Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7933 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7933 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 19923/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale alle liti, con firma autenticata dal AVV_NOTAIO il 3 luglio 2020, allegata al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), entrambe con sede in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, in persona dei rispettivi liquidatori e legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domiciliano in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO.
-controricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO.
– intimata – avverso la sentenza, n. cron. 2692/2019, della CORTE DI APPELLO DI ROMA pubblicata in data 17/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 08/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato, ex art. 140 cod. proc. civ., nell’ aprile 2008, RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE in liquidazione) citò NOME COGNOME, suo co-liquidatore dal 23 luglio 1996 al 28 luglio 2003, innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE onde ottenerne la condanna alla restituzione, in proprio favore, di € 2.825.767,94, oltre rivalutazione ed interessi dal 26 novembre 2001 fino all’effettivo soddisfo. Espose che il COGNOME si era appropriato, senza averne titolo, della somma suddetta, versata dal Servizio RAGIONE_SOCIALE Tributi di RAGIONE_SOCIALE, a titolo di rimborso Iva per l ‘anno 1991, sul conto corrente n. 2594 intestato alla ‘ RAGIONE_SOCIALE in liq. ‘ presso l’agenzia 4 di RAGIONE_SOCIALE della Banca San Paolo Imi.
1.1. Disposto il mutamento del rito da ordinario a societario, con cancellazione della causa dal ruolo, l’attrice riassunse il giudizio notificando al COGNOME, il 12 gennaio 2009, la memoria ex art. 6 del d.lgs. n. 5/2003 e poi, il 22 aprile 2009, l’istanza di fissazione di udienza.
1.1.1. Il convenuto si costituì con memoria dell’11 maggio 2009, con cui eccepì, tra l’altro: i ) la nullità della notifica della citazione introduttiva, perché non avvenuta presso la sua residenza effettiva di Minsk, in Bielorussia; ii ) la prescrizione del diritto fatto valere dalla controparte; iii ) l’intervenuta rinuncia all’azione da parte di quest’ultima per avere previamente deliberato la rinuncia ad esperire l’azione di responsabilità nei suoi confronti. Contestò, inoltre, il merito dell’avversa prete sa, chiedendone il rigetto, altresì svolgendo
domanda di manleva e di garanzia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che chiamò in causa.
1.1.2. Con sentenza del 15 febbraio 2011, n. 3958, il menzionato tribunale, in composizione collegiale, condannò il COGNOME ‘ a risarcire, in favore della RAGIONE_SOCIALE, il danno liquidato in € 2.825.767,94, oltre interessi e rivalutazione come in motivazione ‘ e dichiarò ‘ inammissibile la chiamata in causa delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ‘.
Pronunciando sul gravame proposto dal COGNOME contro quella decisione, la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE lo respinse con sentenza del 17 aprile 2019, n. 2692, resa, ex art. 281sexies cod. proc. civ., nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte: i ) ritenne che la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio, ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., effettuata presso la residenza del COGNOME in INDIRIZZO, a RAGIONE_SOCIALE, fosse valida in quanto quest’ultimo, alla data corrispondente, era ancora lì effettivamente residente. Osservò, sul punto, che, « mentre la notifica ivi effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. risulta svolta con il rispetto di tutte le formalità previste dalla legge per il notificante in data 8.4.08, stante le attesta zioni in tal senso dell’attività compiuta dall’Ufficiale Giudiziario (deposito presso la casa comunale, immissione avviso in cassetta -che presuppone comunque il reperimento delle generalità del notificando a quell’indirizzo -spedizione della raccomandata), perfezionata per il destinatario decorsi 10 giorni dalla spedizione ex sentenza Corte Costituzionale n. 3/14.1.10, certamente non è andata a buon fine quella tentata il 16/17.4.08 presso l’indirizzo di Minsk, luogo di residenza formalmente risultante dai certificati anagrafici anteriori e successivi alla notifica, stante la dichiarazione consolare sulla residenza effettiva del COGNOME a quell’indirizzo per un periodo limitato, concluso il giorno 7.4.07. D’altra parte, ha valore confessorio per quanto limitato a quella data -la dichiarazione contenente l’indicazione della residenz a in INDIRIZZO,
