Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5593 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5593 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11916 – 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già denominata RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa con l’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1388/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, pubblicata il 21/8/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti;
rilevato che:
con atto di citazione notificato il 6 novembre 2015, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Torino, RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE esponendo che aveva stipulato con la convenuta, in data 2 dicembre 2009, un contratto di mutuo rimborsabile mediante cessione del quinto dello stipendio, per l’importo lordo di Euro 32.892,00 da restituirsi in 120 rate, ma in realtà da lei estinto anticipatamente dopo 50 rate e che era stata costretta a stipulare una polizza assicurativa; denunciò, quindi, l’usurarietà degli interessi pattuiti in riferimento al TUS e, in conseguenza, l’avvenuta corresponsione di somme non dovute; chiese, pertanto, che il Tribunale, accertata la nullità della clausola di pattuizione degli interessi, condannasse la convenuta alla restituzione in suo favore delle somme non dovute da lei corrisposte;
con sentenza n. 448 del 2017, il Tribunale di Torino respinse la domanda, ritenendo che l’usurarietà non potesse essere riscontrata calcolando il costo della polizza assicurativa perché obbligatoriamente prevista per i mutui con cessione del quinto e, in ogni caso, perché l’estinzione anticipata del mutuo non consentiva la distribuzione dei costi di assicurazione sulla durata contrattuale di 120 rate;
in parziale accoglimento dell’appello di COGNOME, con sentenza n. 1388 del 2019, la Corte di appello di Torino accolse la domanda quanto all’usurarietà del tasso pattuito e condannò la Libra s.p.a., in mancanza di contestazioni sul quantum dovuto, a restituire a NOME COGNOME la somma di Euro 10.109,17; in particolare, per quel che qui
rileva, la Corte di merito ritenne che il Tribunale avesse erroneamente escluso dal calcolo della misura del tasso degli interessi le spese per assicurazione, atteso che, nel quadro normativo applicabile ratione temporis alla fattispecie, la natura obbligatoria della polizza assicurativa prevista per i contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio aveva connotazione propriamente remunerativa anche indiretta; la sua connotazione obbligatoria, poi, non ne escludeva il calcolo ai fini dell ‘applicazione della regola generale dell’art. 644 cod. pen., secondo cui per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito; rimarcò, poi, richiamando una pronuncia di questa Corte di legittimità, che, anche nella vigenza delle istruzioni della Banca d’Italia 2006, il costo dell’assicurazione era proprio da ritenere compreso nel calcolo del TEG preso a riferimento, quando la polizza, come nella specie, risultasse inscindibilmente collegata alla concessione del credito; infine, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello escluse rilevasse la mancata produzione dei decreti relativi ai tassi soglia, atteso che la stessa società aveva indicato il tasso soglia del periodo;
– avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
-nessuno dei tre motivi contiene, in rubrica, l’indicazione di una delle ipotesi individuate nel comma I dell’art. 360 cod. proc. civ.; ciononostante, le censure risultano ammissibili perché comunque individuano con sufficiente chiarezza i vizi prospettati tra quelli
inquadrabili nella tassativa griglia normativa (cfr. Cass. Sez. U, n. 32415 del 08/11/2021);
con il primo motivo, RAGIONE_SOCIALE ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 cod. proc. civ., dell’art 2697 cod. civ. e dell’art 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108, per avere la Corte d’appello applicato il principio di non contestazione per escludere la rilevanza dell’omessa produzione dei d .m. di rilevazione dei tassi soglia, al fine della verifica dell’usura;
il primo motivo è infondato atteso che, come già stabilito da questa Corte, «nella fase del giudizio di merito», «la disciplina regolamentare in materia di superamento del tasso soglia ai fini della valutazione dell’usura» ha «carattere integrativo della normativa dettata in via generale dalla legge penale e civile» e deve pertanto «essere conosciuta dal giudice del merito, ed applicata alla fattispecie, indipendentemente dall’attività probatoria delle parti che l’abbiano invocata» (così Cass. Sez. 1, n. 35102 del 2022, in richiamo a Cass. 8883/2020, Cass. 29240/2021 e Cass. 7872/2022 con le quali è stato evidenziato che il cliente, laddove lamenta, nel giudizio di legittimità, la violazione del calcolo del tasso soglia, per effetto della mancata applicazione, o della non corretta applicazione, del d.m. di riferimento per i singoli periodi, introduce una questione di diritto e non di fatto, non essendo allegata la sussistenza di un fatto, bensì lamentata l’indiretta violazione dell’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, nella parte in cui espressamente rinvia ai periodici decreti ministeriali di rilevazione dei tassi applicabili ai vari rapporti bancari); in conseguenza, è stato affermato che «in materia di usura bancaria, i decreti ministeriali, pubblicati in Gazzetta Ufficiale, di rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, indispensabili, stante il rinvio disposto dall’art. 2 della L. n. 108 del 1996, per la concreta individuazione dei tassi-soglia di riferimento, essendo atti
amministrativi di carattere generale ed astratto, normativo (svolgendo la funzione di integrazione della disciplina dettata dalla norma primaria, concorrendo alla definizione e specificazione del tasso-soglia di periodo per la categoria di operazioni rilevate) ed innovativo, vanno considerati alla stregua di vere e proprie fonti integrative del diritto, così da dovere essere conosciuti dal giudice in base al principio « iura novit curia » espresso nell’art.113 cod. proc. civ.»;
– con il secondo motivo, la società ha sostenuto la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 644 cod. pen. in relazione al l’art. 54 del d.P.R. n.180 del 1950, per non avere la Corte considerato che quest’articolo stabilisce l’obbligatorietà della prestazione dell’assicurazione per i contratti di finanziamento e ciò consente di escludere che l’assicurazione sia una forma di remunerazione del credito; la richiamata pronuncia di questa Corte n. 8806 del 2017 non sarebbe pertinente in quanto concernerebbe una diversa tipologia di finanziamento per cui l’assicurazione non è obbligatoria ;
– il motivo è infondato; questa Corte ha esaminato in -ormai numerosissime pronunce l’usurarietà dei tassi applicati in ipotesi di mutuo con cessione del quinto e stabilito che, ai fini della valutazione dell’eventuale natura usuraria, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall’art. 644, comma IV, cod. pen., essendo, all’uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito; come stabilito da questa norma, infatti, nel costo complessivo del credito si deve tenere conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito ; la sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l’erogazione del mutuo ; ne discende che i costi della polizza hanno
natura remunerativa, seppure indiretta, per la società finanziatrice; la «centralità sistematica» di tale norma, in punto di definizione della fattispecie usuraria rilevante, non può non valere pure per l’intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell’usura e quindi anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive e per le istruzioni emanate dalla Banca d’Italia (così, ex multis , Cass. Sez. 2, n. 29501 del 24/10/2023, con indicazione dei precedenti più rilevanti);
con il terzo motivo, la ricorrente ha infine censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 1815 cod. civ., dell’art. 644 cod. pen., dell’articolo 2 della legge n. 108/96, nonché de ll’ art. 45 della legge 2248/ 1865 allegato E, per non avere la Corte d’appello provveduto ad una interpretazione costituzionalmente orientata dei decreti ministeriali che avrebbero un contenuto contrastante con le disposizioni di legge laddove, nel calcolo del TEGM, non hanno tenuto conto anche degli oneri di assicurazione, in violazione del principio di simmetria già affermato dalla Corte di legittimità; ha rimarcato, infatti, che all’epoca della stipulazione del contratto, cioè in data 2 dicembre 2009, ancora vigevano le Istruzioni della Banca d’Italia e dell’UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006, che prevedevano l’esclusione dal calcolo del TEG per la verifica del limite usurario degli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente; in conseguenza, il TAEG come calcolato in appello non avrebbe dovuto essere comparato con un tasso soglia individuato senza tener conto degli stessi componenti; sul punto, ha chiesto che la causa sia rimessa alla Prima Presidente perché valuti l’opportunità della rimessione alle sezioni unite di questa Corte, al fine di statuire sul l’operatività del principio di omogeneità in riferimento al computo dei costi di assicurazione obbligatoria;
il terzo motivo è inammissibile; la Corte d’appello ha escluso la violazione del principio di omogeneità perché, richiamando la
motivazione dell’ordinanza di questa Corte n.22458 del 2018, relativa a un mutuo con cessione del quinto, ha ritenuto che, anche nel vigore delle precedenti istruzioni del 2006, la connotazione propriamente remunerativa, anche indiretta, della polizza assicurativa prevista per i contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione (da accertarsi in concreto utilizzando il diverso canone della sua effettiva incidenza economica – diretta ed indiretta – sulle obbligazioni assunte dalle parti), non risultasse incompatibile con la natura obbligatoria della polizza ed era comunque «idonea ad attrarre la fattispecie concreta nella previsione dettata dalla parte generale del paragrafo C4 delle Istruzioni UIC, rilevante ai fini del calcolo del TEG»; la società non ha specificamente censurato questa ratio , limitandosi a richiamare l’avvenuto innalzamento del TSU nel primo trimestre 2010, senza argomentare in ordine alle concrete operazioni di rilevamento dei TEGM -e, in conseguenza, di individuazione del TSU, come ricostruite in sentenza; in tal senso è precluso a questa Corte procedere a nuova valutazione dell’avvenuta osservanza, in concreto, dell’invocato principio di omogeneità;
il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore;
stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda