Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12778 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12778 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14007/2023 R.G. proposto da
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 295/2023 della Corte d’Appello di Perugia, pubblicata in data 19/04/2023 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME NOME convenne, dinanzi al Tribunale di Spoleto, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, perché venissero condannati alla demolizione del cancello in ferro e delle fondazioni in cemento armato da essi realizzati all’interno della sua proprietà, sita in Spoleto, località INDIRIZZO, nonché alla rimozione dei contatori delle utenze, delle relative tubature e dei cassonetti insistenti sulla sua proprietà.
Costituitisi in giudizio, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME chiesero il rigetto delle avverse pretese e formularono altresì domanda riconvenzionale volta all’accertamento dell’acquisto, da parte loro, per intervenuta usucapione della proprietà del terreno posto al confine con la proprietà attorea, su cui correva lo stradone, oltre che dello stradone stesso a partire dal cancello fino alle loro abitazioni.
Con sentenza n. 682/2020 del 20-28/11/2020, il Tribunale di Spoleto accolse la domanda dell’attore, limitatamente alla demolizione del cancello in ferro realizzato all’interno della sua proprietà e alla rimozione dei cassonetti per l’immondizia, condannando i convenuti al ripristino dello stato dei luoghi, rigettò la domanda riconvenzionale e condannò i soccombenti alla rifusione delle spese di lite.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME con riguardo al rigetto della domanda di usucapione e alla condanna alle demolizioni e rimozioni, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, con la sentenza n. 295/2023 del 13 aprile 2023, con la quale la Corte d’Appello di Perugia rigettò l’impugnazione, condannando gli appellanti alle spese del grado.
Per quel che rileva in questa sede, la Corte d’Appello ritenne inammissibili le prove orali dedotte dagli appellanti, siccome idonee a dimostrare il solo elemento oggettivo, ma non anche quello soggettivo dell’ animus rem sibi habendi e dell’ animus excludendi , e infondata la deduzione di proprietà o comproprietà della strada, atteso che le attività di manutenzione in essa compiute erano compatibili semmai con un’eventuale servitù di passaggio non richiesta.
Avverso la suddetta sentenza, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi. COGNOME NOME resiste con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione della natura giuridica della strada interpoderale ex collatione privatorum agrorum e della sua disciplina e dell’art. 1102 cod. civ., nonché la falsa applicazione della disciplina relativa alle servitù ex art. 1064 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che la difesa dell’appellante non si era confrontata con la sentenza di primo grado e che l’onere della prova in caso di comproprietà della strada sarebbe stato più oneroso, senza considerare che la strada interpoderale correva tra due fondi latistanti e in consecuzione e doveva, perciò considerarsi
costituita ex collatione agrorum privatorum e quindi in comunione tra i proprietari di detti fondi, così da essere incompatibile con una servitù, come erroneamente affermato nei due gradi del giudizio, e che i giudici avrebbero pertanto dovuto accertare la natura giuridica della stessa e la sussistenza di una communio incidens .
Ad avviso del ricorrente, i giudici avevano dunque errato sia nel disporre la rimozione del cancello e dei cassonetti, benché detto uso fosse consentito ai comproprietari dall’art. 1102 cod. civ., siccome inidoneo a impedire agli altri di fare parimenti uso del bene, sia nel limitare la decisione alla sola domanda di usucapione, benché nella comparsa di costituzione fosse stata anche dedotta l’infondatezza della domanda di demolizione del cancello in ragione della natura giuridica della strada interpoderale.
1.2 Il primo motivo è inammissibile.
Come più volte affermato da questa Corte, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (per tutte Cass., Sez. 2, 24/1/2019, n. 2038; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430; Cass., Sez. L, 28/7/2008, n. 20518).
