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Utilizzabilità videoriprese: accordi e limiti

La Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento di un croupier, basato su prove da videosorveglianza. La sentenza stabilisce che l’utilizzabilità delle videoriprese è preclusa se un contratto collettivo, recependo le limitazioni di un’autorizzazione amministrativa, ne vieta l’uso per fini disciplinari. Questa clausola, espressione dell’autonomia collettiva, prevale come condizione di maggior favore per il lavoratore, rendendo le prove inutilizzabili e il licenziamento privo di giusta causa.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Utilizzabilità Videoriprese: Quando il Contratto Collettivo Prevale sulla Legge

L’utilizzabilità delle videoriprese come prova per giustificare un licenziamento è uno dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sul rapporto tra la normativa sui controlli a distanza e l’autonomia delle parti sociali. La Corte ha stabilito che, anche se la legge consente l’uso di dati raccolti da impianti di sorveglianza per fini disciplinari, un contratto collettivo può validamente limitare o escludere tale possibilità, creando una condizione di maggior favore per il lavoratore.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dipendente con mansioni di croupier presso una casa da gioco, licenziato con l’accusa di essersi appropriato indebitamente di due banconote da 100 euro durante operazioni di cambio al tavolo da gioco. La contestazione disciplinare e il conseguente licenziamento si basavano esclusivamente sulle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza posizionate sopra il tavolo.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento. Secondo i giudici di merito, le riprese video non potevano essere utilizzate come prova, in quanto sia l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro sia il contratto collettivo aziendale, che ne recepiva le prescrizioni, ne limitavano l’impiego a finalità diverse da quelle disciplinari, come la risoluzione di contestazioni di gioco e la tutela del patrimonio aziendale da illeciti di terzi.

Il Ricorso dell’Azienda e l’Utilizzabilità delle Videoriprese

La società datrice di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo diversi motivi. In sintesi, l’azienda argomentava che:
1. Le telecamere sui tavoli da gioco dovrebbero essere considerate ‘strumenti di lavoro’ e quindi escluse dalla necessità di autorizzazioni preventive.
2. Il controllo effettuato era di tipo ‘difensivo’, finalizzato a tutelare il patrimonio aziendale da condotte illecite, e quindi sempre legittimo.
3. La nuova disciplina introdotta dal Jobs Act (D.Lgs. 151/2015) sancisce la generale utilizzabilità a tutti i fini dei dati raccolti tramite impianti autorizzati, rendendo superate le precedenti limitazioni.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della motivazione risiede nel valore attribuito all’autonomia collettiva.

I giudici hanno chiarito che, sebbene la normativa successiva al Jobs Act abbia ampliato le possibilità di utilizzo dei dati raccolti tramite videosorveglianza, ciò non toglie che le parti sociali possano, attraverso un contratto collettivo, stabilire condizioni più favorevoli per i lavoratori.

Nel caso specifico, l’inutilizzabilità delle informazioni non derivava unicamente dalla vecchia autorizzazione amministrativa, ma dal fatto che le sue limitazioni erano state espressamente recepite e fatte proprie dal contratto collettivo. Questo recepimento ha trasformato una prescrizione amministrativa in una clausola contrattuale vincolante, espressione della libera volontà delle parti (sindacati e azienda).

La Corte ha affermato che tale clausola, limitando l’uso delle riprese a fini disciplinari, costituisce una ‘clausola di maggior favore’ per il lavoratore, pienamente legittima e meritevole di tutela. Di conseguenza, il datore di lavoro, avendo sottoscritto quell’accordo, non poteva poi violarlo utilizzando le registrazioni per fondare un licenziamento.

L’argomentazione dell’azienda sul ‘controllo difensivo’ è stata superata dal rilievo dirimente del contratto collettivo, che aveva già definito e limitato le finalità del sistema di sorveglianza.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’autonomia collettiva gioca un ruolo cruciale nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, anche in ambiti delicati come quello dei controlli a distanza. Un datore di lavoro non può ignorare gli impegni assunti in sede di contrattazione collettiva, anche se la legge, in astratto, gli concederebbe maggiori facoltà.

In conclusione, l’utilizzabilità delle videoriprese per contestazioni disciplinari è preclusa quando un contratto collettivo ne limita espressamente l’impiego. In assenza di prove utilizzabili, il fatto contestato al lavoratore non può considerarsi dimostrato, e il licenziamento basato su di esse è illegittimo.

Le videoriprese sul luogo di lavoro possono essere sempre utilizzate come prova per un licenziamento?
No, non sempre. La loro utilizzabilità può essere limitata o esclusa da accordi specifici, come un contratto collettivo che ne regolamenta le finalità.

Un contratto collettivo può vietare l’uso di filmati per scopi disciplinari, anche se la legge lo consentirebbe?
Sì. La sentenza afferma che le parti sociali, tramite l’autonomia collettiva, possono recepire e stabilire clausole che limitano l’uso delle videoriprese. Tali clausole, se più favorevoli per il lavoratore, sono pienamente valide e vincolanti per il datore di lavoro.

Cosa succede se le uniche prove a carico del lavoratore sono dichiarate inutilizzabili?
Se le prove sono ritenute inutilizzabili, come nel caso delle videoriprese vietate dal contratto collettivo, il fatto illecito contestato al dipendente risulta non provato. Di conseguenza, il licenziamento basato esclusivamente su tali prove viene dichiarato illegittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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