Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24793 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24793 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11857-2020 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima ditta, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
Opposizione ad ordinanza ingiunzione
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/05/2024
CC
ISPETTORATO TERRITORIALE DEL RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE MILANO – LODI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1539/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/09/2019 R.G.N. 996/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Monza n. 38/2018, che, a seguito di riunione dei vari ricorsi proposti dal COGNOME contro, rispettivamente, il verbale unico di accertamento del 12.2.2014 notificatogli dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di Monza, la successiva cartella esattoriale, l’avviso di addebito dell’RAGIONE_SOCIALE in data 24.9.2015 e
l’ordinanza ingiunzione emessa dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, notificata il 31.3.2016, aveva rigettato l’opposizione a detta ordinanza ingiunzione, mentre aveva annullato le cartelle esattoriali per crediti RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e l’avviso di adde bito dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in quanto la relativa iscrizione a ruolo era avvenuta in pendenza di giudizio.
Per quanto qui interessa, la Corte RAGIONE_SOCIALE – dopo aver premesso, tra l’altro, che la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE aveva contestato al COGNOME di aver stipulato con la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE un contratto di appalto che, in realtà, dissimulava una somministrazione illecita di manodopera – riteneva palesemente infondato il primo motivo di appello, a mezzo del quale l’impugnante contestava l’utilizzazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni da lui stesso rese di fronte agli ispettori, sul rilievo che, visto che all’epoca dei fatti la somministrazione illecita era reato, il Tribunale non avrebbe proprio dovuto utilizzare tali dichiarazioni, in quanto rese in assenza di difensore, ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p.
2.1. La stessa Corte giudicava infondato anche il secondo motivo di appello, con il quale ci si doleva anzitutto della mancata valutazione RAGIONE_SOCIALE prove per testi, sul rilievo che, nel caso di contrasto, occorreva dare rilievo alle dichiarazioni rese di fronte al giudice, non a quelle raccolte dagli ispettori; e con il quale mezzo l’appellante sosteneva che ingiustamente il primo giudice aveva trascurato il fatto che tutti i testi avevano dichiarato che il loro referente era tal NOME COGNOME, di COGNOME, e che essi non avevano alcun rapporto con il COGNOME, e che, inoltre, dalle loro dichiarazioni emergeva la sussistenza di una organizzazione propria della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la sua
autonomia, ingiustamente negate dal Tribunale, con conseguente conferma della genuinità dell’appalto.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Mentre l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) non ha svolto difese, hanno resistito gli altri tre intimati con altrettanti controricorsi.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione/falsa applicazione degli artt. 350, comma 7 c.p.p. e 63 c.p.p., in relazione all’art. 360, c. 1 n. 3 c.p.c.’. Lamenta l’erronea valutazione operata dal giudice di appello circa l’utilizzabilità e l’ ammissibilità in giudizio RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da NOME COGNOME in sede ispettiva, alle quali il giudice di prime cure aveva attribuito valore confessorio e quindi di prova legale e dalle quali comunque la Corte d’appello, pur non attribuendo ad esse valore confessorio, faceva derivare il proprio convincimento. Sostiene a riguardo che nell’anno 2014 in cui era stato redatto il verbale unico di accertamento e negli anni dal 2011 al 2012, rispetto ai quali anni era contestata la somministrazione irregolare, la fattispecie della somministrazione fraudolenta costituiva ipotesi di reato ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n. 276/2003, reato contravvenzionale solo successivamente abolito. Secondo il ricorrente, allora, era evidente l’errore giuridico in cui era inco rso il giudicante ab origine , consentendo l’ingresso e la conseguente utilizzabilità
nel processo di dichiarazioni rese dal COGNOME in sede ispettiva senza l’assistenza di un difensore, in violazione dell’art. 63 c.p.p. e dell’art. 350, comma 7, c.p.p.