A tale paradigma non si è, nella specie, attenuto però il ricorrente, il quale, nonostante l’assenza di riferimenti sul punto nella sentenza impugnata, ha omesso di indicare in quale atto del giudizio precedente avesse dedotto di avere acquistato la comproprietà della strada ex collatione privatorum agrorum ,
istituto questo di cui non vi è, peraltro, alcuna indicazione neppure nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, nel quale i convenuti hanno obiettato di avere sempre posseduto la strada, considerata interpoderale privata, fin dal 1961, chiedendo l’accertamento dell’intervenuto acquisto della proprietà della stessa per usucapione ventennale.
Che la questione non sia solo giuridica, ma implichi un accertamento di fatto, appare del resto evidente dalle stesse caratteristiche dell’istituto posto a base del diritto rivendicato. La formazione di una strada privata ex collatione privatorum agrorum sussiste, infatti, allorché il relativo sedime, facente originariamente parte di fondi latistanti, sia stato distaccato e conferito appunto allo scopo di creare la strada per l’accesso agli stessi, traendo la sua origine da situazioni giuridiche obiettive di diversa natura, le quali possono essere determinate dalla volontà coincidente, ancorché non concorde, di tutte le parti, estrinsecatasi anche attraverso il fatto materiale del conferimento, pur senza forma scritta, in relazione all’effettiva esigenza dei fondi (Cass., Sez. 2, 27/7/2006, n. 17111) e produttiva di effetti giuridici, in quanto, lungi da lasciare la strada nella proprietà individuale di ciascuno dei conferenti, così da risultare soggetta a servitù di passaggio a favore degli altri, dà luogo a una nuova entità economica e giuridica, oggetto di comunione e godimento da parte di tutti, in base ad un comune diritto di proprietà, e, dunque, ad una communio incidens tra i vari proprietari, in virtù della quale essi ne godono jure condominii , per essere concorsi alla sua formazione con proprie zone di terreno o con altri conferimenti, ovvero per averne acquistato il godimento per titolo o usucapione, e non jure servitutis (Cass., Sez. 2, 4/5/2012, n. 6773; Cass., Sez. 2, 31/5/2007, n. 12786; Cass., Sez. 2, 8/1/1996, n. 58; Cass., Sez. 2, 1/8/1047, n. 1350).
Costituendo dette strade agrarie accessorio di uso comune, l’accertamento della loro formazione ex collatione privatorum agrorum , in mancanza di titolo costitutivo, non è soggetto al rigoroso regime probatorio della rivendicazione, ma, al pari della costituzione di ogni altra comunione incidentale, consente di darne dimostrazione anche con prove testimoniali o presunzioni semplici, che possono trarsi dalle caratteristiche obiettive dei luoghi, dall’uso prolungato e pacifico della strada da parte dei frontisti, dalla rispondenza della stessa alle comuni esigenze di comunicazione in relazione alla natura dei luoghi, dalle mappe catastali e dagli accertamenti non contestati del giudice della causa possessoria definita inter partes , con la conseguente necessità di una valutazione complessiva degli elementi, anche indiziari, addotti, al fine di stabilire la sua effettiva destinazione alle esigenze comuni di passaggio, a meno che il contrario non risulti per l’appunto dai titoli (Cass., Sez. 2, 27/11/2018, n. 30723; Cass., Sez. 2, 18/7/2008, n. 19994; Cass., Sez. 2, 18/4/1998, n. 3984; Cass., Sez. 2, 10/7/1959, n. 2227).
Peraltro, nelle controversie relative alla sussistenza ed all’uso della strada vicinale privata, grava su colui che invoca tale uso l’onere di fornire la relativa prova, mentre non spetta al proprietario del terreno la dimostrazione della piena disponibilità di esso (Cass., Sez. 2, 13/12/1967, n. 2947).
Alla stregua di tali principi, appare allora evidente la diversità del titolo di proprietà dedotto con la censura rispetto a quello prospettato in fase di merito, il quale, implicando un accertamento fattuale (quello del conferimento dei beni finalizzato alla formazione della strada, oltreché delle caratteristiche del fondo e dell’uso prolungato) diverso da quello fondato sul mero titolo, esula dalla domanda originariamente proposta, connotandosi per il carattere della novità, peraltro eccepito anche in appello dall’appellato, come
riportato nella sentenza (pg. 5, rigo 16), e pure nel controricorso, con la conseguenza che la mancata specificazione di quali fossero gli atti del giudizio di merito in cui esso era stato evidenziato, non può che comportare l’inammissibilità della censura.
Va, infine, evidenziato che le considerazioni sull’affermata servitù, ad opera dei giudici d’appello, e sulla sua incompatibilità con la dedotta communio incidens , pure contenute nella censura, non si confrontano con la sentenza impugnata, nella quale non vi è alcun riconoscimento della titolarità di una servitù di passaggio in capo ai ricorrenti, ma la mera constatazione dell’inidoneità delle attività svolte dai ricorrenti sulla strada (utilizzo della strada e sua manutenzione) a fondare la proposta domanda di acquisto della proprietà per usucapione, siccome non inequivocabilmente e univocamente corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, ma afferenti al più al possesso di una servitù, la cui domanda non era stata però avanzata, sicché deve escludersi l’incompatibilità di tale asserzione con la domanda proposta.
2.1 Con il secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 1158, 2727, 2729 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito respinto la domanda di usucapione, reiterata in appello, in quanto le istanze probatorie erano inidonee a dimostrare l’ animus excludendi , senza considerare che il materiale possesso della strada da parte dei ricorrenti fin dal 1961, che lo stesso attore aveva ammesso, allorché aveva detto che il passaggio serviva e terminava presso le abitazioni dei convenuti, implicava in sé l’ animus che poteva trarsi in via presuntiva dall’elemento oggettivo, sicché, ritenuto pacifico il corpus , spettava alla controparte dimostrare l’assenza dell’ animus rem sibi habendi . Ad avviso dei ricorrenti, i giudici avevano, infine, errato allorché avevano attribuito rilevanza, a tali fini, alla sola apposizione del cancello nel 2012, che però non poteva avere
comportato l’acquisto della proprietà per usucapione per non essere ancora maturato il ventennio, in quanto non avevano considerato gli elementi soggettivi e oggettivi dati dal disinteresse mostrato dal proprietario e dallo stato dei luoghi.
2.2 Il secondo motivo è infondato.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell’ animus , elemento, quest’ultimo, che può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale (Cass., Sez. 2, 06/08/2004, n. 15145; Cass., Sez. 2, 11/06/2010, n. 14092; Cass., Sez. 2, 27/09/2017, n. 22667).
Quest’ultimo principio non può però trovare applicazione alla specie, come preteso dai ricorrenti, atteso che la Corte territoriale con apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità in quanto giustificato da motivazione esente da vizi logici e giuridici – ha ritenuto che gli attori non avessero fornito la prova del possesso ultraventennale, in quanto le circostanze allegate (ossia l’uso della strada e la sua manutenzione) non erano idonee a dimostrare l’intenzione di escludere in modo assoluto il possesso ad altri e, soprattutto, al proprietario, evidenziando come l’ animus excludendum avrebbe potuto trovare la sua dimostrazione dalla installazione del cancello, che però era avvenuta soltanto nel 2012, senza che si fosse compiuto l’arco temporale ventennale.
E’, dunque, evidente che i giudici, ancorché abbiano fatto riferimento, nel prosieguo dell’argomentazione, all’elemento soggettivo del possesso, stessero in realtà discorrendo dell’aspetto oggettivo, come può arguirsi dai precedenti richiami alla non inequivocità, ai fini voluti, delle attività poste in essere dagli appellanti sulla strada e alla loro inidoneità a far presumere il loro svolgimento quali proprietari e dalla successiva considerazione secondo cui soltanto la chiusura della strada col cancello avrebbe potuto costituire, in concreto, la più rilevante dimostrazione dell’intenzione del possessore di esercitare sul bene immobile una relazione materiale configurabile in termini di ius excludendi alios e, dunque, di possesso come proprietario attraverso l’esclusione dei terzi da qualsiasi relazione di godimento con il cespite predetto, conformemente a quanto affermato in più occasioni da questa Corte (per tutte Cass., Sez. 2, 20/01/2022 , n. 1796).
