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Valore causa servitù: come si calcolano le spese

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una proprietaria contro la costituzione di una servitù coattiva per l’accesso a una soffitta. La Corte ha stabilito che la motivazione della Corte d’Appello sulla soluzione tecnica (una botola con scala retrattile) non era apparente. Inoltre, ha chiarito che, ai fini della liquidazione delle spese legali, è valido l’accordo tra le parti sul valore causa servitù, anche se inferiore a quello che risulterebbe dai criteri legali come la rendita catastale. Il ricorso è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Valore causa servitù: l’accordo tra le parti prevale per le spese

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un importante aspetto procedurale riguardante il valore causa servitù e la conseguente liquidazione delle spese legali. La Suprema Corte ha stabilito che l’accordo tra le parti sul valore della controversia è vincolante per la determinazione dei compensi, anche se i criteri di legge porterebbero a un importo diverso. Analizziamo questa decisione per comprenderne i dettagli e le implicazioni pratiche.

I fatti del caso

La vicenda ha origine da una lunga disputa tra i proprietari di due porzioni di un edificio. Inizialmente, il proprietario del piano terra aveva ottenuto una sentenza che accertava l’inesistenza di una servitù di passaggio attraverso il suo atrio a favore delle soffitte del vicino.
Successivamente, la proprietaria delle soffitte, rimaste senza accesso, avviava un nuovo giudizio per ottenere la costituzione di una servitù coattiva. Il Tribunale accoglieva la domanda, disponendo la creazione di un passaggio per una delle soffitte tramite l’installazione di una scala a pioli amovibile nell’atrio del vicino. La Corte d’Appello confermava la decisione, respingendo sia l’appello principale della proprietaria delle soffitte (che chiedeva la servitù per entrambe le unità e una diversa compensazione delle spese), sia l’appello incidentale del vicino.

I motivi del ricorso in Cassazione

La proprietaria delle soffitte ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su due motivi principali:
1. Nullità della sentenza per motivazione apparente: Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello non aveva adeguatamente motivato la scelta della soluzione tecnica (apertura di una botola e uso di una scala retrattile), ignorando le obiezioni sulla sua impraticabilità e pericolosità per la stabilità dell’edificio.
2. Violazione delle norme sul valore causa servitù: La ricorrente contestava la liquidazione delle spese legali. I giudici di merito avevano applicato lo scaglione tariffario più basso (fino a 1.100,00 €) basandosi sul valore che le parti stesse avevano dichiarato negli atti introduttivi. Secondo la difesa, invece, in assenza di una rendita catastale specifica e certa, la causa doveva considerarsi di valore indeterminabile, con una conseguente liquidazione delle spese ben più elevata.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi.

Sul primo punto, relativo alla motivazione, i giudici hanno ritenuto che il ragionamento della Corte d’Appello fosse tutt’altro che apparente. I giudici di merito avevano chiaramente spiegato le ragioni della loro decisione, basandosi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (c.t.u.) e considerando le soluzioni proposte come praticabili e dai costi contenuti. La censura della ricorrente è stata quindi interpretata come un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

Sul secondo e più rilevante motivo, la Corte ha fornito un chiarimento fondamentale sul valore causa servitù. Pur riconoscendo che, in linea di principio, il valore di una causa relativa a una servitù si determina in base al valore dell’intero fondo servente, ha specificato che nessuna norma imperativa vieta alle parti di accordarsi su un valore specifico ai fini della determinazione dei compensi legali. Tale accordo rientra nella loro piena disponibilità. Nel caso di specie, le parti avevano concordemente dichiarato un valore basso all’inizio del giudizio. Di conseguenza, i giudici di merito hanno correttamente liquidato le spese facendo riferimento a tale valore concordato. La successiva contestazione della ricorrente è stata quindi ritenuta inammissibile.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce due principi importanti. In primo luogo, il controllo di legittimità sulla motivazione di una sentenza è limitato alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale”, senza entrare nel merito delle valutazioni fattuali. In secondo luogo, e con maggiori implicazioni pratiche, viene confermata la facoltà delle parti di determinare consensualmente il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese legali. Questa scelta, una volta compiuta, è vincolante e non può essere successivamente messa in discussione per ottenere compensi maggiori. La decisione sottolinea quindi l’importanza della diligenza e della strategia processuale fin dalle primissime fasi del giudizio.

Come si determina il valore della causa per una servitù ai fini delle spese legali?
Generalmente, il valore si determina con riferimento all’intero fondo servente, moltiplicando il reddito dominicale per specifici coefficienti. Tuttavia, la Corte chiarisce che le parti possono validamente accordarsi su un valore diverso e questo accordo sarà utilizzato per la liquidazione delle spese.

Le parti possono accordarsi su un valore della causa diverso da quello legale per la liquidazione delle spese?
Sì. Secondo la Corte, non esiste alcuna norma imperativa che lo vieti. L’accordo sul valore della causa rientra nella disponibilità delle parti e i giudici devono attenersi a esso per liquidare le spese, a meno che non si tratti di questioni di interesse pubblico come il contributo unificato.

Quando la motivazione di una sentenza è considerata “apparente” e quindi nulla?
Una motivazione è apparente, e la sentenza nulla, quando è totalmente mancante, si fonda su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulta così perplessa e incomprensibile da non far capire il ragionamento logico seguito dal giudice per arrivare alla decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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