Con un secondo motivo denuncia ‘violazione/falsa applicazione dell’art. 2 c.p. nella parte in cui contempla l’ammissibilità dell’ultrattività della norma penale per il principio del favor rei , in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.’. Per il ricorrente, nel caso di specie la depenalizzazione in ordine alla fattispecie della somministrazione fraudolenta e la conseguente applicazione al ricorrente del regime sanzionatorio pecuniario contemplato dalla norma amministrativa, aveva comportato un effetto distorto non di poco conto. Infatti, era accaduto che, per effetto dell’intervenuta depenalizzazione, l’applicazione della norma amministrativa in luogo della precedente norma penale non aveva a ben vedere determinato per il COGNOME un trattamento di miglior favore, posto che la fattispecie della somministrazione fraudolenta ante depenalizzazione costituiva ipotesi di reato di natura contravvenzionale e quindi soggetta al termine di prescrizione di 4 anni ex art. 157 c.p. Secondo il ricorrente, quindi, nella specie la reviviscenza della norma incriminatrice in ossequio al principio del favor rei avrebbe comportato per lui l’estinzione del reato per decorso del termine prescrizionale, e comunque, in caso di dibattimento, avrebbe comportato per il servizio ispettivo l’inutilizzabilità di parte fondamentale della prove raccolte. Inoltre, ben poteva essere fatto ricorso alle disposizioni sancenti la retroattività della normativa migliorativa del trattament o del reo, sull’evidente presupposto che tanto il giudice di prime cure che il collegio d’appello abbiano trascurato la circostanza per cui il giudizio di comparazione tra una norma
penale preesistente ed una posteriore debba essere effettuata in concreto, ovvero per circostanze di fatto concrete.
Con il terzo motivo deduce ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.’. Deduce come sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello abbiano ignorato e comunque non valutato le risultanze istruttorie in ordine a quanto hanno dichiarato i testi, in numerosi passaggi, con riferimento ai mezzi impiegati nell’appalto e all’esercizio del potere direttivo/organizzativo dell’appaltatore. In particolare, secondo il ricorrente, il Collegio d’appel lo aveva sostanzialmente negato il più che consolidato indirizzo giurisprudenziale sia di merito che di legittimità che vede in caso di contrasto tra le dichiarazioni rese dai testi avanti all’Ispettore e avanti al Magistrato la prevalenza della dichiarazione testimoniale resa avanti al Giudice; ha negato che il processo rappresenti il luogo di formazione della prova in contraddittorio ed ha negato altresì il ruolo del Magistrato quale garante del processo stesso.
4. Il primo motivo è infondato.
La Corte RAGIONE_SOCIALE, nel pronunciarsi sull’analogo motivo d’appello formulato dall’attuale ricorrente per cassazione, aveva rilevato che l’allora ‘appellante pretende sostanzialmente di applicare al processo civile del RAGIONE_SOCIALE e/o al procedimento di accertamento della DTL le disposizioni del codice di procedura penale’. Nel ritenere tale tesi ‘palesemente inammissibile’, la Corte aveva considerato che: ‘Il procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo non ha nulla a che spartire con il processo penale, le regole applicabili al quale non sono certamente estensibili al di fuori, appunto, del contesto per cui sono state dettate. A maggior ragione tale ‘estensione’ non può
reclamarsi con riguardo al processo del RAGIONE_SOCIALE, che trova la sua unica regolamentazione nel codice civile e nel codice di procedura civile. Non può quindi porsi questione ‘di inutilizzabilità’ RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dal COGNOME in quanto rese in assenza del difensore, non essendo appunto, la presenza del difensore prevista in sede di accertamento amministrativo, e ciò anche se i risultati dell’accertamento possono condurre gli accertatori ad ipotizzare la sussistenza di una o più fattispecie di reato, che compete però poi ad altro Giudice accertare’.
Tali considerazioni della Corte distrettuale sono conformi a principi di diritto costantemente enunciati in questa sede di legittimità.
6.1. In termini generali, questa Corte ha affermato che la l’utilizzabilità RAGIONE_SOCIALE prove (di cui all’art. 191 c.p.p.) è categoria propria del rito penale ed ignota al processo civile (cfr., ad es., Cass., sez. lav., 12.11.2021, n. 33809; id., sez. II, 25.3.2013, n. 7466).
6.2. E’ stato, inoltre, specificato che la disposizione di cui all’art. 220 d.lgs. n. 271 del 1989 (disp. att. c.p.p.), secondo cui ‘quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza RAGIONE_SOCIALE disposizioni del codice’, è prevista unicamente ai fini del processo penale (così Cass. civ., sez. trib., 29.5.2003, n. 8602, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente che aveva lamentato come la Commissione tributaria provinciale avesse ‘del tutto disatteso la disposizione che impone l’assistenza di un difensore prima di assumere sommarie informazioni dalla
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini’ ex art. 350 c.p.p.).
6.3. Con precipuo riferimento, poi, alla pretesa violazione dell’art. 63 c.p.p. (qui dedotta in aggiunta alla violazione dell’art. 350, comma 7, c.p.c. già fatta valere innanzi alla Corte di merito), è consolidato l’indirizzo di legittimità secondo il quale, in base al principio del libero convincimento, il giudice civile può trarre elementi di prova, con adeguato vaglio critico, dalle dichiarazioni auto-indizianti rese nel procedimento penale, atteso che la sanzione d’inutilizzabilità, posta dall’articolo 63 del c.p.p. a tutela dei diritti di difesa in quella sede, non ha effetti fuori di essa (così Cass., sez. II, 12.2.2021, n. 3689, la quale ha evidenziato che l’assenza, nell’ordinamento processuale vigente, di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, consente al giudice civile di porre, alla base del proprio convincimento, anche prove cd. atipiche, quali, per l’appunto, le risultanze derivanti dagli atti RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari; e in termini esatti o analoghi Cass. n. 12577/2014; n. 28060/2017; n. 22984/2010).
Il secondo motivo è inammissibile per varie ragioni.
Secondo un costante indirizzo di questa Corte, infatti, in materia di ricorso per cassazione, i motivi, a pena d’inammissibilità, devono investire questioni comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo ammissibili in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito (così, ex multis , Cass. n. 11468/2022).
8.1. Ebbene, nel ricorso in esame il ricorrente non ha allegato di aver dedotto innanzi ai giudici di merito la questione
attualmente posta con il secondo motivo, cui non si fa cenno nella sentenza impugnata, né, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, ha indicato, come era suo onere, in quale specifico atto del grado precedente lo abbia fatto (cfr. Sez. un. n. 1718/2020).
Mette conto aggiungere che in tale motivo (come già nel primo) il ricorrente fa riferimento all’art. 28 d.lgs. n. 276/2003, quale reato di natura contravvenzionale previsto all’epoca anche degli accertamenti ispettivi.
Tale articolo, sotto la rubrica ‘Somministrazione fraudolenta’, recitava: ‘Ferme restando le sanzioni di cui all’articolo 18, quando la somministrazione di RAGIONE_SOCIALE è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione’; e fu (non oggetto di una depenalizzazione, con trasformazione in illecito amministrativo, ma) abrogato espressamente dall’art. 55, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 81/2015. Peraltro, successivamente, l’art. 2, comma 1 bis, d.l. n. 87/2018, conv. con mod. in l. n. 96/2018, inserì nel d.lgs. n. 81/2015 l’art. 38 bis, che ha reint rodotto la contravvenzione di ‘Somministrazione fraudolenta’ praticamente in termini identici a quelli dell’originaria disposizione di cui all’art. 28 d.lgs. n. 276/2003.
9.1. Tanto precisato, la Corte di merito non ha fatto il benché minimo cenno alla specifica ipotesi di cui all’art. 28 d.lgs. n. 276/2003, ma, come già premesso in narrativa, ha dato conto che la ‘DTL ha contestato al COGNOME di aver stipulato con la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE un contratto di appalto che, in realtà, dissimulava
una somministrazione illecita di manodopera’ (cfr. pag. 4 della sua sentenza); ed anche nella seguente parte motiva la Corte s’è riferita esclusivamente al tipo dell’appalto (di servizi), e non a quello della somministrazione di RAGIONE_SOCIALE, sia pure ‘fraudolenta’ nei termini specificati dal cit. art. 28 (cfr. pagg. 4-5 e 7-8 della stessa).
9.2. La Corte RAGIONE_SOCIALE, inoltre, non ha accertato che fosse iniziato un procedimento penale (sia pure in fase di indagini), in particolare per il reato già previsto dall’art. 28 d.lgs. n. 276/2003, a carico di chicchessia, né ha affermato che quel part icolare reato contravvenzionale risultasse ‘depenalizzato’ all’atto dell’emanazione dell’ordinanza ingiunzione notificata il 31.3.2016.
Solo per completezza di disamina, mette conto aggiungere che l’art. 4, comma 5, d.lgs. n. 251/2004 aveva introdotto nell’art. 18 d.lgs. n. 276/2003 il comma 5 bis, che, per quanto qui potrebbe interessare, per il caso ‘di appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1’, del medesimo d.lgs. n. 276/2003, prevedeva altra contravvenzione; ma quest’ultima, al pari di tutte le fattispecie contravvenzionali punite con la sola pecuniaria, disciplinate dall’art. 18 d.lgs. n. 276/2003, tra cui appunt o il reato di ‘appalto illecito’, risultò compresa tra quelle ‘depenalizzate’ in senso tecnico (vale a dire, non soppresse con conseguente abolitio criminis pura e semplice, bensì trasformate in illeciti amministrativi), ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 8/2016 (cfr. Cass. pen., sez. III, 7.7.2016, n. 43926; id., sez. III, 10.2.2016, n. 10484). Inoltre, questa Corte in sede penale aveva specificato che : ‘Il D.lgs. n. 8 del 2016, art. 8, derogando al principio di legalità fissato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1, stabilisce espressamente
che le sanzioni amministrative, ivi introdotte, si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto n. 8 del 2016, purché il procedimento penale non sia già stato definito con sentenza o decreto penale irrev ocabili, mentre l’art. 9, che disciplina la fase di trasmissione degli atti all’autorità amministrativa, stabilisce, per quanto qui interessa, che va pronunciata sentenza di assoluzione, ex art. 129 cod. proc. pen., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con conseguente trasmissione degli atti alla competente autorità amministrativa, che va individuata in quella prevista dalla legge che disciplina la violazione o, in mancanza di previsione, in quella individuata ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 68, art. 17, comma 1 e, dunque, in quella competente a ricevere il rapporto e ad irrogare la sanzione, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del decreto n. 8 del 2016, individuabile, nel caso in esame, nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quale articolazione periferica del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, nel cui ambito la violazione sarebbe risultata commessa’ (così nella motivazione di Cass. pen. n. 10484/2016 cit.).
10.1. Anche alla stregua di tali ultime considerazioni, allora, è di tutta evidenza che, non solo il secondo motivo di ricorso, pone una questione del tutto nuova in fatto e in diritto rispetto al thema decidendum devoluto dall’allora appellante alla Corte d’appello, ma esso, nell’esigere ora una invero singolare -ultrattività di una norma penale opinata quale più favorevole (rispetto a quella da cui è derivato l’illecito amministrativo), ma inesattamente individuata, non è affatto pertinente rispetto a quanto accertato dai giudici di merito ed alla normativa di riferimento ratione temporis nel periodo
compreso tra la commissione dei fatti accertati in sede ispettiva e l’emanazione dell’ordinanza opposta.
11. Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
12. Infatti, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrete al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (in tal senso, tra le altre, Cass. n. 13796/2023).
13. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (quale, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c. solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di
legittimità sui vizi di motivazione (così, ex plurimis , Cass. n. 31510/2021).
Ebbene, il ricorrente non deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in nessuno dei modi consentiti in questa sede di legittimità.
In particolare, l’indirizzo giurisprudenziale, che il ricorrente invoca, e secondo il quale, in caso di contrasto tra dichiarazioni raccolte in sede ispettiva e testimonianze rese in giudizio, dovrebbe assegnarsi prevalenza alle seconde, non rientra ce rtamente nell’ambito normativo degli artt. 115 e 116 c.p.c. che si assumono violati, non essendo le deposizioni testimoniali prove legali, sicché la Corte RAGIONE_SOCIALE correttamente ha fatto esplicito riferimento al proprio ‘prudente apprezzamento’ (cfr. pag. 7 della sua sentenza), tra l’altro, mettendo in luce la contraddittorietà e la scarsa attendibilità RAGIONE_SOCIALE testimonianze (cfr. pag. 9 della stessa).
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore dei tre controricorrenti, RAGIONE_SOCIALE spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida, per l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in € 200,00 per esborsi e in € 2.500,00 per compensi professionali per ognuno di detti enti, oltre rimborso forfetario RAGIONE_SOCIALE spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, e,
per l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in € 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 28.5.2024.