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Valore Causa Legge Pinto: il credito ammesso conta

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4620/2024, ha stabilito un principio fondamentale per il calcolo dell’indennizzo da irragionevole durata del processo (Legge Pinto) nei casi di procedure fallimentari. La Corte ha chiarito che il corretto parametro per determinare il valore causa Legge Pinto non è la somma effettivamente riscossa dal creditore alla fine del riparto, ma l’intero importo del credito ammesso al passivo fallimentare. Questa decisione, che ha accolto il ricorso di due creditrici, ribalta la precedente interpretazione che legava l’indennizzo al risultato concreto dell’esecuzione, ritenuto irrazionale e privo di base normativa.

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Valore Causa Legge Pinto: Rileva il Credito Ammesso, non quello Riscosso

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 4620 del 21 febbraio 2024, è intervenuta per fare chiarezza su un punto cruciale riguardante l’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo. La questione centrale verteva su come determinare il valore causa Legge Pinto nelle procedure fallimentari. La Suprema Corte ha stabilito che, ai fini del calcolo dell’indennizzo, si deve considerare l’importo del credito per cui il creditore è stato ammesso al passivo, e non la minor somma che ha effettivamente incassato al termine della procedura. Approfondiamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Due creditrici avevano chiesto alla Corte d’Appello un indennizzo per l’eccessiva durata (oltre 17 anni) di una procedura fallimentare in cui erano coinvolte. Il Giudice, in prima battuta, aveva riconosciuto il loro diritto, ma aveva commisurato l’indennizzo non all’intero credito vantato, bensì alle somme concretamente ricevute in sede di riparto finale, che erano solo una frazione del dovuto a causa dell’incapienza dell’attivo fallimentare.

Le creditrici avevano quindi proposto opposizione, ma la Corte d’Appello in composizione collegiale l’aveva respinta, confermando la precedente decisione. Avverso questo decreto, il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso in Cassazione per questioni relative alle spese legali, mentre le creditrici hanno risposto con un controricorso e un ricorso incidentale, sollevando la questione di diritto sulla corretta interpretazione del valore causa Legge Pinto.

Il Ricorso Incidentale e la Determinazione del Valore Causa

Il cuore della controversia risiedeva nel ricorso incidentale delle creditrici. Esse chiedevano alla Suprema Corte di stabilire se, in una procedura fallimentare, l’indennizzo per la sua eccessiva durata dovesse essere calcolato sulla base del credito accertato e ammesso al passivo o, invece, sulla base della somma effettivamente ricevuta con il piano di riparto.

La Corte d’Appello aveva optato per la seconda soluzione, ritenendo che il valore da considerare fosse quello concretamente realizzato dal creditore. Questa interpretazione, tuttavia, è stata giudicata errata dalla Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso incidentale delle creditrici, affermando un principio di diritto chiaro e in linea con il suo orientamento consolidato. Per individuare la nozione di «valore della causa» ai sensi dell’art. 2-bis, comma 3, della Legge n. 89/2001 (Legge Pinto), si deve fare riferimento, per analogia, ai criteri generali del codice di procedura civile.

Ciò significa che il valore è determinato dall’importo richiesto con la domanda nel processo presupposto. Nel contesto di un fallimento, questo corrisponde alla somma per la quale il creditore ha chiesto e ottenuto l’ammissione al passivo. La Corte ha specificato che non possono essere presi in considerazione né la somma attribuita in sede concorsuale né l’importo effettivamente riscosso al riparto.

Il ragionamento della Corte si basa su due pilastri:
1. Mancanza di Base Normativa: Ancorare il valore della causa all’importo concretamente ricavato dall’esecuzione è una scelta priva di qualsiasi fondamento normativo.
2. Irrazionalità Intrinseca: L’entità della somma riscossa dipende da una moltitudine di variabili (come la consistenza dell’attivo fallimentare, la presenza di altri creditori, etc.) che sono totalmente indipendenti sia dalla natura del credito sia dalla situazione soggettiva del creditore che ha subito il ritardo. Legare l’indennizzo a tali fattori sarebbe intrinsecamente irrazionale.

Accogliendo il ricorso incidentale, la Corte ha dichiarato assorbito il ricorso principale del Ministero (relativo alle spese) e ha cassato il decreto impugnato, rinviando la causa alla Corte d’Appello per una nuova decisione basata sul principio di diritto enunciato.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di giustizia sostanziale: il danno subito da un creditore a causa della lentezza della giustizia deve essere commisurato al valore della sua pretesa originaria, così come accertata in giudizio, e non al risultato, spesso deludente, dell’esecuzione forzata. La decisione riafferma che il valore causa Legge Pinto deve essere ancorato a un dato certo e giuridicamente rilevante – il credito ammesso al passivo – proteggendo così i creditori dagli effetti aleatori e imprevedibili legati all’esito finale di una procedura concorsuale.

Come si calcola l’indennizzo per l’irragionevole durata di una procedura fallimentare secondo la Legge Pinto?
L’indennizzo si calcola parametrandolo al valore della causa, che corrisponde all’importo del credito per cui il creditore è stato ammesso al passivo fallimentare, e non alla somma inferiore che potrebbe aver effettivamente riscosso.

Perché la somma concretamente riscossa dal creditore non viene utilizzata come base di calcolo?
Perché tale importo è considerato un parametro irrazionale e privo di base normativa. Esso dipende da variabili molteplici e imprevedibili (come la capienza dell’attivo del fallimento) che non hanno alcun legame con il danno subito dal creditore a causa del ritardo processuale.

Cosa succede al ricorso principale se quello incidentale viene accolto?
Nel caso specifico, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso incidentale che affrontava la questione di merito principale, ha dichiarato “assorbito” il ricorso principale (che verteva solo sulle spese legali), in quanto la decisione sul merito rende superfluo l’esame dell’altra impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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