Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17137 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17137 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28874/2021 R.G. proposto da
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE)
, in persona del legale rappresentante pro tempore quale mandataria di
–
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Interessi
–
Superamento tasso soglia
di legge
–
Sopravvenuto
–
Nullità
clausole
Esclusione
R.G.N. 28874/2021
Ud. 11/06/2025 CC
FINO RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 5768/2021 depositata il 30/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 5768/2021, depositata in data 30 agosto 2021, la Corte d’Appello di Roma, nella regolare costituzione di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE -a propria volta indicata come avente causa di RAGIONE_SOCIALE ha parzialmente accolto l’appello proposto da COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME (in proprio e quali eredi di NOME COGNOME) e NOME COGNOME (quale erede di NOME COGNOME), avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 3638/2018 del 19 febbraio 2018.
Il Tribunale di Roma era stato chiamato a pronunciarsi sull’opposizione proposta da COGNOME RAGIONE_SOCIALE (quale obbligata principale) e da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (quali fideiussori) avverso il decreto ingiuntivo emesso a favore di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 878.800,00.
Costituitasi regolarmente RAGIONE_SOCIALE -e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE -il Tribunale di Roma -dopo che il giudizio si era interrotto per la morte di NOME
NOME ed era stato riassunto dagli eredi di quest’ultimo e dopo l’espletamento di una CTU -aveva parzialmente accolto l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo opposto ma condannando gli opponenti a corrispondere all’opposta la somma di € 724.013,67.
Proposto gravame da parte COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e costituitasi -nella qualità di successore di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Roma ha solo parzialmente accolto il gravame, riducendo ulteriormente la somma oggetto della statuizione di condanna all’importo di € 696.510,16.
Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte d’appello ha rammentato che il decreto ingiuntivo opposto era stato emesso in relazione a tre rapporti costituiti da: un conto corrente ordinario, un conto corrente anticipi ed un’apertura di credito in conto corrente .
Ha quindi evidenziato che, essendo stato dedotto con uno dei motivi di gravame il fatto che la CTU svolta in sede di prime cure aveva esaminato solo due dei tre rapporti, si era necessario disporre nel corso del giudizio di appello un supplemento di consulenza tecnica, richiamando conseguentemente gli esiti di quest’ultima per giungere alla rideterminazione del debito nella minor misura di € 696.510,16.
In relazione a tale rideterminazione, la Corte territoriale ha chiarito che:
-l’unica ipotesi di superamento del tasso soglia di legge rilevata dal CTU consisteva in una usura sopravvenuta, come tale irrilevante;
-le ulteriori deduzioni degli appellanti relative all’applicazione illegittima sia della commissione di massimo scoperto sia dello ius variandi risultavano ‘inammissibili prima ancora che
destituite di fondamento’ in quanto formulate in modo generico ed indimostrato.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorrono COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 1448 e 1815 c.c.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha negato rilevanza al sopravvenuto superamento del tasso soglia di legge, argomentando i ricorrenti che tale affermazione verrebbe a determinare ‘un’evidente disparità di trattamento e una violazione del principio di uguaglianza, giungendo all’assurda conseguenza per cui lo stesso tasso di interesse per taluni sarebbe praticabile, mentre per altri non potrebbe essere oggetto di pattuizione, atteso che il tasso d’interesse divenuto nel corso del rapporto usurario non potrebbe essere validamente promesso da altro debitore’ .
Deducendo la violazione degli artt. 1283, 1284, 1448 e 1815 c.c., i ricorrenti argomentano che ‘nel nostro ordinamento sussiste un sistema civilistico, con cui la decisione della Corte d’Appello contrasta palesemente, finalizzato alla repressione del fenomeno usurario, da cui è possibile trarre l’illiceità delle clausole che impongano la
corresponsione di un interesse divenuto sopra soglia nel corso del rapporto, come nel caso di specie’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 1448 e 1815 c.c., nonché’ errore in procedendo in relazione alla mancata riconvocazione del CTU’ .
Si censura ulteriormente la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto inammissibile la richiesta di riconvocazione del CTU, in tal modo omettendo di verificare l’avvenuto superamento del tasso soglia di legge e la non correttezza dei conteggi operati dallo stesso CTU.
Preliminarmente, devono essere valutate le eccezioni preliminari reciprocamente sollevate dalle parti.
2.1. La prima di tali eccezioni concerne la validità della procura rilasciata dalla ricorrente COGNOME RAGIONE_SOCIALE procura in relazione alla quale l’odierna controricorrente denuncia l’assenza di specialità, non recando la procura medesima né una data né riferimenti alla sentenza impugnata.
L’eccezione deve ritenersi infondata.
La procura in questione, infatti, risulta apposta a margine del ricorso, a propria volta del tutto univoco nel suo riferirsi alla sentenza impugnata, risultando in tal modo sussistenti i necessari caratteri, tali da far ritenere che l’ atto costituisca idoneo conferimento di procura speciale (Cass. Sez. U – Sentenza n. 2075 del 19/01/2024; Cass. Sez. U – Sentenza n. 2077 del 19/01/2024; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24671 del 11/08/2022; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 9935 del 28/03/2022).
2.2. La seconda eccezione è stata invece sollevata dai ricorrenti in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. e viene a dedurre il difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE -e quindi della
sua mandataria RAGIONE_SOCIALEper non aver la medesima adeguatamente provato la cessione in proprio favore del credito originariamente azionato da RAGIONE_SOCIALE.P.A.
Anche tale eccezione deve essere disattesa.
