Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 425 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 425 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
Santonocito NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
Santonocito NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 2366/2018 della Corte di appello di Catania, depositata il 12. 11. 2018.
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 26. 10. 2023.
Fatti di causa e ragioni della decisione
R.G. N. 14997/2019.
Con sentenza n. 2366 del 12. 11. 2018 la Corte di appello di Catania confermò la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da COGNOME NOME nei confronti della sorella COGNOME NOME di acquisto per usucapione ventennale della proprietà del piano terra dell’immobil e sito in San Giovanni La Punta, INDIRIZZO
La Corte di appello motivò il rigetto del gravame affermando che dalle risultanze istruttorie risultava che la convenuta aveva iniziato a possedere l’immobile per cui è causa, continuando ad abitarvi, dal 1976, anno in cui ne aveva acquistato la proprietà dalla stessa attrice e che, per contro, quest’ultima non aveva fornito la prova della dismissione del possesso della controparte e dell’esercizio, da parte sua, del possesso esclusivo ventennale; che infatti, dall’atto di compravendita del 4. 5. 1976 risultava la cessione in favore della convenuta dell’immobile in questione, comprensivo di tutta l’area circostante il piano terra; che anche le costruzione ivi presenti insistevano nell’area di proprietà della convenuta; che con l’acquisto della proprietà la convenuta aveva acquistato anche il possesso dell’immobile, secondo la presunzione posta dall’art. 1143 cod. civ., tenuto altresì conto che ella vi aveva abitato e ne aveva conservato le chiavi anche dopo la morte della madre, avvenuta nel 2008; che non potevano essere valutati come prova i verbali della causa nuova introdotta, in pendenza del giudizio di appello, dalla stessa esponente, che aveva agito in rivendica di un vano garage e di tre camerini presenti nell’immobile occupato dalla sorella, quali pertinenze del proprio appartamento sito al primo piano, causa che si era conclusa con sentenza del Tribunale che aveva dichiarato la litispendenza e continenza con quella pendente e ordinato la sua cancellazione dal ruolo, trattandosi di integrazioni istruttorie espletate oltre i termini istruttori concessi nel presente giudizio dal giudice di primo grado e diretti pertanto a superare, attraverso l’introduzione di un nuovo giudizio, la decadenza processuale verificatasi.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata l’1. 3. 2019, con atto notificato il 29. 4. 2019, ha proposto ricorso COGNOME NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi.
Santonocito NOME ha notificato controricorso.
R.G. N. 14997/2019.
La causa è stata avviata in decisione in camera di consiglio. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge, manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia, censurando la sentenza impugnata per avere rigettato l’istanza di acquisizione delle prove assunte nel diverso giudizio di rivendica introdotto dalla ricorrente nel 2013, in pendenza del giudizio di appello.
Il ricorso premette che la sentenza del Tribunale di Catania, che ravvisando la litispendenza e continenza tra i due giudizi, aveva disposto la cancellazione dal ruolo della causa introdotta successivamente, era stata impugnata con regolamento di competenza e che, per tale ragione, la Corte di appello aveva sospeso il giudizio pendente dinanzi a sé. Intervenuta la decisione della Corte di Cassazione, che aveva rigettato il regolamento , l’odierna ricorrente si era costituita nel giudizio riassunto ed aveva riproposto la domanda di rivendica del vano garage e dei tre camerini.
Ciò precisato, la ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia preso in considerazione tale domanda, dichiarando erroneamente di dover decidere solo sulla prima causa, trascurando così di considerare l’acquisizione probatoria svoltasi nella seconda causa sotto il profilo della sua indispensabilità ai fini della decisione da adottare e la sussistenza dei presupposti per la rimessione in termini.
Così facendo la Corte di merito è altresì incorsa nel vizio di omessa pronuncia, sulle domande di rivendicazione e restituzione del garage e dei camerini, ritualmente formulate anche in sede di precisazione delle conclusioni.
Il motivo è inammissibile ed anche, in parte, infondato.
In particolare è inammissibile, per difetto di decisività, la censura che lamenta la mancata acquisizione degli atti istruttori del secondo giudizio introdotto dalla odierna ricorrente, non precisando in alcun modo il ricorso né l’oggetto né il contenuto di tali atti, ponendo così questa Corte, che non ha acceso diretto agli atti del giudizio di merito, nella impossibilità di valutarne, sia pure in astratto, la rilevanza e quindi la loro incidenza sulla decisione, sotto l’unico e decisivo
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profilo prospettabile in questo caso, che vale a dire, se essi fossero stati considerati, il giudice sarebbe potuto pervenire ad una decisione diversa.
La censura di omessa pronuncia è invece inammissibile perché dalla esposizione del processo contenuta nello stesso ricorso emerge che la domanda di rivendica del vano garage e dei camerini è stata avanzata soltanto nella fase della riassunzione, dopo che le parti avevano precisato le conclusioni e depositato le comparse conclusionali e repliche, a seguito della sospensione del giudizio disposta dalla Corte di appello e rimessione della causa sul ruolo in attesa della decisione sul regolamento di competenza da parte di questa Corte. Ora, se è vero che nei diritti autodeterminati l’indicazione di un titolo della proprietà e degli altri diritti reali diverso da quello in precedenza dedotto non costituisce mutamento della domanda e può essere pertanto dedotto anche nel giudizio di appello, non incorrendo nel divieto previsto dall’art. 345 cod. proc. civ., deve però affermarsi che l’esercizio di tale facoltà può essere esercitata solo con l’atto di costituzione in giudizio e non in sede di precisazione delle conclusioni.
