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Utilità nel concordato: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25919/2024, ha stabilito che in un concordato preventivo in continuità aziendale, la proposta deve assicurare a ogni creditore un’utilità concreta ed economicamente valutabile. La mera possibilità di proseguire i rapporti commerciali non è sufficiente a soddisfare questo requisito, specialmente per le classi di creditori a cui non è offerto alcun pagamento. La Corte ha ritenuto che la prosecuzione dei contratti è un effetto naturale della procedura e non un’utilità aggiuntiva offerta dal debitore, confermando così la dichiarazione di fallimento della società proponente, la cui proposta mancava di ‘concreta onerosità’.

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Utilità nel Concordato in Continuità: La Cassazione Nega Validità alle Classi ‘a Zero’

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 25919 del 2 ottobre 2024 affronta un tema cruciale nel diritto fallimentare: la natura dell’utilità nel concordato preventivo in continuità aziendale. La Corte ha stabilito che la mera prosecuzione dei rapporti commerciali non costituisce un’utilità sufficiente per i creditori, soprattutto quando una loro classe viene lasciata senza alcun soddisfacimento pecuniario. Questa decisione rafforza il principio della ‘concreta onerosità’ della proposta concordataria, delineando confini precisi per l’ammissibilità dei piani di risanamento.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, trovandosi in stato di crisi, aveva presentato una domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale. Il piano proposto prevedeva una classe di creditori chirografari (definiti ‘strategici’) per i quali non era previsto alcun pagamento in denaro. L’unico vantaggio offerto a questa classe era la possibilità di proseguire i rapporti contrattuali e commerciali con la società risanata.

Il Tribunale, su istanza del Pubblico Ministero, ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato, ritenendo assorbente il mancato soddisfacimento, anche minimo, di tale categoria di creditori. Di conseguenza, ha dichiarato il fallimento della società. La Corte d’Appello ha confermato la decisione, respingendo il reclamo dell’azienda. La questione è quindi giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e l’Utilità nel Concordato

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei gradi di merito. Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 161, comma 2, lett. e), della Legge Fallimentare, che impone al proponente di indicare ‘l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile’ che si obbliga ad assicurare a ciascun creditore.

La ‘Concreta Onerosità’ della Proposta

La Cassazione ha chiarito che la proposta di concordato deve avere una ‘causa concreta onerosa’. Questo significa che, oltre al superamento dello stato di crisi, il piano deve garantire ai creditori la realizzazione, seppur minima, delle loro ragioni di credito. L’utilità nel concordato non può essere astratta o meramente potenziale, ma deve tradursi in un’attribuzione patrimoniale concreta dal debitore al creditore.

La Prosecuzione dei Contratti non è un’Utilità Aggiuntiva

Il punto centrale della sentenza è che la prosecuzione dei contratti in corso non può essere considerata l’utilità richiesta dalla legge. Secondo i giudici, la continuazione dei rapporti commerciali è un effetto naturale del concordato in continuità, disciplinato dall’art. 186-bis della Legge Fallimentare, e non un vantaggio aggiuntivo che il debitore offre ai creditori. Identificare l’utilità con la mera continuità contrattuale svuoterebbe di significato il requisito funzionale del concordato, che è la ‘ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti’.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’omessa previsione di un riparto, anche minimo, per una classe di creditori chirografari, sostituita dalla mera possibilità di proseguire i rapporti commerciali, viola il principio di ‘concreta onerosità’. L’utilità deve essere una specifica attribuzione patrimoniale che il debitore si impegna a fornire, non un effetto intrinseco alla procedura stessa. La prosecuzione dei contratti, di per sé, non garantisce un vantaggio economico certo e valutabile per il creditore, il quale subirebbe l’integrale remissione del proprio debito pregresso senza una contropartita tangibile.

Inoltre, la Corte ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, relativo a presunti vizi procedurali legati all’istanza di fallimento del Pubblico Ministero. Ha ribadito che il P.M. è pienamente legittimato a richiedere il fallimento sulla base di una segnalazione di insolvenza (notitia decoctionis) proveniente da un giudice, e la sua mancata comparizione in udienza non equivale a una rinuncia implicita all’istanza.

Le Conclusioni

La sentenza n. 25919/2024 della Corte di Cassazione stabilisce un principio fondamentale per la redazione dei piani di concordato in continuità: non sono ammissibili le cosiddette ‘classi a zero’ se l’unica utilità offerta è la prosecuzione dei rapporti commerciali. L’utilità nel concordato deve essere un vantaggio concreto, economicamente valutabile e aggiuntivo rispetto agli effetti naturali della procedura. Questa pronuncia impone agli imprenditori in crisi di strutturare piani di risanamento che prevedano un’attribuzione patrimoniale effettiva per tutte le classi di creditori, garantendo così che la causa del concordato – la soddisfazione dei creditori – sia sempre rispettata.

In un concordato preventivo in continuità, la semplice prosecuzione dei rapporti commerciali con i creditori può essere considerata una ‘utilità’ sufficiente a soddisfarli?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prosecuzione dei contratti in corso è un effetto naturale della procedura e non costituisce l’utilità economicamente valutabile richiesta dalla legge, la quale deve consistere in un’attribuzione patrimoniale concreta da parte del debitore.

È ammissibile una proposta di concordato che prevede una classe di creditori chirografari con soddisfacimento pari a ‘zero’ in termini monetari?
No, se l’unica contropartita è la mera possibilità di continuare i rapporti commerciali. La proposta deve avere una ‘concreta onerosità’, assicurando un soddisfacimento, anche minimo ma tangibile ed economicamente valutabile, a tutte le classi di creditori.

La mancata comparizione del Pubblico Ministero all’udienza prefallimentare equivale a una rinuncia alla sua istanza di fallimento?
No. La Corte ha chiarito che l’assenza del P.M. in udienza, in mancanza di una formale rinuncia, non fa venir meno la sua richiesta di fallimento, la quale rimane pienamente efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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