Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32353 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32353 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16574/2022 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 737/2021 depositata il 20/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne NOME COGNOME ed NOME COGNOME avanti il Tribunale di Paola, domandando che fosse accertata l’intervenuta usucapione a suo favore di terreni e fabbricati, posti in Comune di Fuscaldo, da lui posseduti uti dominus pacificamente ed ininterrottamente per venticinque anni. Nella resistenza dei convenuti, all’esito dell’istruttoria il giudice adito respinse la domanda.
Su gravame del soccombente, con sentenza n. 737 depositata il 20 maggio 2021, la Corte d’appello di Catanzaro rigettò l’impugnazione.
Il giudice di secondo grado ripercorreva e richiamava il percorso logico-argomentativo del Tribunale. Reputava che il richiamo dei coniugi COGNOME all’esistenza di un contratto di comodato costituisse una mera difesa e non integrasse una domanda riconvenzionale tardiva e, nel merito, riconduceva la fattispecie ad una semplice detenzione dei fondi, caratterizzata dalla tolleranza originata dai vincoli familiari, senza che l’appellante avesse dimostrato atti d’interversione del possesso.
Contro la predetta sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di quattro motivi. Resistono con controricorso NOME COGNOME ed NOME COGNOME
Il consigliere delegato ha formulato proposta di inammissibilità o comunque di manifesta infondatezza dell’impugnazione.
A seguito della tempestiva opposizione del ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, che ha chiesto la
decisione, la causa è stata avviata alla camera di consiglio del 6 novembre 2024.
In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rigettata l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, sollevata dai controricorrenti in base al disposto dell’art. 327 c.p.c., giacché, in applicazione della norma vigente al momento dell’instaurazione della causa (200 7), il termine lungo di impugnazione allora previsto per il ricorso era di un anno e non di sei mesi.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi , il ricorrente denunzia la nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 112, 166 comma 1° e 167 comma 2° c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. La Corte d’appello , secondo la tesi del ricorrente, avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’allegazione dei controricorrenti, nella comparsa di risposta depositata tardivamente, circa l’avvenuta stipula di un comodato fra i medesimi ed Ersilia e NOME COGNOME alla quale ultima il COGNOME sarebbe subentrato nella posizione di mero detentore.
Con la seconda censura, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza o del procedimento, per violazione dell’art. 132 comma 2° n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la Corte distrettuale, con motivazione meramente apparente, si sarebbe richiamata al ‘percorso logico argomentativo del Tribunale’, senza riferimenti specifici alle prove assunte e senza riferimento ai motivi d’appello.
Con il terzo mezzo di impugnazione, il COGNOME sostiene la nullità della sentenza o del procedimento, per violazione dell’art. 132 comma 2° n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la Corte distrettuale, con motivazione meramente
apparente, aveva affermato che egli si sarebbe trovato a succedere, quale mero detentore, nella posizione della madre NOME COGNOME
La quarta lagnanza deduce la nullità della sentenza o del procedimento, per violazione dell’art. 132 comma 2° n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la Corte distrettuale, con motivazione meramente apparente, aveva affermato che dagli atti non sarebbe emerso alcun mutamento del titolo da detenzione in possesso, con particolare riguardo all’attività di coltivazione del fondo.
Osserva questa Suprema Corte che la sentenza impugnata si fonda su due distinte rationes decidendi . Da un lato, la Corte d’appello ha affermato: ‘ nel corso del giudizio è emerso che il terreno era stato concesso alle sorelle di COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, in comodato gratuito e che alla morte di quest’ultima, avvenuta nel 1982, era subentrato il di lei figlio, odierno appellante nipote di COGNOME NOME ‘.
Dall’altro, i giudici di secondo grado , a pag. 6 della sentenza, hanno sostenuto ‘ Peraltro, dall’espletata attività istruttoria non è emersa, per come invece sostenuto dall’appellante, un’indiscussa e piena signoria di fatto su terreno in contestazione, non potendosi, questa, ravvisare nell’avere ivi svolto attività di coltivazione di alberi da frutto, raccolto legna e creato un locale ripostiglio. Le suddette attività non sono, da sole, sufficienti ai fini dell’acquisto de quo, trattandosi di attività qualitativamente e quantitativamente non corrispondente all’esercizio di quel completo dominio sulla cosa richiesto per la configurabilità del possesso utile ai fini dell’usucapione ma, piuttosto, atti funzionali al miglior godimento della cosa ‘.
Di tale seconda ratio si occupa il quarto mezzo d’impugnazione, che -per comodità espositiva -può essere trattato con priorità e che è infondato.
Infatti, l’assunto della Corte d’appello che la coltivazione del fondo e le attività collaterali non sono come tali sufficienti a dimostrare l’ animus possidendi è in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in relazione alla domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo non è sufficiente, ai fini della prova del possesso uti dominus del bene, la sua mera coltivazione, poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un’attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l’espressione tipica del diritto di proprietà (Sez. 2, n. 1796 del 20 gennaio 2022; Sez. 6-2, n. 6123 del 5 marzo 2020; Sez. 2, n. 17376 del 3 luglio 2018).
Ma qualora, come nel caso di specie, la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Sez. 3, n. 5102 del 26 febbraio 2024; Sez. 5, n. 11493 dell’11 maggio 2018).
Il rigetto del quarto motivo per le ragioni esposte rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte ai primi tre motivi, tutti riconducibili alla prima ratio decidendi .
Alla declaratoria di infondatezza del ricorso segue inevitabilmente la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato e quindi deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art.
380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 700,00 (settecento) per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, iva, cassa avvocati, ed agli esborsi, liquidati in € 200,00 con accessori tutti come per legge.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 1.000 ,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 6 novembre 2024, nella camera di consiglio