RAGIONE_SOCIALE, indirizzata dal COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE in data 11.12.07, ben dopo il periodo in cui secondo la documentazione anagrafica egli avrebbe trasferito la residenza in Bielorussia, a dimostrazione del valore meramente presuntivo di tale certificazione in ordine al trasferimento effettivo di affari e interessi personali in tale Stato e di ciò è prova la circostanza che il figlio NOME è nato il DATA_NASCITA a RAGIONE_SOCIALE, non a Minsk, dato tra l’altro coerente con l’attestazione conso lare che limita il periodo di residenza effettiva del COGNOME in tale località fino al 7.4.07. Quanto, poi, al valore indiziario ‘basso’ che rivestirebbe la dichiarazione 11.12.07, irrilevante per tale profilo è il documento prodotto sub 12 con l’appello, consistente nella nota del AVV_NOTAIO COGNOME, commercialista del COGNOME, il quale dichiara di avere erroneamente utilizzato per l’invio alla RAGIONE_SOCIALE un modulo a suo tempo firmato in bianco dal cliente, recante l’indirizzo della residenza abbandonata, in primo luogo perché circostanza dedotta per la prima volta con l’appello ed altresì perché il contenuto di tale dichiarazione non riveste alcun valore probatorio perché non altrimenti confermato, così come la nota consolare 27.11.08 che riguarda la dichiarazione del COGNOME ricevuta nel novembre 2008 e che attesta la sua presenza a tale data, ma non elide quella precedente che ne limita la residenza nello Stato bielorusso ai primi quattro mesi del 2007.Anche i visti sul passaporto attestano certamente gli spostamenti da e per la Bielorussia, ma sempre per periodi limitati, ad es., rispetto al periodo che interessa, dall’8.1.07 al 7.4.07, dal 26.12.07 al 2 1.08, il 18.4.08, dal 5.9.08 al 4.12.08, tali da non confermare, in modo inequivoco, che, alla data della prima notifica in tale Stato, ivi fosse stata trasferita la residenza effettiva del COGNOME, tenuto altresì conto delle poche ore di volo tra RAGIONE_SOCIALE e Minsk, sì da consentire la permanenza di periodi limitati in uno o nell’altro Stato , ma non vinta la presunzione della regolarità della notifica della citazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c. per il profilo in questione e, dunque, la tardività della costituzione del convenuto »; ii ) disattese l’ivi ribadita eccezione di prescrizione perché tardiva, in quanto « avanzata con la costituzione tardiva e quindi preclusa ai
sensi dell’art. 167 cod. proc. civ., analogamente l’eccezione sulla rinuncia della società a far valere l’azione di responsabilità, trattandosi eccezioni in senso stretto, non rilevabili d’ufficio »; iii ) considerò parimenti inammissibile la richiesta di manleva verso le società dall’appellante « chiamate tardivamente in causa in primo grado », osservandosi che, « per tale profilo, non è stata sottoposta a specifico motivo di impugnazione la sentenza che ha rilevato, per tale ragione, inammissibile la chiamata in causa »; iv ) affermò, infine, che « il COGNOME non contesta l’appropriazione del denaro sociale, ma allega di averlo fatto con il consenso del consulente della società, AVV_NOTAIO, per ripianare debiti sociali. Trattasi di allegazione nuova, che introduce in causa una uova eccezione sulla legittimità del suo operato, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., oltre che non provata, ricadendo parimenti le correlate prove testimoniali, di cui in questa sede è chiesta l’ammissione, nel divieto dei cd. ‘nova’ in appello in quanto formulate per la prima volta con l’atto di impugnazione ».
