Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18838 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18838 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24819 R.G. anno 2023 proposto da:
COGNOME NOME e NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1691/2023 depositata il 30 settembre 2023 della Corte di appello di Palermo.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ E’ impugnata per cassazione la sentenza del la Corte di appello di Palermo del 30 settembre 2023. Con detta pronuncia è stata riformata la decisione resa dal Tribunale di Agrigento, il quale aveva condannato Banca Sella s.p.a. al pagamento della somma di euro 8.937,10 in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME. La controversia concerne un contratto di mutuo con riguardo al quale era stata lamentata l’applicazione di interessi, spese e commissioni non dovute. La pronuncia di appello si fonda sull’esclusione dell’usurarietà del mutuo, che era stata invece riconosciuta dal Giudice di primo grado.
2 . ─ Il ricorso per cassazione si basa su cinque motivi ed è resistito con controricorso da Banca Sella, la quale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, n. 4, c.p.c..
I ricorrenti lamentano anzitutto che la Corte di appello non abbia preso in esame l’eccezione da loro proposta di d ifetto di rappresentanza processuale della banca oggi controricorrente.
La doglianza è inammissibile: il mancato esame, da parte del giudice del merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Cass. 16 ottobre 2024, n. 26913; Cass. 14 marzo 2018, n. 6174); inoltre, in tema di errores in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione (Cass. 2 settembre 2019, n. 21944; Cass. 10 novembre 2015, n. 22952).
La censura è peraltro carente di specificità: i ricorrenti si limitano a richiamare una delibera del 4 febbraio 2014 del consiglio di amministrazione di Banca Sella, senza dar conto del contenuto della procura rilasciata dalla detta società al difensore che si era costituito in
giudizio: ed è noto che la deduzione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181), imponendo la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. 30 luglio 2024, n. 21346).
Nel corpo del motivo gli istanti si dolgono, inoltre, del mancato esame di una eccezione di merito proposta in comparsa conclusionale.
Si osserva, in proposito, che la comparsa conclusionale di cui all’art. 190 c.p.c. ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte, sicché, ove con tale atto sia prospettata per la prima volta una questione nuova, il giudice del gravame non può, e non deve, pronunciarsi al riguardo, senza, con ciò, incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. 23 giugno 2022, n. 20232; Cass. 28 luglio 2004, n. 14250).
– Col secondo motivo si oppone la violazione o falsa applicazione della l. n. 108 del 1996, degli artt. 644 c.p., 1375 e 1815 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Si lamenta, anzitutto, che la Corte territoriale avrebbe mancato di considerare, ai fini della verifica dell’usurarietà degli interessi, l’onorario del notaio e l’imposta sostitutiva prevista dal d.P.R. n. 601 del 1973.
Gli istanti riconoscono che le questioni furono proposte con la comparsa concl usionale d’appello, quindi tardivamente. Vero è che la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo; ma la parte che, in sede di legittimità, lamenti il mancato rilievo ufficioso della menzionata invalidità deve dedurre, a pena di
inammissibilità della censura per difetto di specificità, anche l’emersione, nel corso del giudizio di merito, degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisare detta nullità (Cass. 19 ottobre 2022, n. 30885; Cass.. 22 maggio 2024, n. 16102, non massimata in CED ). Nel caso in esame gli istanti non hanno indicato le risultanze documentali da cui emergerebbe l’addebito delle spese in questione e tanto vale a rendere inammissibile la censura.
Per completezza si osserva che il mancato conteggio dell’imposta sostitutiva ai fini del calcolo del tasso effettivo globale si mostra corretto, dal momento che a norma dell’art. 1, comma 4, l. n. 108 del 1996, «er la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito ». Analoga conclusione si impone con riguardo alle spese notarili, che le istruzioni della Banca d’Italia escludono dal computo del tasso effettivo globale.
Col secondo motivo chi impugna deduce, altresì, che il consulente tecnico avrebbe dato evidenza del riconoscimento, da parte della banca, del l’eccedenza del tasso effettivo globale del mutuo , oltre che del tasso moratorio, rispetto al tasso soglia: ciò con riguardo ad alcuni ratei di rimborso. Si assume che la Corte di appello avrebbe dovuto prendere atto di tale dichiarazione, che aveva il valore di una confessione giudiziale, e dichiarare sussistente quantomeno l’usura sopravvenuta.
La doglianza è inammissibile.
Le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem , costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, mentre esse possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l’atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino
inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute (Cass. 28 settembre 2018, n. 23634; Cass. 1 dicembre 2016, n. 24539): nel caso in esame non è stato dedotto che la richiamata dichiarazione era contenuta in un atto sottoscritto dal legale rappresentante della banca.
