Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25611 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25611 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
Oggetto: Servitù coattiva per accesso a mansarda Valore causa ai fini delle spese.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16958/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Gravina in Puglia, INDIRIZZO;
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 91, emessa dalla Corte d’Appello di Bari in data 17/1/2023, pubblicata il 24/1/2023 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. Con atto di compravendita del 29/06/1987, NOME COGNOME vendette a NOME COGNOME una quota dell’edificio situato in Altamura, tra INDIRIZZO, e INDIRIZZO, nn. 108-112, già appartenuto al loro genitore, NOME COGNOME, costituita da un piano terra, un primo piano e un piccolo atrio confinante con la proprietà di NOME COGNOME, che le era spettata in sede di divisione contrattuale intervenuta il 23/09/1982 con le germane NOME e NOME.
Con atto di citazione del 2000, il predetto COGNOME propose azione negatoria ex art. 949 cod. civ. onde ottenere l’accertamento dell’inesistenza di qualsivoglia servitù di passaggio sul proprio atrio a piano terra in favore delle due soffitte soprastanti, ottenendo, nel 2009, sentenza di accoglimento, con la quale il Tribunale di BariSezione distaccata di Altamura, respinse le deduzioni difensive di NOME COGNOME che aveva affermato l’esistenza di una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia dalla sorella NOME per il raggiungimento delle due soffitte soprastanti.
Nel confermare tale sentenza, ormai definitiva in seguito all’ordinanza n. 6317/2017 di questa Corte, i giudici d’appello affermarono, incidentalmente, in motivazione che la soccombente avrebbe potuto chiedere la costituzione coattiva di una servitù, la cui domanda fu effettivamente proposta dalla medesima NOME COGNOME con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., che esitò, nella resistenza di NOME COGNOME, nell’ordinanza del 29/09/2020, con la quale il Tribunale dispose la costituzione, a favore della soffitta n. 2, di proprietà della ricorrente, una servitù di passaggio nell’atrio di proprietà del resistente, esercitabile mediante il posizionamento di una scala a pioli amovibile, lungo la facciata interna dello stabile, onde raggiungere il varco di accesso che si affacciava su di esso, e respinse ogni altra domanda.
Il giudizio di gravame, incardinato da NOME COGNOME al fine di ottenere la costituzione della servitù di passaggio per entrambe le soffitte e la revisione della pronuncia di compensazione delle spese, si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME, che propose, a sua volta, appello incidentale perché venisse accertata l’assenza di un’interclusione assoluta, con la sentenza n. 91/2023, pubblicata il 24/1/2023, con la quale la Corte d’Appello di Bari accolse parzialmente l’appello principale limitatamente alle spese del giudizio, rigettandolo nel resto, e respinse anche l’appello incidentale.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. COGNOME NOME si è difeso con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, la ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso ed è stata perciò fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per motivazione apparente e per mancanza di elementi essenziali alla motivazione così come previsto dal codice di rito ordinario, con violazione degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello, a fronte di un motivo che, con riferimento alla soluzione tecnica suggerita dal c.t.u. per la soffitta n. 2, data dall’apertura di una botola sul soffitto
dell’immobile di proprietà della ricorrente e dal collegamento ad essa con una scala retrattile di circa 5 mt., ne paventava, per un verso, l’impraticabilità e non agevolezza e, per altro verso, la pericolosità per la statica dell’edificio, aveva affidato la motivazione a considerazioni assertive, quanto alla prima questione, e omesso del tutto di affrontare il secondo rilievo.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 15 e 92 cod. proc. civ., oltreché delle disposizioni di cui all’art. 5 del DM n. 55/2014, unitamente alle tabelle dei parametri forensi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito liquidato le spese del giudizio, facendo applicazione dello scaglione fino a € 1.100,00 sulla base del valore concordemente dichiarato dalle parti nei rispettivi atti depositati nella fase introduttiva della causa, senza però considerare che, alla stregua dell’art. 15 cod. proc. civ., il valore della controversia andava determinato non già tenendo conto di quanto dichiarato dai difensori delle parti nei propri scritti difensivi, ma della rendita catastale se evincibile dagli atti, in mancanza della quale la causa avrebbe dovuto essere considerata di valore indeterminabile, sicché, mancando nella specie qualunque specificazione in merito alla rendita catastale, andava applicata quest’ultima disposizione, con conseguente liquidazione della somma di € 14.103,00 per il giudizio davanti al Tribunale di Bari, di € 9.991,00 per quello davanti alla Corte di Bari e di € 3.024,00 per il procedimento di mediazione.
3. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia su costituzione servitù coattiva (doppia conforme), per le seguenti ragioni: 1° motivo: inammissibile. Il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del
«minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022). 2° motivo: inammissibile. La doglianza è aspecifica, perché, a fronte della concorde affermazione delle parti circa il valore della causa dichiarato in limine, non fornisce alcun elemento per inserire il giudizio nel diverso scaglione preteso ».
4. La prima censura è inammissibile.
Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (affermato recentemente anche da Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767, in motivazione), quello secondo cui la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
Nella specie, i giudici di merito hanno ampiamente motivato e reso percepibile il fondamento del ragionamento seguito, allorché hanno sostenuto il carattere relativo dell’interclusione della soffitta n. 1, potendo la stessa essere resa accessibile attraverso l’adozione delle soluzioni suggerite dal c.t.u. – che, peraltro, aveva già considerato la vetustà del fabbricato nell’esaminare, viceversa, l’interclusione della adiacente soffitta n. 2, come riportato in sentenza (pg. 7) -, reputate agevoli e dai costi contenuti.
E’ poiché costituisce accertamento di fatto, demandato al giudice del merito e sottratto al sindacato della Corte di cassazione, se congruamente ed esattamente motivato, stabilire l’esistenza della interclusione di un fondo per effetto della mancanza di un qualunque accesso sulla via pubblica e dell’impossibilità di procurarselo senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione assoluta), ovvero a causa del difetto di un accesso adatto o sufficiente alle necessità di utilizzazione del fondo (interclusione relativa) (in questi termini, Cass., Sez. 2, 3/1/2020, n. 14; Cass., Sez. 2, 29/10/1974, n. 3283), appare evidente l’inammissibilità della censura, siccome sostanzialmente volta ad ottenere una rivalutazione della ricostruzione fattuale della vicenda.
5. La seconda censura è parimenti inammissibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la servitù, come qualitas fundi vantaggiosa per il fondo dominante e svantaggiosa per quello servente, investe ogni singola parte dell’uno e dell’altro, sicché, anche quando essa si eserciti su una determinata porzione dell’immobile, questo deve considerarsi gravato nella sua interezza, sicché, al fine di determinare la competenza ratione valoris ex art. 15 cod. proc. civ., in cause in tema di servitù, occorre aver riguardo al valore dell’intero fondo servente e non a quello del peso destinato ad incidere sul bene per effetto della servitù e neppure a quello della singola porzione di esso direttamente interessata dal
peso, a meno che non si tratti di una porzione autonomamente identificabile e distinta rispetto alle parti rimanenti (Cass., Sez. 2, 29/12/2016, n. 27356; Cass., Sez. 2, 27/1/1995, n. 988).
E’ dunque all’intero fondo servente, ancorché catastalmente frazionato in varie parti alcune delle quali senza reddito dominicale, che occorre far riferimento, costituendo esso un’unitaria unità immobiliare, e moltiplicare il reddito dominicale delle particelle per le quali esso risulta indicato per i coefficienti di cui all’art. 15 cod. proc civ. (Cass., Sez. 2, 10/2/1995, n. 1488), operando la presunzione del valore indeterminabile solo quando l’immobile oggetto della domanda non sia accatastato e agli atti non risultino elementi per la stima.
Vero è però che nessuna norma imperativa preclude alle parti di accordarsi in merito al valore della causa ai fini della determinazione del compenso, siccome rientrante nella loro disponibilità al pari della domanda, tranne che per il contributo unificato, il quale, avendo natura di entrata tributaria (in tal senso Cass., Sez. U, 5/5/2011, n. 9840; Cass., Sez. U, 17/4/2012, n. 5994), risponde ad esigenze di pubblico interesse.
Ciò comporta che i giudici di merito abbiano ben operato, allorché hanno liquidato le spese facendo riferimento al valore concordemente dichiarato dalle parti nei rispettivi atti depositati nella fase introduttiva della causa, con conseguente inammissibilità della censura.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc.
civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3.100,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/9/2024.