questo diverse controversie innanzi al TAR per impugnare gli atti assentivi. In base a una perizia di parte chiedeva in via riconvenzionale, anche nell’interesse dei condomini (di cui veniva richiesta l’autorizzazione alla loro chiamata in giudizio): 1) l’accertamento dell’abusiva occupazione della proprietà e di dichiarare ex art. 948 c.c. la proprietà unitamente ai condomini chiamati in causa, con conseguente negazione di qualsiasi diritto dell’attrice ovvero dell’COGNOME NOME ( gestore dell’attività) e/o del Comune di Vico Equense; 2) l’adozione di provvedimenti utili alla cessazione delle turbative e delle molestie, con conseguente condanna della società attrice, dell’COGNOME e del comune di Vico Equense al risarcimento dei danni; 3) l’emissione dell’ordine alla
Antico Bagno, all’Alvino e al Comune chiamato in causa, ciascuno per quanto di competenza, di arretrare le opere costruite nel rispetto della distanza prevista dalla normativa urbanistica vigente.
Autorizzata la chiamata in causa dei condomini e della compagnia assicuratrice di COGNOME, nonché del Comune di Vico Equense, il giudizio di primo grado si chiudeva, in contumacia di Alvino, con sentenza non definitiva il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, in favore del G.A., relativamente alla domanda risarcitoria proposta da COGNOME nei confronti del Comune di Vico Equense. Con sentenza definitiva n. 1229, depositata il 28.4.2017, il medesimo Tribunale, condannava COGNOME NOME al pagamento, in favore della società RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 2.000,00. Rigettava, inoltre, la domanda di manleva verso l’assicuratore Axa, regolando le spese in base all’esito.
Impugnata la sentenza da COGNOME la Corte d’appello, per quanto ancora di interesse, prendeva atto che l’appellante, con atto del 10.2.2023, aveva rinunciato alle domande riconvenzionali, con accettazione da parte del Comune e di Alvino, per le quali pendeva impugnazione e, nel regolare le spese di lite, lo condannava al pagamento delle spese, ai sensi dell’art. 336 cpc., liquidandole in favore del solo Comune di Vico Equense, per il primo grado, la somma di euro 3.808,00, essendo COGNOME rimasto contumace; per il secondo grado, e a favore ciascuna parte, liquidava la somma di euro 4.995,50 a titolo di compenso, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cpa. Per il resto confermava la condanna risarcitoria, riducendo l’importo in e 500,00 e la infondatezza della domanda di manleva verso Axa.
Il ricorso è affidato a tre motivi e riguarda la quantificazione delle spese per cui vi è stata condanna di COGNOME alla refusione in
conseguenza della rinuncia delle domande di rivendicazione e di violazione delle distanze nei confronti di Alvino e del Comune.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 948 del codice civile, in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.; nullità per difetto di motivazione sufficiente e corretta, in violazione dell’art. 132, comma 2, n.4 c.p.c. e per omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., numero 5’, poiché la Corte territoriale, avrebbe erroneamente ritenuto di valore determinato la domanda di accertamento della violazione delle distanze, e di valore indeterminabile la domanda di rivendica, sull’erroneo assunto che l’azione di rivendica non sia un’azione reale.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 15, 91 del codice di procedura civile, del DM 55/2014 (art.5), in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.; nullità per difetto di motivazione sufficiente e corretta, in violazione dell’art. 132, comma 2, n.4 c.p.c. e per omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., numero 5, c.p.c. La censura è nel senso che l’articolo 15 c.p.c., ai fini della determinazione del valore della causa, si applicherebbe alle cause relative ai diritti reali, restando esclusi dall’ambito operativo della norma i diritti personali relativi a beni immobili ( citando Cass. 13/01/2014, n.463): sarebbe pertanto erronea la valutazione operata sulla rivendica e sulla richiesta di rispetto delle distanze Nella regolamentazione delle spese di giudizio sarebbe infine erronea la riconduzione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del D.M. 55/2014, all’ipotesi di valore indeterminabile della causa, da considerare come di valore compreso tra euro 26.000,00 ed euro 260.000,00.
Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 15, 91 del codice di procedura civile, in relazione
all’art.360 c.p.c. n.3; nullità per difetto di motivazione sufficiente e corretta, in violazione dell’art. 132, comma 2, n.4 c.p.c. e per omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., numero 5, c.p.c. Ulteriore violazione delle suddette norme si sarebbe verificata con riferimento alla individuazione del valore catastale dell’immobile del ricorrente ai fini della individuazione dello scaglione per determinare i compensi.
I motivi vanno trattati congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione di nullità della sentenza.
I motivi sono inammissibili perché non offrono valide ragioni per dimostrare l’erroneità della sentenza nella regolamentazione delle spese inerenti alle due domande rinunciate .
