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Utilizzo improprio beni aziendali: la condanna

Un dipendente viene condannato per l’utilizzo improprio di beni aziendali. La sentenza accoglie la richiesta di risarcimento del datore di lavoro per prelievi e pagamenti non autorizzati con carta di credito aziendale, anche durante la malattia. Tuttavia, la richiesta di restituzione di contanti viene respinta per mancanza di prova della consegna. Il caso evidenzia l’importanza della prova a carico del creditore, anche in caso di contumacia del debitore.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Utilizzo Improprio dei Beni Aziendali: Condanna al Risarcimento Danni

L’utilizzo improprio dei beni aziendali rappresenta una delle questioni più delicate e complesse nella gestione del rapporto di lavoro. La fiducia tra datore di lavoro e dipendente è fondamentale, ma cosa accade quando questa viene a mancare a causa di condotte illecite? Una recente sentenza del Tribunale del Lavoro ha affrontato un caso emblematico, condannando un lavoratore al risarcimento dei danni per aver utilizzato la carta di credito e la carta carburante aziendali per scopi personali. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I fatti di causa: la contestazione mossa al dipendente

Il caso ha origine dal ricorso presentato da due società, una controllante e una controllata (datrice di lavoro), contro un loro ex dipendente. Assunto come tecnico frigorista, al lavoratore erano stati affidati diversi beni aziendali per svolgere le sue mansioni in trasferta, tra cui un furgone attrezzato, una carta di credito/bancomat, una carta carburante e una somma di 500 euro in contanti.

Durante il rapporto di lavoro, l’azienda ha riscontrato un ammanco complessivo di oltre 7.500 euro, imputabile a una serie di operazioni non autorizzate effettuate dal dipendente:

* Prelievi di contante per 4.100 euro.
* Pagamenti tramite POS per oltre 2.700 euro.
* Rifornimenti di carburante per circa 870 euro, eseguiti peraltro durante i periodi di malattia del lavoratore.

Le giustificazioni fornite dal dipendente sono state ritenute infondate, portando al suo licenziamento e alla successiva azione legale per il recupero delle somme indebitamente sottratte. Un elemento chiave del processo è stata la contumacia del lavoratore, che ha scelto di non costituirsi in giudizio per difendersi.

La decisione del Tribunale sull’utilizzo improprio dei beni aziendali

Il Giudice ha parzialmente accolto il ricorso delle società, delineando con precisione i confini della responsabilità del dipendente e l’onere della prova a carico del datore di lavoro, anche in caso di assenza della controparte.

La ripartizione dell’onere della prova

Il Tribunale ha ribadito un principio fondamentale: la contumacia del convenuto non equivale a un’ammissione di colpa. Il ricorrente (in questo caso, il datore di lavoro) è sempre tenuto a dimostrare i fatti su cui si fonda la sua pretesa. Tuttavia, in materia di responsabilità contrattuale, al creditore è sufficiente provare l’esistenza del contratto e allegare l’inadempimento del debitore. Spetta poi al debitore (il lavoratore) dimostrare di aver adempiuto correttamente o che l’inadempimento non è a lui imputabile. Non essendosi presentato, il lavoratore non ha fornito alcuna prova a sua discolpa.

L’analisi delle voci di danno

Il Giudice ha esaminato singolarmente le richieste di risarcimento:

1. Prelievi e pagamenti POS (€ 6.802,62): La domanda è stata accolta. La società ha prodotto gli estratti conto che provavano inequivocabilmente le operazioni. Molte di queste, effettuate presso sale giochi e centri diagnostici, erano palesemente estranee all’attività lavorativa, dimostrando l’utilizzo improprio dei beni aziendali.
2. Spese carburante: La richiesta è stata accolta solo in parte, per un importo di 431 euro. Il Tribunale ha riconosciuto solo le spese relative alla carta carburante la cui consegna al dipendente era stata provata e che erano state effettuate durante i suoi periodi di assenza per malattia, presumendole quindi come non riconducibili alla prestazione lavorativa.
3. Somma in contanti (€ 500,00): Questa richiesta è stata respinta. Il datore di lavoro non è riuscito a fornire alcuna prova della consegna di tale somma al dipendente. La semplice affermazione non è stata ritenuta sufficiente.

Le motivazioni

La decisione del Tribunale si fonda su un’attenta applicazione dei principi sull’onere della prova. Il giudice ha sottolineato che, anche di fronte a un convenuto contumace, la pretesa del ricorrente deve essere supportata da prove concrete. Laddove le prove documentali (estratti conto, documenti di consegna delle carte) erano presenti, la domanda è stata accolta. Al contrario, per la richiesta relativa ai contanti, la totale assenza di prove ha portato al rigetto.

La sentenza distingue anche correttamente la legittimazione ad agire delle due società: la società proprietaria delle carte di credito è stata riconosciuta come titolare del diritto al risarcimento per il loro uso illecito, mentre la società datrice di lavoro non ha potuto ottenere la compensazione con le retribuzioni finali, non avendo dimostrato di aver subito un danno diretto (poiché la pretesa sui 500 euro in contanti è stata respinta).

Le conclusioni

Questa sentenza offre importanti spunti pratici. Per i datori di lavoro, emerge la necessità cruciale di documentare meticolosamente la consegna di qualsiasi bene o valore aziendale ai dipendenti, incluse somme di denaro contante. La semplice affermazione non basta in giudizio. Per i lavoratori, la decisione è un chiaro monito sulla gravità dell’utilizzo improprio dei beni aziendali, che non solo può portare al licenziamento, ma anche a una condanna al risarcimento dei danni subiti dall’azienda.

Un dipendente che non si presenta in giudizio (contumace) viene automaticamente condannato?
No. La contumacia non equivale a un’ammissione di colpa. La parte che ha avviato la causa (il datore di lavoro) deve comunque fornire le prove a sostegno delle proprie richieste. Tuttavia, il lavoratore assente non potrà difendersi né fornire prove contrarie.

Per quali spese il dipendente è stato condannato al risarcimento?
Il dipendente è stato condannato a risarcire l’azienda per i prelievi di contante e i pagamenti POS effettuati con la carta aziendale per scopi personali, e per i rifornimenti di carburante fatti con la carta aziendale durante i suoi periodi di malattia, per un totale di 7.233,62 euro.

Perché la richiesta di restituzione di 500 euro in contanti è stata respinta dal giudice?
La richiesta è stata respinta perché l’azienda non ha fornito alcuna prova che dimostrasse l’effettiva consegna di quella somma di denaro contante al dipendente. In assenza di prove, la domanda non poteva essere accolta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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