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, affidandosi a cinque motivi. Hanno resistito, con unico controricorso, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), mentre non ha svolto difese in questa sede RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è rubricato « Nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360, comma primo, numero 4, c.p.c., per nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado perfezionata, ai sensi dell’art. 140 c.p.c. , in Italia anziché in via diplomatica in Bielorussia ». Richiamato il principio sancito da Cass., SU, n. 8078 del 2012 -secondo cui ‘ quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata , il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice del merito ha vagliato
la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda ‘ -si prospetta la nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento (sia di primo che di secondo grado) in quanto sviluppatosi, in palese violazione del diritto di difesa del convenuto/appellante e del rispetto del principio del contraddittorio, senza che il COGNOME potesse esercitare appieno i propri diritti difensivi stante la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Si « sollecita la Suprema Corte a esaminare ‘direttamente e pienamente’, come indicato dalla sentenza sopra riferita, il fatto processuale in cui si è concretizzato il grave pregiudizio processuale (e di conseguenza anche sostanziale) subito dall’esponente ».
1.1. Questa doglianza si rivela inammissibile per come concretamente argomentata.
1.2. Invero, costituisce orientamento assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, allorquando venga dedotto un error in procedendo , questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del ‘ fatto processuale ‘, provvedendo al riscontro del vizio lamentato attraverso l’esame diretto degli atti di causa, indipendentemente dalla correttezza giuridica e dalla coerenza e logicità della motivazione adottata dal giudice di merito ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 34851 del 2023; Cass. n. 24258 del 2020; Cass. n. 20924 del 2019; Cass., SU, n. 20181 del 2019; Cass. n. 20716 del 2018): la stessa, cioè, deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali di cui si discute, sicché, nei casi in questione, il suo scrutinio verte sul modo in cui il processo si è svolto, ossia sui ” fatti processuali ” che possono aver provocato quel vizio.
1.3. La tesi che è a sostegno dell’odierna censura è essenzialmente correlata alla divergenza tra la residenza anagrafica (asseritamente in Minsk, Bielorussia), invocata come effettiva dal COGNOME, ed il luogo (INDIRIZZO INDIRIZZO) presso cui gli è stata effettuata, ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., la notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado,
traendosi da tale divergenza la conclusione necessitata della prevalenza della prima, idonea, quindi, ad inficiare radicalmente la validità della notifica compiuta presso il diverso indirizzo.
1.3.1. Orbene, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale ( cfr . anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8463 del 2023; Cass. n. 19387 del 2015; Cass. n. 11550 del 2013). Pertanto, onde dimostrare la nullità della notifica della citazione, in quanto eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non costituisce prova idonea la sola produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notifica ( cfr . Cass. n. 19132 del 2004), essendosi anzi affermato ( cfr . Cass. n. 10107 del 2014) che, nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 cod. proc. civ., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova ( cfr . Cass. n. 15200/2005, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 8463 del 2023).
1.3.2. È stato altresì specificato ( cfr . Cass. n. 26985 del 2009) che la prova contraria, idonea a vincere la presunzione scaturente dalle risultanze anagrafiche, può essere desunta da qualsiasi fonte di convincimento e, quindi, anche da presunzioni ( cfr . Cass. n. 17040 del 2003; Cass. n. 26985 del 2009; Cass. n. 17021 del 2015).
1.4. Una volta richiamati tali principi, ed avuto riguardo agli accertamenti, di natura chiaramente fattuale, posti in essere dalla corte distrettuale (di cui si è già ampiamente dato atto nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, da intendersi qui interamente riprodotto per intuibili ragioni di sintesi) quanto alla effettiva
residenza del COGNOME alla data dell’avvenuta notificazione, nei suoi confronti, ex art. 140 cod. proc. civ., della citazione introduttiva del primo grado dell’odierno processo, è possibile giungere alla conclusione che, a dispetto delle risultanze anagrafiche, sia innegabile che pure l’indirizzo presso cui è stata effettuata la notificazione suddetta avesse un chiaro legame con il convenuto/appellante, oggi ricorrente, da ciò derivandone l’avvenuta corretta esecuzione ivi della notificazione medesima, poi perfezionatasi ex art. 140 cod. proc. civ..
1.4.1. Il COGNOME insiste, oggi, nell’invocare una diversa valutazione di quelle stesse circostanze esaminate dalla corte capitolina, così intendendo sollecitare questa Corte ad un riesame dell’intero percorso accertativo in fatto compiuto dalla prima al fine di ottenerne un’interpretazione opposta a quella di quest’ultima. Così argomentando, tuttavia, egli dimentica che lo scrutinio dovuto dal giudice di legittimità in relazione all’ error in procedendo prospettatogli non consente il riesame dei presupposti esterni (nel caso, se il destinatario della notifica avesse, o non, la sua residenza nel luogo in cui è stato raggiunto dalla notificazione) del fatto processuale (notificazione eseguita ex art. 140 cod. proc. civ.) sottoposto al suo esame, il cui accertamento compete, invece, al giudice del merito e che, nella specie, risulta essere stato compiuto attraverso una valutazione ponderata e basata su elementi documentali e ricostruttivi di cui è stato dato conto, affatto esaustivamente, nella motivazione della decisione oggi impugnata, dovendosi qui solo ricordare, da un lato, che, « In tema di notifica ex art. 140 c.p.c., la dichiarazione con la quale l’ufficiale giudiziario o quello postale dichiari di non avere trovato nessuno all’indirizzo del destinatario non costituisce attestazione dotata di pubblica fede, ma mera presunzione, superabile con qualsiasi mezzo di prova e senza necessità di impugnazione con querela di falso, che in quel luogo si trovi la residenza effettiva del notificando o la sua dimora o il domicilio, sicché compete al giudice del merito, in caso di contestazione, compiere tale accertamento in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti, ai fini della pronuncia sulla validità
ed efficacia della notificazione » ( cfr . Cass. bn. 25885 del 2022); dall’altro, che il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 15237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582 e 5043 del 2024).
Il secondo motivo di ricorso, dichiaratamente formulato in via gradata rispetto al primo, denuncia la « Nullità della sentenza o del procedimento , ex art. 360, comma primo, numero 4, c.p.c., per nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado perfezionata ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. in Italia anziché ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ. ». Si assume che, « anche nella denegata ipotesi in cui la Corte d’Appello (e ancor prima il Tribunale) avesse ritenuto c he la residenza effettiva dell’COGNOME non coincidesse con quella anagrafica in Bielorussia, avrebbe comunque dovuto ritenere nulla la notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. anziché ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., attes o che non vi erano elementi per poter ritenere che la residenza effettiva dell’ingCOGNOME fosse in Italia, a RAGIONE_SOCIALE ».
2.1. Anche questa doglianza risulta inammissibile.
2.2. Invero, pure in questo caso, il riesame che viene chiesto a questa Corte, lungi dal riguardare un fatto processuale, interno, cioè, al processo, investe, in realtà, un fatto (l’effettiva residenza del COGNOME allorquando gli fu notificata la citazione introduttiva del primo grado di questo giudizio),
esterno e preesistente ad esso, già definitivamente accertato dal giudice di merito, come tale insuscettibile di nuovo esame in sede di legittimità.
2.2.1. Resta solo da rimarcare che la constatazione della mancata reperibilità del destinatario della notifica, effettuata a seguito del materiale accesso dell’ufficiale giudiziario nel luogo di residenza, era sufficiente a legittimare il ricorso alle modalità di notifica previste dall’art. 140 cod. proc. civ., senza che vi fosse necessità di compiere ulteriori ricerche, né di procedere, dunque, ex art. 143 cod. proc. civ.. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito, da tempo, che il mancato rinvenimento di soggetto idoneo a ricevere l’atto, proprio presso il comune di residenza del destinatario e proprio presso la casa di abitazione, legittima la notificazione ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., senza necessità di ricerca del destinatario in uno degli altri luoghi indicati alternativamente dall’art. 139 o di ulteriori indagini; ciò in quanto la certezza che il luogo di notificazione sia quello in cui vive il destinatario della notifica – e che pertanto l’assenza sua e di altri soggetti idonei sia solo momentanea, ricorrendo un’ipotesi di cd. irreperibilità temporanea – lascia supporre che questi, o persona in grado di informarlo, verrà a conoscenza dell’avvenuta notificazione dall’affissione dell’avviso di deposito sulla porta e dalla spedizione della raccomandata ( cfr . Cas. n. 6804 del 2021; Cass. n. 33464 del 2018; Cass. n. 2919 del 2007).
Il terzo motivo di ricorso lamenta la « Violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma primo, numero 5, c.p.c., degli artt. 101, 166 e 167 c.p.c., dell’art. 24 e 111 della Costituzione, in relazione al rigetto (per tardività) delle eccezioni di prescrizione, di intervenuta rinuncia dell’azione da parte dell’attrice e della ch iamata in causa da parte del convenuto dei soggetti terzi ».
3.1. Esso si rivela insuscettibile di accoglimento -anche volendosi prescindere da ogni altra considerazione circa la riconducibilità del vizio concretamente prospettato alla fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., peraltro, nella specie, inammissibile, giusta l’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui
applicabile ratione temporis , il quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), né avendo il COGNOME adempiuto all’onere di indicare e dimostrare la diversità delle ragioni di fatto poste a base della decisione, rispettivamente, di primo e secondo grado ( cfr . Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014) -per effetto del mancato accoglimento dei primi due motivi, da cui consegue la conferma della tardività della costituzione in primo grado del COGNOME con le relative decadenze maturatesi a suo carico giusta il combinato disposto degli artt. 166 e 167 cod. proc. civ..
4. Il quarto motivo di ricorso prospetta la « Violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma primo, numero 5, c.p.c., degli artt. 100, 166 e 167 cod. proc. civ. in relazione al mancato accertamento del difetto di titolarità dell’attrice a far valere il diritto controverso, avendo la stessa attrice rinunciato ad esperire l’azione sociale di responsabilità con propria delibera assembleare ». Si « censura, in ogni caso, il rigetto dell” eccezione sulla rinuncia della società a far valere l’azione di responsabilità’ (basato sulla presunta tardività dell’eccezione), atteso che l’eccezione in parola, vertendo sulla carenza di titolarità dell’attrice a far valere il diritto azionato, poteva essere comunque proposta in ogni stato e grado del procedimento, oltre ad essere rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice » alla stregua di quanto sancito da Cass., SU, n. 2951 del 2016.
4.1. Questo motivo (in disparte ogni altra considerazione, pure in questo caso, circa la riconducibilità del vizio concretamente prospettato alla fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., peraltro, inammissibile, come si è già detto per il motivo precedente, giusta l’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis) si rivela inammissibile per la ragione, affatto dirimente, che, come condivisibilmente sancito da Cass. n. 6762 del 2021, « il
potere di rilievo “anche ex officio ” dei vizi relativi alla attività processuale, attribuito dalla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività, deve essere esercitato dal giudice di merito, in difetto di espressa autorizzazione normativa alla rilevazione “in ogni stato e grado” ed escluse le ipotesi di “vizi relativi a questioni fondanti (che rendono l’attività svolta del tutto disforme dal modello legale del processo), al più tardi entro il grado di giudizio nel quale il vizio si è manifestato, rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio di ufficio (o su eventuale sollecitazione della parte interessata all’esercizio di tale potere officioso), ove la relativa questione non abbia costituito specifico motivo di impugnazione, ovvero sia stata ritualmente riproposta, atteso che, qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente sul vizio (e nonostante la eventuale eccezione della parte interessata), la relazione di implicazione necessaria tra la soluzione -ancorché implicita -adottata in ordine alla validità/ammissibilità della domanda/eccezione di merito (questione processuale pregiudiziale) e l’esame e la pronuncia espressa sulla domanda/eccezione (questione di merito dipendente), determina la intangibilità della decisione implicita sulla questione processuale ove non specificamente investita con i mezzi impugnatori, in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma 1, c.p.c., non trovando ostacolo nel carattere implicito della decisione la formazione del giudicato processuale interno ».
Il quinto motivo di ricorso, infine, denuncia la « Violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma primo, numero 5, c.p.c., dell’art. 345 c.p.c. in relazione alla statuizione di inammissibilità (per tardività) delle difese di merito svolte dall’attrice e delle istanze di prova testimoniali formulate dal convenuto nel giudizio di secondo grado ». Si contesta alla corte distrettuale
di avere ritenuto, erroneamente, che le difese svolte dal COGNOME, in sede di gravame, sul suo operato fossero inammissibili ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. « oltre che non provat, ricadendo parimenti le correlate prove testimoniali, di cui in questa sede è chiesta l’ammissione, nel divieto dei cd. ‘nova’ in appello in quanto formulate per la prima volta con l’atto di impugnazione ». Si assume che le difese svolte dall’odierno ricorrente in quella sede non costituivano nuove domande, né nuove eccezioni in senso stretto, ma riguardavano fatti già oggetto della presente controversia. Pertanto, tali difese non soggiacevano ai limiti ed alle preclusioni di cui all’art. 345 cod. proc. civ., altresì rimarcandosi, quanto alla richiesta di prova testimoniale, che il comma 3 dell’appena menzionato articolo, nella formulazione applicabile alla presente fattispecie (ossia quella anteriore alla riforma introdotta dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, e della legge 22 giugno 2012, n. 83) avrebbe consentito al Collegio di ammettere nuovi mezzi di prova ove li avesse ritenuti ‘ indispensabili ‘ ai fini della decisione.
5.1. Questa doglianza (prescindendosi, ancora una volta, da ogni altra considerazione, circa la riconducibilità del vizio concretamente prospettato alla fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., peraltro, inammissibile, come si è già detto per i due motivi immediatamente precedenti, giusta l’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis ) si rivela inammissibile perché non si confronta con la reale ratio decdendi , in parte qua , della sentenza impugnata e per carenza di autosufficienza.
5.2. Invero, come si è già riferito al § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, la corte territoriale, nel respingere il motivo di gravame con cui il COGNOME aveva contestato la fondatezza nel merito, come ritenuta dal tribunale, della domanda di controparte, ha affermato che « il COGNOME non contesta l’appropriazione del denaro sociale, ma allega di averlo fatto con il consenso del consulente della società, AVV_NOTAIO, per ripianare debiti sociali. Trattasi di allegazione nuova, che introduce in causa una nuova eccezione sulla legittimità del suo operato, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 345
cod. proc. civ., oltre che non provata, ricadendo parimenti le correlate prove testimoniali, di cui in questa sede è chiesta l’ammissione, nel divieto dei cd. ‘nova’ in appello in quanto formulate per la prima volta con l’atto di impugnazione ».
5.2.1. È chiarissimo, dunque, che la corte suddetta ha ritenuto ‘ nuova eccezione ‘, come tale ‘ inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. , ricadendo parimenti le correlate prove testimoniali, di cui in questa sede è chiesta l’ammissione, nel divieto dei cd. ‘nova’ in appello in quanto formulate per la prima volta con l’atto di impugnazione ‘, esclusivamente l’allegazione dell’appellante concernente la legittimità della condotta contestatagli dall’attrice/appellata perché posta in essere ‘ con il consenso del consulente della società, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, per ripianare debiti sociali ‘, con riguardo alla quale, pertanto, ha negato anche l’ammissione della prova articolata in quella sede.
5.2.2. In relazione a questa specifica circostanza, dunque, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’avvenuta sua allegazione già in primo grado, indicando puntualmente in ricorso in quale atto lo avesse fatto e riproducendone, almeno sinteticamente, il contenuto. Onere, questo, rimasto totalmente inadempiuto, nessuna utilità offrendo, a tal fine, la riproduzione, alla nota contrassegnata dal n. 29 della pag. 28 del ricorso, delle pagine 3436 dell’atto di appello.
6. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso da NOME COGNOME deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, liquidate in complessivi € 30.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, p ari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della Prima sezione civile