La Corte di merito ha affermato che ‘ Nella specie il COGNOME ha cumulato una domanda di valore indeterminabile (la domanda di rivendica) e una domanda di valore determinato (la domanda di accertamento della violazione delle distanze) ‘. La Corte d’Appello, quindi, ha considerato che gli elementi su cui fondare il giudizio di valore devono risultare precostituiti e disponibili fin dall’inizio del processo e idonei a fornire un razionale fondamento di stima (Cass.11/05/2022, n.14885). Ha rilevato, con riguardo alla domanda di accertamento della violazione delle distanze, che ‘ nella specie, dagli atti di causa non emerge la rendita catastale della parte di terreno oggetto di rivendica da parte del COGNOME; emerge però la rendita catastale dell’appartamento in proprietà del COGNOME (euro 619,75, v. atto di acquisto del COGNOME) ‘. Conseguentemente la Corte di merito ha assunto la cifra di 619,75 euro quale base per la determinazione del valore della causa ai sensi dell’art.15 c.p.c., rilevando che il valore delle domande di accertamento della violazione delle distanze legali e di condanna alla demolizione delle opere edificate in violazione delle dette distanze è di euro
30.987,50 . Ciò posto ha applicato il principio in base al quale, ove siano state proposte più domande, alcune di valore indeterminabile ed altre di valore determinato, la controversia deve essere ritenuta, nel complesso, di valore indeterminabile solo laddove l’applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile consenta il riconoscimento di compensi superiori rispetto a quelli che deriverebbero facendo applicazione dello scaglione applicabile in ragione del cumulo delle domande di valore determinato’ (citando Cass. n. 4187/2017; 16318/2011; 22719/2022).
Posto che lo scaglione per i compensi, applicabile in ragione del valore considerato per la causa di valore indeterminabile in questione, non è inferiore a quello da considerare per la liquidazione del compenso per la causa di valore determinato, la corte di merito ha ritenuto che l’intera controversia, nel complesso, può essere considerata di valore indeterminabile (al fine di liquidare il compenso), prendendo come scaglione il tariffario il cui è valore compreso tra euro 26.000,101 ed euro 52.000,00.
La decisione impugnata dimostra così di avere correttamente applicato i criteri legali di cui sopra, interpretandoli sulla base della giurisprudenza sopra richiamata, valutando il compenso in base al valore dimostratosi più elevato in rapporto ai due scaglioni presi in considerazione (quello della causa di rivendica con valore indeterminabile e della causa sulle distanze di valore determinato). Contrariamente a quanto viene denunciato nei motivi, ha, appunto, liquidato le spese sulla base del valore della causa di rivendicazione -di valore indeterminabile -, dopo averne comparato lo scaglione con quello riferito alla causa di valore determinabile (sulla violazione delle distanze), così applicando lo scaglione previsto per la causa di valore indeterminabile (valore compreso tra euro 26.000,101 ed euro
52.000,00), posto esso non è risultato inferiore a quello da considerare per la liquidazione del compenso per la causa di valore determinato ( 36.000,00).
I motivi, oltre a non contrapporre validi argomenti per confutare la ratio decidendi sopra esposta, esito di una corretta applicazione dei criteri legali sopra citati, sono inammissibili per carenza di autosufficienza di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. In tema di liquidazione degli onorari agli avvocati, quando si intende contestare l’applicazione di un determinato scaglione, il ricorrente deve, a pena d’inammissibilità, indicare il valore della controversia, trattandosi di presupposto indispensabile per consentire l’apprezzamento della decisività della censura (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 23132 del 19/08/2021; Sez. 6 -3, Ordinanza n. 2532 del 10/02/2015). Le censure, per meglio dire, omettono di rappresentare, per la parte che rileva, quale differente scaglione di riferimento avrebbe dovuto in ipotesi adottare il giudice dell’appello in relazione al preteso diverso criterio da applicarsi per determinare il valore della controversia rinunciata, e quale sarebbe in ipotesi il compenso complessivamente dovuto alle due controparti a titolo di spese legali, sulla base del diverso parametro in tesi applicabile, e ciò al fine di rappresentare la lesione in concreto subita.
Sotto il profilo della completezza, inoltre, la motivazione appare sufficiente e non internamente contradittoria, in quanto riposta su una compiuta analisi dei valori da attribuirsi alle due domande, desumibili dagli atti di causa per come scrutinati e valutati dalla Corte di merito, come tale incensurabile (Cass. SU 8053/2014).
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile. Non si provvede sulle spese, stante l’assenza dal giudizio della parte intimata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 07/04/2025.
Il Presidente
NOME TRAVAGLINO