Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11201 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11201 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3585/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1202/2020 depositata il 18/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di AVV_NOTAIOiglio del 14/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME, ricorrono con quattro motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Salerno ha confermato il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione proposta da essi ricorrenti contro NOME COGNOME -odierno controricorrente, originario attore in rivendica e fratello di NOME COGNOME -relativamente ad un locale di 9 mq in Salerno, INDIRIZZO, facente parte di un immobile già di proprietà del dante causa dei due fratelli, poi tra questi diviso e alla propria parte del quale NOME COGNOME aveva accluso il suddetto locale mediante intervento edilizio sottraendolo alla parte dell’originario attore a cui apparteneva.
La Corte di Appello ha confermato il rigetto della domanda riconvenzionale sulla base di due rationes: non esservi prova del fatto che NOME COGNOME avesse posseduto il locale in modo continuativo ed ininterrotto per venti anni; potersi applicare alla fattispecie <>;
la causa perviene al RAGIONE_SOCIALE a seguito di richiesta di decisione formulata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito di
proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso;
AVV_NOTAIOiderato che:
1 nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il AVV_NOTAIOigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di AVV_NOTAIOiglio AVV_NOTAIOeguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024). Sulla scorta di tale recentissima pronuncia (che ha giustificato la successiva riconvocazione del RAGIONE_SOCIALE in camera di AVV_NOTAIOiglio), il AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis cpc, non versa in situazione di incompatibilità
Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi vengono denunciate ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. nonché contraddittoria ed illogica motivazione in ordine a questione fondamentale per la risoluzione della controversia’. Viene, sotto questa rubrica, dedotto che la Corte di Appello avrebbe accolto la domanda di NOME COGNOME malgrado questi non avesse assolto all’onere di dimostrare di essere proprietario del locale de quo;
2.con il secondo motivo di ricorso vengono lamentate ”violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1142 e 1144 c.c. e dell’art.
2697 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. nonché erronea motivazione in ordine a questione essenziale per la definizione della controversia’.
Viene, sotto questa rubrica, criticata la seconda delle rationes della sentenza impugnata (v. punto 1 della superiore premessa). Sostengono infatti i ricorrenti che il richiamo, da parte della Corte di Appello, al filone giurisprudenziale secondo cui la lunga durata del godimento posto in essere del ‘possessore’ nell’ambito dei rapporti di parentela non costituisce indice ed elemento presuntivo ai fini dell’usucapione potendo lo stesso inserirsi nell’area della tolleranza, è errato attesa la incompatibilità tra le modalità dell’impossessamento del locale da parte di NOME COGNOME e l’area della tolleranza. Deducono i ricorrenti che, come del resto accertato dalla stessa Corte di Appello, NOME COGNOME si era impossessato del locale mediante la realizzazione di un muro per effetto della quale il locale era stato separato dalla proprietà di NOME COGNOME -con AVV_NOTAIOeguente preclusione per questi di continuare ad usarne -ed era stato inglobato in quella dello stesso NOME COGNOME;
3. con il terzo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 163 e dell’art. 164 c.p.c. Deducono i ricorrenti di avere riproposto come motivo di appello contro la sentenza di primo grado l’eccezione di nullità della originaria citazione in quanto carente della esatta indicazione dell’oggetto della domanda ossia del locale rivendicato. Criticano la Corte di Appello per non avere accolto detta eccezione;
4. con il quarto motivo viene lamentata ‘violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. a causa della omessa motivazione nonché dell’art.360, primo comma, n.5 c.p.c. per omesso esame su fatto controverso e decisivo per il giudizio e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.’. Sotto questa rubrica sono riproposte le doglianze già formulate con il primo motivo. In riferimento alla dedotta carenza di motivazione
della sentenza impugnata i ricorrenti sostengono che la Corte di Appello avrebbe illogicamente assunto l’esistenza del titolo costitutivo del diritto di NOME COGNOME come AVV_NOTAIOeguenza del ritenuto non perfezionamento dell’usucapione del locale in favore di NOME COGNOME;
il terzo motivo è logicamente preordinato agli altri;
esso è infondato.
6.1. Va premesso che i ricorrenti danno conto del fatto che nell’originaria citazione veniva allegato trattarsi di locale di 9 mq in INDIRIZZO (v. pagina 3 del ricorso) e danno conto del fatto che il proprio dante causa, nel costituirsi in primo grado, aveva proposto domanda riconvenzionale di usucapione dello stesso locale.
6.2. Ciò posto, la decisione della Corte di Appello di non accogliere la detta eccezione dei ricorrenti è conforme al principio più volte affermato da questa Corte e per cui ‘ La declaratoria di nullità della citazione – nullità che si produce, ex art.164 comma 4 c.p.c., solo quando il “petitum” sia stato del tutto omesso o sia assolutamente incerto – postula una valutazione da compiersi caso per caso, nel rispetto di alcuni criteri di ordine generale, occorrendo, da un canto, tener conto che l’identificazione dell’oggetto della domanda va operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, dall’altro, che l’oggetto deve risultare “assolutamente” incerto. In particolare, quest’ultimo elemento deve essere vagliato in coerenza con la ragione ispiratrice della norma che impone all’attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l’oggetto della sua domanda, ragione che, principalmente, risiede nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l’immediata contezza del “thema decidendum”), con la
AVV_NOTAIOeguenza che non potrà prescindersi, nel valutare il grado di incertezza della domanda, dalla natura del relativo oggetto e dalla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte (se tale, cioè, da AVV_NOTAIOentire, comunque, un’agevole individuazione di quanto l’attore richiede e delle ragioni per cui lo fa, o se, viceversa, tale da rendere effettivamente difficile, in difetto di maggiori specificazioni, l’approntamento di una precisa linea di difesa)’ (così per tutte Cass, n. 17023 del 12/11/2003);
il primo e il quarto motivo sono infondati.