Si aggiunge che il vizio denunziato nemmeno sussiste, in quanto dalla lettura della sentenza emerge che la Corte di appello ha esaminato la questione relativa alle costruzioni realizzate sull’area di proprietà della appellata, rigettando la relativa domanda sul presupposto che esse insistono nella predetta area e che non c’era la prova che esse fossero state realizzate dall’appellante, emergendo al contrario che era stata la convenuta a presentare, nel 1986, istanza di sanatoria per ottenere la concessione edilizia.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge, manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando che la Corte di appello non si sia pronunciata sul gran numero di domande avanzate in comparsa conclusionale, tra cui quelle volte ad accertare la comproprietà in capo alla ricorrente dell’ingresso e della scala comune e il diritto di servitù sul fondo venduto alla sorella, limitando il suo esame alla domanda pri ncipale di usucapione riproposta con l’atto di appello ed ignorando quella subordinata di usucapione del giardino.
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Sotto altro profilo viene contestato l’accertamento secondo cui l’immobile oggetto della domanda coincidesse con quello acquistato dalla convenuta con l’atto di compravendita del 4. 5. 1976 .
Il motivo è infondato e, in parte, inammissibile.
Con riferimento al vizio di omessa pronuncia, il mezzo è infondato in quanto, dalla stessa narrazione della vicenda processuale fatta dal ricorso, risulta chiaramente che le domande di accertamento della comproprietà dell’ingresso e della scala comune e del diritto di servitù sono state proposte soltanto in sede di comparsa conclusionale o, al più, nella fase seguita alla decisione di questa Corte sul regolamento di competenza avverso la decisone del Tribunale del 2016, ed erano pertanto inammissibili perché nuove , ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ.. Tra queste domande e quella proposta di accertamento della proprietà dell’immobile non esiste alcun collegamento logico e giuridico, né con riferimento alla causa petendi né in relazione al petitum . Correttamente pertanto il giudice di appello non le ha prese in esame.
Con riferimento alla domanda subordinata di accertamento dell’usucapione del solo giardino, il mezzo è invece infondato, in quanto la decisione adottata dalla Corte di appello di rigetto della domanda di usucapione è chiaramente riferibile all’intero immo bile e, quindi, anche al giardino. La Corte di merito ha sul punto precisato che la convenuta, con l’atto del 1976, aveva acquistato l’immobile al piano terra insieme al terreno circostante, comprensivo anche dell’area trapezoidale antistante, e che su di esso la convenuta, essendo divenutane proprietaria, aveva acquistato il possesso, continuando ad abitarvi.
La censura che contesta l’accertamento in ordine alla consistenza del bene acquistato dalla convenuta con l’atto di compravendita del 4. 5. 1976 è infine inammissibile, investendo un accertamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, censurabile nel giudizio di legittimità solo sotto il profilo della violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto, profilo nella specie non sollevato.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge, violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, violazione dell’art. 112
R.G. N. 14997/2019.
cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per una erronea e parziale valutazione delle risultanze probatorie, in particolare delle dichiarazioni rese dai testimoni, laddove ha escluso il possesso esclusivo ventennale da parte della attrice dell’immobile per cui è causa.
Il mezzo è inammissibile risolvendosi in censure che investono la valutazione del compendio probatorio, che è di esclusiva competenza del giudice di merito, anche con riguardo al giudizio di attendibilità dei singoli testi, non sindacabile come tale in sede di giudizio di legittimità, non essendo questa Corte giudice del fatto.
Il quarto motivo di ricorso, che nuovamente denuncia violazione e falsa applicazione di legge, manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per avere respinto la domanda di usucapione sulla base dell’affermazione che il possesso delle chiavi dell’immobile da parte dell’attrice ed altri comportamenti tenuti nel corso di oltre trent’anni erano frutto di mera tolleranza dovuta ai rapporti familiari, in contrasto con l’or ientamento della giurisprudenza di legittimità che, in tema di accertamento dell’usucapione, esclude la figura della mera tolleranza nel caso di condotte prolungate nel tempo.
In disparte la considerazione che la Corte di appello ha motivato il possesso delle chiavi dell’immobile della convenuta da parte dell’attrice con il fatto che in esso viveva anche la loro anziana madre e quindi con la necessità di accedere alla casa in qualunque evenienza, il motivo è infondato alla luce della stessa giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, avendo questa Corte precisato che, al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza, la circostanza che l’attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela, in forza di un apprezzamento di
fatto demandato al giudice di merito ( Cass. n. 17880 del 2019; Cass. n. 4327 del 2008; Cass. n. 9661 del 2006 ).
In conclusione il ricorso è respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 ottobre 2023.