Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21549 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21549 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16424/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in POTENZA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE
POTENZA
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 407/2021 depositata il 11/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1. -Il Comune di Potenza ha occupato, in via di urgenza, terreni edificabili di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE e, poiché li aveva anche trasformati, le parti hanno raggiunto un accordo, per effetto del quale la società ha ceduto gratuitamente i beni oggetto di occupazione d’urgenza, riservandosi il diritto di utilizzare la cubatura edificatoria agli stessi attribuita dal P.R.G.
Tuttavia, secondo la società, il Comune non ha rispettato l’accordo, impedendo l’utilizzo della corrispondente cubatura edificabile, e, di conseguenza, la società lo ha convenuto in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni corrispondenti al valore dei beni.
2. -Nella causa davanti al Tribunale di Potenza, il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, difendendosi anche nel merito.
Il giudice di primo grado, con sentenza non definitiva, ha respinto l’eccezione di giurisdizione e, poi, con la sentenza definitiva, ha accolto nel merito la domanda.
Tuttavia, su appello del Comune di Potenza, la Corte di Appello ha accolto l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione ed ha condannato la società alla rifusione delle spese di lite, in complessivi € 41.556,75, per il primo grado, e, per il giudizio di appello, in altri euro 28.883,55, oltre IVA e Cassa previdenziale avvocati come per legge, ponendo altresì a suo carico le spese della c.t.u. disposta in primo grado.
3. -La società RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso tale decisione, con quattro motivi di censura.
Il Comune di Potenza non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. -Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 91, 92, 132 n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., in relazione ai D.M. recanti la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi degli avvocati (da ultimo D.M. Giustizia n. 55 del 10.3.2014); nonché dell’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento al carico delle spese per l’espletamento della c.t.u. sull’ammontare dei danni relativi alle domande non esaminate. Difetto di motivazione.
La tesi della ricorrente è che la liquidazione complessiva delle spese (oltre 80 mila euro) non tiene conto del fatto che la causa è stata della giurisdizione, senza entrare nel merito, e che dunque il valore della decisa solo su una questione pregiudiziale, quella causa non può essere considerato quello proprio del merito di essa. Inoltre, le spese di CTU sarebbero state liquidate pur in assenza di
una domanda, ossia senza che siano state richieste.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Anzitutto, non è ravvisabile il vizio di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la motivazione, seppure sintetica, illustra l’iter logico seguito per pervenire alla decisione, facendo espresso riferimento alle disposizioni del d.m. n. 55/2014, al valore della causa ed ai valori medi applicati, con esclusione dei compensi per la fase istruttoria -di trattazione in grado di appello; con la conseguenza che essa non rientra in una di quelle gravi anomalie argomentative individuate dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014.
Neanche può dirsi che la decisione è ultra petita , posto che la richiesta di liquidazione delle spese le comprende tutte e, in ogni caso, sul punto, la censura non è formulata nel rispetto dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., perché non si riproduce in ricorso la richiesta di liquidazione, nel suo contenuto, al fine di porre questa Corte nella condizione di valutare se essa fosse priva di qualsiasi riferimento alle spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio.
Neppure è configurabile violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., dovendosi considerare che il giudice d’appello, attenendosi al criterio della soccombenza, ha provveduto alla liquidazione delle spese avendo riguardo al valore della causa, che non muta per il fatto che la decisione si sia limitata ad affrontare una questione pregiudiziale o preliminare, anziché il merito della controversia.
2. -Con il secondo motivo si prospetta egualmente violazione e falsa applicazione del Decreto Ministro Giustizia n. 55 del 10 marzo 2014, con riferimento agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 10 e 15 cod. proc. civ. anche per errata individuazione del ‘ petitum’ . Violazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Si obietta alla decisione impugnata che la causa ha ad oggetto l’illegittimità della condotta dell’ente locale e non già il risarcimento del danno, con la conseguenza che il valore della causa non può essere quello della richiesta di risarcimento, ma va determinato sulla base dei criteri previsti dai richiamati artt. 10 e 15 cod. proc. civ. per le cause relative a beni immobili.