Occorre precisare preliminarmente che -come da questa Corte costantemente ed anche recentemente chiarito (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 28790 del 2024 e, in precedenza, Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023) – ove una delle parti del giudizio venga ad agire nella veste di cessionaria in blocco di crediti e sul punto vengano mosse contestazioni, si deve, in primo luogo, operare una distinzione tra l’ipotesi in cui il debitore ceduto venga a contestare unicamente l’inclusione dello specifico credito vantato nei propri confronti tra quel li oggetto della cessione, dall’ipotesi in cui ad essere contestata sia l’esistenza stessa della cessione.
Nel primo caso, infatti, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale ex art. 58 TUB, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione del lo specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurre con certezza il credito litigioso tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete (Cass. Civ. 22 giugno 2023, n. 17944).
Diverso, invece, è il secondo caso, e cioè l’ipotesi in cui ad essere contestata sia la stessa esistenza della cessione, contestazione che -va premesso e chiarito – investe un profilo che non concerne la legittimazione attiva del cessionario, bensì la titolarità in capo al medesimo del lato attivo dell’obbligazione, e cioè un profilo che, come tale, può essere verificato anche d’ufficio (Cass. civ. SS.UU. 16 febbraio
2016, n. 2951; Cass. civ. 15 maggio 2018, n. 11744; Cass. civ. 17 giugno 2024, n. 16814).
Operata tale puntualizzazione -ed osservato che i ricorrenti paiono sollevare in modo promiscuo entrambi i profili -si deve tuttavia rilevare che l’intervento in giudizio della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE nella veste di cessionaria del credito, si è verificato già nel giudizio di appello -come evidenziato dalla stessa decisione impugnata -senza che risulti che i ricorrenti in quella sede abbiano mosso contestazioni di sorta sul punto e senza che, nel presente giudizio, sia stato formulato uno specifico motivo di ricorso.
Avendo, quindi, la Corte territoriale implicitamente statuito in ordine alla titolarità del credito in capo all’odierna controricorrente e non essendo stata tale statuizione tempestivamente impugnata, non possono ora i ricorrenti sollevare la contestazione in una memoria -come quella ex art. 380bis .1 c.p.c., quella ex art. 378 (nonché quella di cui alla previgente versione dell’art. 380 -bis c.p.c.) -che non ha la funzione di integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione, e non di dedurre nuove eccezioni – implicanti necessariamente accertamenti di fatto – o sollevare nuove questioni di dibattito (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 8949 del 30/03/2023; Cass. Sez. L – Sentenza n. 21355 del 06/07/2022; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 5503 del 26/02/2019; Cass. Sez. 2 Sentenza n. 24007 del 12/10/2017; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26332 del 20/12/2016), violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 3471 del 22/02/2016).
I motivi di ricorso sono, nel loro complesso, inammissibili.
3.1. Il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360bis , n. 1), c.p.c.
La decisione impugnata, infatti, si è espressamente conformata a ll’orientamento espresso da questa Corte (Cass. Sez. U – Sentenza n. 24675 del 19/10/2017; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 24743 del 17/08/2023), e cioè al principio per cui nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108/1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Rispetto a tale orientamento -che, si osserva per completezza, è stato da questa Corte esteso a qualsiasi altro tipo di rapporto di credito, (in tema di conto corrente, Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 35902 del 22 dicembre 2023; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9792 del 2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18013 del 2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18227 del 2024; in tema di factoring , Cass. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 32538 del 23 novembre 2023) -le argomentazioni dei ricorrenti si limitano ad una generica censura riferita ad un (insussistente) pericolo di disparità di trattamento tra situazioni che sono in realtà disomogenee, con argomentazioni che questa Corte ha già valutato in passato, da ciò
emergendo l’inammissibilità di un motivo che non offre elementi né per rivedere né per mutare l’orientamento di questa Corte .
3.2. In relazione al secondo motivo di ricorso, si deve rilevare che lo stesso, in primo luogo, non deduce con adeguata specificità la violazione o falsa applicazione delle previsioni codicistiche che pure richiama, ma in relazione alle quali non svolge alcuna concreta argomentazione.
Da questo punto di vista, il motivo si pone in diretto contrasto con il principio per cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4), c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa
ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Radicalmente rimasto inadempiuto tale obbligo, l’unica concreta deduzione contenuta nel mezzo è da riferirsi alla sussistenza di un vizio che affliggerebbe la decisione per non aver la stessa riscontrato la richiesta di riconvocazione del CTU.
Si deve osservare che, se è vero che questa Corte ha chiarito che la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice essendo tuttavia quest’ultimo tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17399 del 01/09/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4853 del 01/03/2007), è tuttavia da escludere la possibilità di sindacare in sede di legittimità la decisione del giudice di merito di non procedere alla riconvocazione del consulente a riscontro delle sollecitazioni di una delle parti del giudizio, essendo, semmai, compito del giudice di merito esaminare e replicare alle osservazioni eventualmente formulate, sempre che -tuttavia -il consulente tecnico, nella propria relazione, non abbia tenuto già conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, ben potendo in questo caso il giudice limitarsi ad aderire alle conclusioni del consulente medesimo (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 33742 del 16/11/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015).
Da ciò deriva l’inammissibilità del motivo, non senza rilevare che le critiche che i ricorrenti avrebbero potuto muovere alla decisione impugnata per non aver esaminato le osservazioni alla consulenza o
sono state riformulate con il primo motivo -dichiarato inammissibile -o non sono state fatte oggetto di specifiche censure in sede di legittimità.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima