Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13129 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13129 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2091/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, AGENZIA DEL DEMANIO
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 2067/2017 depositata il 23/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La vicenda trae origine dall’acquisto, avvenuto nel 1984 da parte della società RAGIONE_SOCIALE, di un terreno edificatorio mediante atto pubblico. La società ottenne una voltura della concessione edilizia e
realizzò delle costruzioni sul fondo. Tuttavia, nel 1992, il Consiglio di Stato dichiarò legittimo il diniego di approvazione dell’Intendenza di Finanza agli atti di vendita che avevano portato all’acquisto del terreno da parte della RAGIONE_SOCIALE. Successivamente, con sentenza del 1995, il Tribunale di Catanzaro dichiarò inefficace il contratto di compravendita del 1984, condannando la società alla restituzione del terreno e al risarcimento dei danni per abusiva occupazione. La sentenza venne confermata in appello nel 1998. Nel 2000 la Rotomar rilasciò il fondo.
Nel 2001 la società citò in giudizio il Ministero dell’Economia e l’Agenzia del Demanio, chiedendo il riconoscimento del diritto di proprietà superficiaria sulle costruzioni oppure, in subordine, l’indennizzo ex art. 936 co. 2 c.c. per le opere realizzate. Il Ministero e l’Agenzia si costituirono in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, la condanna della Rotomar al risarcimento per l’occupazione abusiva del terreno dal 1995 alla data dello sgombero.
Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 2010, rigettò le domande della Rotomar, accogliendo parzialmente la domanda riconvenzionale del Ministero e dell’Agenzia e condannando la società al pagamento di € 371.240,87 a titolo di indennizzo per l’occupazione del suolo. Avverso tale sentenza, la Rotomar propose appello, deducendo violazione di norme di diritto e insufficiente motivazione. In particolare, contestava il mancato riconoscimento del diritto di superficie, l’erronea esclusione dell’usucapione abbreviata e il rigetto della richiesta di indennizzo. Il Ministero e l’Agenzia, a loro volta, proposero appello incidentale, chiedendo una maggiorazione dell’indennizzo.
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 2017, rigettò sia l’appello principale che quello incidentale. Riteneva che il diritto di superficie non fosse usucapibile su beni demaniali e che non vi fosse stata una sdemanializzazione del terreno. Escludeva inoltre la
buona fede della COGNOME, evidenziando che l’atto di acquisto del 1984 menzionava la natura pubblica del suolo. Confermava altresì il rigetto della richiesta di indennizzo, ritenendo che l’Amministrazione avesse validamente esercitato lo ius tollendi.
Ricorre in cassazione COGNOME con due motivi. Rimangono intimate le pubbliche amministrazioni. Il consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. La parte ricorrente ne ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 952, 1146, 1147 e 1159 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato il riconoscimento del diritto di proprietà superficiaria in capo alla società RAGIONE_SOCIALE escludendo l’usucapione abbreviata. Si afferma che il possesso delle costruzioni, avvenuto in buona fede, avrebbe consentito l’acquisizione del diritto di superficie ai sensi dell’art. 1159 c.c. La Corte di appello ha errato nel ritenere che il diritto di superficie non fosse usucapibile su un bene appartenente al patrimonio dello Stato, omettendo di considerare che la RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato un possesso utile e ininterrotto per oltre dieci anni. Si richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione che riconosce l’usucapione decennale in presenza di titolo astrattamente idoneo al trasferimento e di buona fede del possessore.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 934, 936 e 1150 c.c., nonché degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso il diritto della Rotomar all’indennizzo per le costruzioni realizzate sul fondo . Si afferma che la pubblica amministrazione, pur avendo esercitato lo ius tollendi, sarebbe decaduta da tale facoltà per decorso del termine di sei mesi previsto dalla legge, e che in ogni caso la costruzione era avvenuta in buona fede e senza opposizione. La Corte di appello avrebbe errato nell’escludere la buona fede del costruttore,
basandosi unicamente sulla menzione della natura patrimoniale del bene nell’atto di acquisto, senza considerare le circostanze oggettive che avevano indotto la società a ritenersi legittima proprietaria del terreno. Si richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione che riconosce l’indennizzo a favore del costruttore di buona fede, anche quando la pubblica amministrazione eserciti tardivamente lo ius tollendi.
– I due motivi sono da esaminare contestualmente.
Essi non sono fondati.
Quanto al primo motivo, è da muovere dal l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui il diritto di superficie, in quanto diritto reale distinto dalla proprietà, è suscettibile di usucapione solo quando concerne beni soggetti al regime privatistico e non si estende ai beni appartenenti al demanio pubblico o al patrimonio indisponibile dello Stato (Cass. n. 2798/2009, tra le altre). Correttamente dunque la Corte di appello ha escluso la possibilità di usucapire il diritto di superficie, evidenziando la natura demaniale dell’area e l’assenza di una sdemanializzazione, sia esplicita che per facta concludentia, considerando anche le ripetute azioni giudiziarie intraprese dalla pubblica amministrazione per recuperare il bene.
Quanto al secondo motivo, il diritto all’indennizzo previsto dall’art. 936 c.c. per il costruttore di buona fede su fondo altrui non può essere riconosciuto quando la costruzione avvenga su suolo pubblico e il costruttore ignori con colpa la situazione giuridica del fondo (cfr. Cass. n. 13261/2006 ) .
Nel caso di specie, la Corte di appello ha accertato che la società RAGIONE_SOCIALE conosceva o doveva conoscere la natura pubblica del terreno, potendolo desumere dal contenuto dell’atto di acquisto, il quale indicava espressamente che il fondo era bene patrimoniale dello Stato. Quindi, la consapevolezza dell’appartenenza del fondo a soggetto pubblico ha escluso la buona fede richiesta per il diritto
all’indennizzo, né vi è titolo idoneo. Inoltre, la Corte di appello ha accertato in modo incensurabile che la pubblica amministrazione aveva esercitato tempestivamente lo ius tollendi attraverso l’atto di citazione notificato nel 1986. In definitiva, si è accertato che sussistevano i presupposti per l’applicazione del principio di accessione di cui all’art. 934 c.c.
In sostanza, entrambi i motivi di ricorso tendono a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio, inammissibile in questa sede.
Entrambi i motivi sono rigettati.
3. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/04/2025.