Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 705 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 705 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8236/2023 R.G. proposto da: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata – avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2034/2022 depositato il 06/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli, il Ministero della Giustizia proponeva opposizione avverso il decreto emesso dalla medesima Corte d’Appello in composizione monocratica di accoglimento della domanda di equa riparazione in relazione ad una procedura fallimentare in corso dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con condanna del Ministero al pagamento in favore della società istante della somma di euro 4.400,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE in ragione di euro 400 all’anno per 11 anni di ritardo rispetto alla ragionevole durata della procedura.
La C orte d’A ppello di Napoli rigettava l’opposizione.
In particolare, la Corte evidenziava che l’originaria istanza di ammissione al passivo aveva ad oggetto la considerevole somma di 2,5 milioni di euro mentre alla chiusura del fallimento il credito risultava soddisfatto per euro 1.390,00.
Non poteva ritenersi fondata la tesi del Ministero secondo il cui la parte era consapevole della impossibilità di soddisfare la propria pretesa e che, comunque, il pregiudizio era irrisorio.
Infatti, non poteva ritenersi la irrisorietà della pretesa o del valore della causa in relazione all’interpretazione convenzionale della lettera g) del comma 2 sexies dell’art. 2 legge n. 89 del 2001. Secondo la Corte d’appello una posta in gioco oggettivamente rilevante, attesa la sua entità, non poteva essere fatta regredire all’iter bagatellare per effetto delle condizioni patrimoniali del soggetto leso.
Allo stesso modo doveva rigettarsi l’eccezione, sollevata in via subordinata, di parametrare il danno al risultato utile per la ricorrente nella procedura presupposta e non già al l’estremamente rilevante credito ammesso.
Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.
NOME Gas è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 sexies, lett. g) l. n.89 del 2001.
La censura ha ad oggetto il valore della causa in riferimento alle condizioni personali della parte per l’inversione dell’onere della prova, trovando applicazione una presunzione relativa di insussistenza del danno
Il secondo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 sexies, lett. g) l. n.89 del 2001 nonché degli artt. 2727, 2728, 2696 c.c.
Il decreto sarebbe erroneo nella parte in cui ha ritenuto che la presunzione relativa di insussistenza del danno sia applicabile solo alla fase monitoria e non in quella successiva dell’opposizione. Nella specie spettava alla società resistente fornire la prova positiva di aver subito un pregiudizio non patrimoniale dalla lungaggine della procedura fallimentare pur a fronte dell’irrisorietà della pretesa, trovando applicazione la norma anche nella fase dell’opposizione.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2 -bis, comma 3, della legge n. 689/81,
Secondo il Ministero ricorrente il limite posto dalla norma indicate in rubrica secondo cui la misura dell’indennizzo non può in ogni caso essere superiore al valore della causa imponeva nella
Ric. 2023 n. 8236 sez. S2 – ud. 09/07/2024
specie di non liquidare una somma superiore rispetto al credito per il quale la società si era insinuata. In altri termini la C orte d’ Appello avrebbe erroneamente identificato il valore della causa con la somma ammessa al passivo mentre la norma fa riferimento al diritto accertato dal giudice, sicché qualora un credito risulti ammesso al passivo per una somma poi la quasi totalità della medesima sia stata soddisfatta entro il termine della durata ragionevole e solo alla somma residua che deve farsi riferimento per individuare il valore della causa.
I tre motivi di ricorso, che stante la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Le censure partono tutte dal presupposto che il credito per il quale la società RAGIONE_SOCIALE si era insinuata al passivo fosse di lire 2.673.752. Nello stesso decreto impugnato si legge che il credito inerente all’insinuazione al passivo fallimentare della ‘RAGIONE_SOCIALE, da parte dell a RAGIONE_SOCIALE è pari ad € 2.673.752,00.
Al punto 3 .1 del medesimo decreto la Corte d’Appello ribadisce che l’originaria istanza di ammissione al passivo aveva ad oggetto la considerevole somma superiore ai 2,5 milioni di euro.
La motivazione della Corte d’Appello si incentra tutta sul significativo valore del credito per il quale la RAGIONE_SOCIALE si era insinuata al passivo, mentre le censure del Ministero partono tutte dal diverso presupposto che il credito fosse di lire 2.673.752 e non del medesimo importo in euro.
Ne consegue che le censure sono inammissibili perché non tengono conto della decisione e non evidenziano l’eventuale errore commesso dalla Corte d’Appello nella quantificazione del credito insinuato al passivo fallimentare.
Ric. 2023 n. 8236 sez. S2 – ud. 09/07/2024
Peraltro, nella specie si tratterebbe di un errore di fatto da farsi valere con il rimedio della revocazione e non con il ricorso per cassazione. L’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, infatti, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 16439 del 10/06/2021, Rv. 661483 – 01).
In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Nulla sulle spese non essendosi costituita la parte intimata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione
Ric. 2023 n. 8236 sez. S2 – ud. 09/07/2024