Né tali considerazioni possono essere sindacate in questa sede, atteso che la valutazione delle prove raccolte costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione e in particolare che l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata al giudice di legittimità solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/10/2018, n. 27415).
In ragione di quanto detto deve escludersi la fondatezza della censura.
3.1 Con il terzo motivo, si lamenta, infine, la violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame col quale era stato evidenziato che la natura giuridica della strada interpoderale, come definita dallo stesso attore, era indicativa della proprietà comune della stessa tra tutti i fondi latistanti, restando indifferente il dato catastale offerto a dimostrazione della sua proprietà esclusiva, che, peraltro, poteva dirsi esclusa sia in quanto la strada era inaccessibile dal fondo attoreo, stante la presenza di una folta vegetazione e di un importante dislivello, sia in quanto il fondo era servito da un altro accesso.
3.2 Il terzo motivo è infondato.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, allorché la domanda sia ovviamente ammissibile, non conseguendo in tal caso l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass., Sez. 5, 16/7/2021, n. 20363), integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n.4, cod. proc. civ. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (Cass., Sez. L, 13/10/2022, n. 29952; Cass., Sez. 5, 31/7/2024, n. 21444).
Essendo stato dedotto un error in procedendo , il sindacato di questa Corte investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass., Sez. 1, 30/07/2015, n. 16164; Cass., 21/04/2016, n. 8069; Cass., Sez. 2 , 13/08/2018, n. 20716).
Orbene, si legge nell’atto di appello che i ricorrenti avevano in quella sede lamentato l’erroneità in diritto della sentenza impugnata, in quanto aveva disposto la rimozione del cancello, senza considerare che la stessa deduzione dell’attore circa la natura interpoderale della strada avrebbe dovuto condurre a reputare la stessa di proprietà comune dei fondi latistanti e in consecuzione e, quindi, non solo dell’attore, ma anche dei convenuti, godendone quei soggetti iure condomini (comproprietari) e non iure servitutis , e che il dato catastale, unicamente allegato dall’attore a comprova del proprio diritto, non era sufficiente di per sé a dimostrare la proprietà in via esclusiva della strada in capo ad esso, a nulla rilevando, peraltro, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ., trattandosi di questione di diritto e non di fatto.
Ebbene, i giudici di merito non hanno affatto omesso di pronunciarsi su tale questione, avendo affermato che, al di là del rilievo sulla novità della questione, sollevato dall’appellato, comunque, in caso di comproprietà, la prova dello ius excludendi sarebbe stata ancora più rigorosa, poiché avrebbe dovuto dimostrare l’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus , non essendo sufficiente, come osservato da questa Corte, il compimento di atti di gestione della cosa comune consentiti al singolo compartecipe o di atti tollerati o di atti che,
comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non potevano dar luogo a una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altri compossessore.
Né può dirsi omessa la questione afferente la prova del titolo di proprietà in capo all’attore, atteso che i giudici, dopo avere affermato che questo risultava dalla planimetria rilasciata dall’Ufficio territoriale del territorio e dalla relazione del geom. COGNOME hanno ulteriormente considerato pacifica tra le parti la proprietà formale in capo ad esso, non essendo state le predette risultanze documentali contestate.
Avendo pertanto i giudici preso esplicita posizione sulla questione, deve escludersi la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del primo e l’infondatezza del secondo e del terzo motivo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì i ricorrenti, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 1.500,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 08/05/2025.