7.1. La Corte di Appello ha evidenziato che ‘sin dall’atto di costituzione in primo grado, l’originario convenuto non aveva contestato la proprietà esclusiva del bene oggetto di contesa in capo all’attore in virtù della divisione per atto AVV_NOTAIO dei beni paterni del 20/01/1982 con ciò sostanzialmente esonerandolo dalla prova diabolica delle rivendica’.
7.2. La motivazione della sentenza impugnata è tutt’altro che ‘omessa’ o ‘contraddittoria e illogica’ e non vi è alcuna violazione o falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c. in tema di onere della prova a carico dell’attore in rivendicazione, né dell’art. 115 c.p.c.
7.3. In primo luogo, ricordato che a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione’, la motivazione della sentenza impugnata si sottrae ad ogni censura atteso che l’affermazione censurata -‘sin dall’atto di costituzione in primo grado, l’originario convenuto non aveva contestato la proprietà esclusiva del bene oggetto di contesa in capo all’attore in virtù della divisione per atto AVV_NOTAIO dei beni paterni del 20/01/1982 con ciò sostanzialmente esonerandolo dalla prova diabolica delle rivendica’ -è chiara e perfettamente logica.
In secondo luogo, essa è conforme a diritto.
La Corte di Appello ha puntualmente seguito le statuizioni della Corte:
-se, in linea di principio, in caso di azione di rivendica, la portata dell’onere probatorio a carico dell’attore è particolarmente gravosa dovendo questi provare l’esistenza di un titolo originario di acquisto, tuttavia, tale onere probatorio a carico del rivendicante deve essere stabilito in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia, sicché il rigore si attenua secondo la linea difensiva adottata dal convenuto. In altri termini l’onere della prova in rivendicazione non può essere AVV_NOTAIOiderato in modo rigido ed indipendente dalla posizione che in concreto assume il convenuto nell’espletare la sua difesa. La dimostrazione dell’acquisto legittimo dei danti causa all’infinito, fino a trovare un acquisto originario, non è sempre mezzo istruttorio necessario per la vittoria giudiziale del rivendicante. Non occorre, cioè, che egli, invocando un titolo di acquisto derivativo, giunga fino ad un acquisto a titolo originario del suo autore. Il limite della esigenza probatoria a carico del rivendicante non è costituito, infatti, da una fattispecie legale tipica ed astratta e cioè da una figura di prova legale, bensì, come per qualsiasi altro istituto giuridico, dalla sufficienza della prova rispetto all’entità giuridica che nelle singole fattispecie deve essere dimostrata, avuto riguardo sempre alle contestazioni fra i contendenti (Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n.1569 del 19/01/2022).
In particolare il rigore dell’onere probatorio imposto all’attore in rivendica risulta attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto (Cass. n. 22598/2010).
Va infine sottolineato che, con il quarto motivo di ricorso, viene evocato il vizio di cui all’art.360, primo comma, n.5 c.p.c. deducendosi che la Corte di Appello avrebbe trascurato le ‘attività espletate dal convenuto appellante apertamente ed inequivocabilmente protrattesi davanti a tutti’.
Per questa parte il motivo è inammissibile perché in nulla conforme al seguente principio: ‘ L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne AVV_NOTAIOegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in AVV_NOTAIOiderazione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ‘ (Cass. 8053/2014)
8. il secondo motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) in quanto involgente una sola delle due rationes su cui si regge la sentenza impugnata e non l’altra (v. punto 1. della superiore premessa) cosicché, quand’anche, per ipotesi, detto motivo fosse fondato, la sentenza resterebbe ferma sull’altra ratio. In termini generali, ‘Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa’ (Cass. Sez. 3, sentenza n.2108 del 14/02/2012; v., anche, da ultimo 5102/2024).
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza.
Poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma.
11.1. Quanto alla disciplina intertemporale, per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis cit. nel testo riformato, va richiamato l’indirizzo adottato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 27433/2023, secondo la quale detta normativa -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 d.lgs. n. 149 del 2022 -è immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per
giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023; ciò in quanto l’art. 380 -bis cit. (che nella parte finale richiama l’art. 96, terzo e quarto comma, cit.) è destinato a trovare applicazione, come espressamente previsto dall’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di AVV_NOTAIOiglio, come quello in esame.
11.2. Sulla scorta di quanto esposto, la parte ricorrente va condannata al pagamento di una somma, equitativamente determinata in € 2 .000,00 in favore della controparte e di una ulteriore somma, pari ad € 3 .000,00 in favore della cassa delle ammende;
12. sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna i ricorrenti al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 2.000,00 in favore della controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024 e, a seguito di