In secondo luogo, e comunque, la confessione deve avere ad oggetto fatti obiettivi, la cui qualificazione giuridica spetta al giudice del merito, e non già opinioni o giudizi (Cass. 27 febbraio 2019, n. 5725; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21509). Non ha quindi valore confessorio il giudizio espresso dalla parte quanto all’eccedenza dei tassi applicati rispetto alle soglie di legge.
Da ultimo, impropriamente i ricorrenti accordano rilievo al l’usura sopravvenuta: infatti, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. Sez. U. 19 ottobre 2017, n. 24675). Ebbene, quel che rileva, ai fini dell ‘accertamento dell’usurarietà, è il passaggio della sentenza impugnata ove si è dato atto che il TEG (tasso effettivo globale) del mutuo era pari al 5,56% e risultava inferiore al tasso soglia dell’usura, il quale, al momento della stipula, si collocava al 6,36%.
Pure inammissibile è la deduzione dei ricorrenti fondata sull’applicabilità , alla fattispecie, degli artt. 33, lett. f), e 36, comma 1, c. cons.. A parte la genericità della doglianza, lo scrutinio della censura
è precluso in questa sede, in quanto esigerebbe un accertamento di fatto quanto alla qualità di consumatori dei ricorrenti, quanto al contenuto della clausola e quanto all’insussistenza della specifica trattativa di cui all’art. 34, comma 5, c. cons.. Va r ammentato che nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 30 gennaio 2020, n. 2193; Cass. 6 giugno 2018, n. 14477).
Analoghe co nsiderazioni impone l’esame del terzo motivo, con cui si oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 1815, 1284, 2697 c.c. e 117 t.u.b..
Il motivo è incentrato, in sintesi, sulla mancata trasparenza del contratto di mutuo: si deduce, infatti, che i ricorrenti, al momento della stipula, non erano informati quanto alla modalità di rimborso del finanziamento; si assume, in particolare, che essi non avrebbero consapevolmente scelto il piano di ammortamento «alla francese», che prevede una rata costante, comprensiva di una quota di capitale e una quota di interessi il cui ammontare dipende dal regime finanziario della capitalizzazione composta.
Della questione la sentenza impugnata non si occupa e i ricorrenti, oltre a non dedurre di averla prospettata in sede di merito, nemmeno spiegano da quali specifici elementi processuali la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere che il contratto era nullo.
Va osservato, per completezza, che in caso di mutuo bancario con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento «alla francese», la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori non è causa di nullità parziale del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei
rapporti tra gli istituti di credito e i clienti (Cass. Sez. U. 29 maggio 2024, n. 15130).
– Il quarto motivo prospetta l’omesso esame di fatto decisivo.
Il fatto storico oggetto di omesso esame viene individuato nella dichiarazione asseritamente confessoria della banca circa l’usurarietà di alcuni dei tassi praticati nel corso del rapporto.
Sul punto è sufficiente richiamare quanto si è rilevato scrutinando il secondo motivo di ricorso, in cui la questione vertente su tale dichiarazione era stata fatta valere nella diversa prospettiva del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Col quinto mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 61, 100, 115 e 191 c.p.c., 1815, 1224 e 2697 c.c., della l. n. 108 del 1996, dell’art. 644 c.p., dell’art. 1 17 t.u.b. e del d.lgs. n. 206 del 2005.
Il motivo comprende plurime censure.
I ricorrenti deducono, anzitutto, la Corte di appello non abbia tenuto conto della confessione della banca circa l’usurarietà degli interessi applicati: ancora una volta si devono richiamare considerazioni sopra svolte.
Altra doglianza, incentrata sulla sommatoria di interessi corrispettivi e interessi moratori, è del tutto priva di specificità e di chiarezza. Come è noto, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa (Cass.24 febbraio 2020, n. 4905; Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259): e ciò comporta – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni in telligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione, essendo fatto divieto di rinvio ad atti difensivi o a risultanze dei gradi di merito.
Una terza censura verte sulla mancata riconvocazione del c.t.u.. I ricorrenti asseriscono che la Corte di Palermo fosse stata a ciò «espressamente compulsata», senza però fornire alcuna indicazione al riguardo. In ogni caso, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto , le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice (Cass. 24 gennaio 2019, n. 2103; Cass. 30 marzo 2010, n. 7622).
Gli istanti si dolgono, infine, della nullità della clausola contrattuale che avrebbe stabilito una misura eccessiva degli interessi moratori: tornano ad evocare il disposto dell’art. 33 c. cons., secondo cui si presume vessatoria – stante la previsione contenuta alla lett. f) -la clausola con la quale si impone al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento clausola penale o altro titolo equivalente di importo manifestamente eccessivo. E’ suff iciente, al riguardo, far rinvio a quanto esposto trattando del secondo mezzo di ricorso.
6. – Il ricorso è dichiarato inammissibile.
7. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione