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Usucapione tra parenti: quando è solo tolleranza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11201/2024, ha rigettato il ricorso degli eredi di un uomo che chiedevano l’usucapione di un locale appartenente al fratello. La Corte ha stabilito che nell’ambito dell’usucapione tra parenti, una lunga durata del godimento di un bene non è sufficiente a provare il possesso, potendosi configurare come mera tolleranza. Inoltre, ha ribadito che l’onere della prova per chi agisce in rivendica è attenuato se la controparte non contesta il titolo di proprietà originario.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Usucapione tra Parenti: Quando il Godimento di un Immobile è solo Tolleranza

L’usucapione tra parenti rappresenta un terreno giuridico complesso, dove i legami familiari possono trasformare quello che appare come un possesso in un semplice atto di tolleranza. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11201 del 26 aprile 2024, è tornata su questo tema delicato, fornendo chiarimenti cruciali sulla distinzione tra possesso utile all’usucapione e mera cortesia, e sull’onere della prova nelle azioni di rivendicazione.

La vicenda: una stanza contesa tra fratelli

La controversia nasce dalla richiesta di restituzione di un piccolo locale di 9 mq, avanzata da un uomo nei confronti degli eredi del proprio fratello. Quest’ultimo, in vita, aveva di fatto annesso il locale alla sua proprietà, separandolo da quella del fratello con la costruzione di un muro.

Gli eredi si erano opposti alla richiesta, sostenendo di aver acquisito la proprietà del locale per usucapione, in virtù di un possesso protrattosi per oltre vent’anni. La Corte di Appello, tuttavia, aveva respinto la loro domanda, basando la decisione su due motivi principali: la mancata prova di un possesso continuativo per vent’anni e il principio giurisprudenziale secondo cui, nei rapporti di parentela, il godimento prolungato di un bene può essere interpretato come semplice tolleranza, inidonea a far maturare l’usucapione. Gli eredi hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Cassazione: il ricorso viene rigettato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte di Appello. Gli Ermellini hanno analizzato i diversi motivi di ricorso, cogliendo l’occasione per ribadire principi fondamentali in materia di prova della proprietà e di possesso nei contesti familiari.

Le motivazioni sulla prova dell’usucapione tra parenti

La Corte ha smontato le argomentazioni dei ricorrenti punto per punto, chiarendo aspetti procedurali e sostanziali di grande rilevanza.

L’onere della prova nell’azione di rivendicazione

I ricorrenti lamentavano che la Corte di Appello avesse dato per scontata la proprietà del locale in capo al fratello attore, senza che quest’ultimo avesse fornito la cosiddetta probatio diabolica (la prova, spesso difficile, di un acquisto a titolo originario). La Cassazione ha respinto questa doglianza, sottolineando che il rigore dell’onere probatorio a carico di chi agisce in rivendica si attenua notevolmente quando il convenuto non contesta l’appartenenza originaria del bene a un dante causa comune. Nel caso specifico, il fratello convenuto non aveva mai messo in discussione che il locale provenisse dalla divisione dei beni paterni, limitandosi a eccepire l’usucapione. Di conseguenza, per l’attore era stato sufficiente provare il suo titolo derivante da tale divisione.

Il concetto di tolleranza nei rapporti familiari

Il cuore della questione risiede nella distinzione tra possesso e tolleranza. La Corte di Appello aveva correttamente applicato il principio secondo cui la lunga durata del godimento di un bene, specialmente nell’ambito di stretti rapporti familiari, non costituisce di per sé un elemento presuntivo per l’usucapione tra parenti. Questo perché tale godimento può facilmente rientrare nell’area della tolleranza, dettata da sentimenti di affetto e cortesia. I ricorrenti sostenevano che l’edificazione di un muro fosse un atto incompatibile con la tolleranza, ma la Cassazione ha ritenuto inammissibile questo motivo di ricorso per un vizio procedurale.

L’inammissibilità del motivo di ricorso

La decisione della Corte di Appello si fondava su due autonome rationes decidendi: 1) la mancata prova del possesso ventennale; 2) l’applicabilità del principio di tolleranza. I ricorrenti, nel loro secondo motivo, avevano criticato solo la seconda ragione. La Cassazione ha spiegato che, quando una sentenza è sorretta da più motivazioni, ciascuna di per sé sufficiente a giustificare la decisione, il ricorrente ha l’onere di impugnarle tutte. Non facendolo, la sentenza resta valida sulla base della motivazione non contestata (in questo caso, la mancata prova del possesso), rendendo l’esame del motivo proposto del tutto inutile per difetto di interesse.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza in esame consolida due principi di fondamentale importanza pratica. In primo luogo, conferma che chi intende usucapire un bene da un parente stretto deve fornire una prova particolarmente rigorosa del suo possesso, dimostrando in modo inequivocabile che il suo potere sulla cosa non era frutto di mera accondiscendenza o tolleranza, ma espressione di un’intenzione di comportarsi come unico proprietario. In secondo luogo, chiarisce che nelle cause di rivendicazione, la strategia difensiva del convenuto è cruciale: la mancata contestazione del titolo dell’attore può alleggerire significativamente l’onere probatorio di quest’ultimo, spostando il focus del giudizio esclusivamente sulla prova dell’eventuale usucapione.

È possibile l’usucapione di un immobile tra parenti stretti?
Sì, ma è più difficile da provare. La giurisprudenza ritiene che la lunga durata del godimento di un bene nell’ambito di rapporti di parentela non costituisca un elemento presuntivo per l’usucapione, poiché può essere facilmente interpretato come un atto di mera tolleranza, che non è un possesso valido ai fini dell’acquisto della proprietà.

In un’azione di rivendicazione, chi deve provare la proprietà?
In linea di principio, l’onere della prova spetta all’attore, cioè a chi rivendica il bene. Tuttavia, questo onere è attenuato se il convenuto non contesta l’originaria appartenenza del bene a un dante causa comune. In tal caso, all’attore basta dimostrare il suo titolo di acquisto derivativo (es. un atto di divisione), senza dover risalire a un acquisto a titolo originario.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione attacca solo una delle due motivazioni su cui si fonda una sentenza?
Il motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Se la decisione impugnata si regge su più ragioni autonome e distinte (rationes decidendi), e il ricorso ne censura solo una, la sentenza rimane comunque valida sulla base della ragione non contestata. Di conseguenza, l’eventuale accoglimento del motivo non potrebbe portare alla cassazione della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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