Il motivo è infondato.
Oggetto della causa era la richiesta di risarcimento, emergendo dalla sentenza impugnata che, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierna ricorrente ha chiesto la condanna del Comune di Potenza al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del mancato rispetto dell’accordo transattivo intercorso tra le parti.
Potrebbe ipotizzarsi che l’oggetto sia l’accertamento della mera illegittimità di una condotta, ove si agisse con un’azione di mero accertamento, il che non è stato. E comunque, ove anche la domanda fosse di mero accertamento della illegittimità della condotta, non ne deriverebbe un valore, per ciò stesso, minore.
Del tutto inconferente risulta, pertanto, il richiamo agli artt. 10 e 15 cod. proc. civ., che determinano il valore delle cause relative a beni immobili sulla base del reddito dominicale o della rendita catastale della res e, in loro assenza, impongono al giudice di attenersi alle risultanze degli atti e, in mancanza di elementi concreti ed attendibili per la stima, di ritenere la causa di valore indeterminabile (Cass., sez. 2, 26/05/2015, n. 10810).
Inammissibile è anche il motivo là dove si denuncia la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché il vizio non è stato dedotto nei termini chiariti dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014.
3. -Con il terzo motivo si prospetta violazione degli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. per erronea applicazione dello scaglione fino a 2 milioni di euro previsto dal d.m. n. 55 del 2014.
La tesi è che sono state comunque violate le tariffe, perché la Corte d’appello avrebbe erroneamente liquidato le spese avendo riguardo allo scaglione fino ad euro due milioni; sostiene la ricorrente che, invece, le spese, tenendo conto dello scaglione fino ad euro 260.000,00 (cause di valore indeterminabile), secondo il prospetto riportato in ricorso, ammontano a circa 14 mila euro.
Il motivo è infondato.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, in applicazione del criterio del disputatum, il valore della causa è pari: per il primo grado, alla somma domandata con l’atto introduttivo se la domanda viene rigettata, ed a quella accordata dal giudice, se viene accolta; per l’appello, alla somma che ha formato oggetto di
impugnazione se l’appello è rigettato, ed alla maggior somma accordata dal giudice rispetto a quella ottenuta in primo grado dall’appellante, se il gravame è accolto (così già Sez. 6 -3, Ordinanza n. 15857 del 12.6.2019; Cass., sez. 3, n. 27871 del 23/11/2017, in motivazione; Cass., Sez. 3, n. 536 del 12/01/2011; Sez. 6 -5, Ordinanza n. 27274 del 16/11/2017; Cass., sez. 3, 2022, n. 35195).
Nella specie, il Tribunale, accogliendo la domanda, ha condannato il Comune al risarcimento dei danni in favore dell’odierna ricorrente, quantificandoli in euro 1.493.185,61, oltre accessori, e, pertanto, il giudice d’appello ha liquidato le spese di lite del giudizio di primo grado avendo riguardo alla somma riconosciuta a titolo di risarcimento dei danni; per il grado di appello ha tenuto conto della somma oggetto di impugnazione. Tanto esclude le violazioni denunciate.
4. -Infine l’ultimo motivo prospetta una violazione dell’articolo 24 Cost. e 91 e 360 n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. La ricorrente ribadisce che la somma finale a titolo di spese (circa 80 mila euro) è liquidata senza tener conto che si è discusso della sola questione di giurisdizione; senza che le spese di CTU siano state richieste; senza tener conto che il risultato finale è stato solo quello di conoscere l’autorità giudiziaria cui rivolgersi; lamenta, pertanto, violazione del diritto di difesa.
Il motivo è inammissibile.
La censura è genericamente basata sulla contestazione del valore della causa, con l’argomento che si è discusso solo della giurisdizione.
Ma, per quanto già detto in relazione al terzo motivo, non può dirsi violato il diritto di agire e difendersi in giudizio, non potendo ritenersi che il valore della causa sia mutato per il fatto che la domanda, anziché essere rigettata nel merito, sia stata respinta per ragioni di giurisdizione.
-All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo il Comune di Potenza rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione