Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27169 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 27169  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9828/2021 R.G. proposto da:
COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME,  gli ultimi due anche quali eredi di COGNOME NOME, deceduta nel corso del giudizio di legittimità, elettivamente domiciliati in ROMAINDIRIZZO ,  nello  studio  dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Sindaco  pro  tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli AVV_NOTAIOti  NOME  COGNOME,  NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  2469/2020 della  CORTE  D’APPELLO  di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 02/10/2020; udita la relazione della causa svolta dal Consigliere AVV_NOTAIO
NOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 1159 bis c.c. COGNOME NOME evocava in giudizio il RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE  innanzi  il  Tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE, invocando l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione di un terreno.
Si costituiva il RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di estendere il contraddittorio nei riguardi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, ed invocando il rigetto della domanda attorea e la condanna, in via riconvenzionale, dell’attore e dei terzi chiamati alla restituzione de l terreno da loro occupato sine titulo , ed al pagamento della correlata indennità di  occupazione ed al risarcimento del  danno derivante dall’abbattimento di alcuni alberi.
Veniva autorizzata l’estensione del contraddittorio e si costituivano i terzi chiamati, aderendo alla tesi difensiva dell’originario attore.
Con sentenza n. 2121/2019, dopo aver trasformato il rito da sommario in ordinario, il Tribunale rigettava la domanda principale di  usucapione  e  quella  riconvenzionale  risarcitoria,  accogliendo invece  la  riconvenzionale  di  restituzione  e  condannando  quindi COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME a restituire al RAGIONE_SOCIALE il terreno da essi occupato senza titolo.
Con la sentenza impugnata, n. 2469/2020, la Corte di Appello di  RAGIONE_SOCIALE  rigettava  il  gravame  interposto  dagli  originari  attori avverso  la  decisione  di  prime  cure,  confermandola.  La  Corte
distrettuale evidenziava che l’area oggetto di causa era stata oggetto di esproprio, e che l’occupazione di urgenza e l’immissione nel possesso del bene, da ultimo con provvedimento del 1987, dimostrava lo spossessamento degli odierni ricorrenti. Inoltre, l’intervenuto esproprio dell’area, secondo il giudice di merito, dimostrava la proprietà della stessa in capo all’ente locale, anche perché tutti e tre gli odierni ricorrenti avevano definito, all’esito della procedura ablativa, i loro rapporti con l’autor ità espropriante, sottoscrivendo in data 14.9.1988 un atto di cessione sostitutivo dell’esproprio, a rogito del AVV_NOTAIO, rep. 488, con il quale il bene oggetto di causa era stato volontariamente ceduto a RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, secondo la Corte distrettuale non era stato dimostrato alcun atto di interversione della mera detenzione del fondo in possesso, anche perché il bene era stato recintato soltanto nel 1990, data a partire dalla quale non si era compiuto il tempus prescritto per l’usucapione, al momento dell’introduzione della domanda in prime cure. Ancora, il giudice di merito accertava che l’area era stata inclusa in un piano di zona consortile per edilizia economica e popolare, con delibera del 18.10.1977, con conseguente ingresso della stessa nel patrimonio indisponibile del consorzio per tutta la durata di efficacia del predetto piano, fissata ex lege n. 457 del 1978 in 18 anni prorogabili di altri 2, con definitiva cessazione della destinazione di cui anzidetto alla data del 18.10.1997, allorquando il terreno era stato ceduto da RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE. Né dal 1990 (data della recinzione dell’area), né dal 1997 (data di cessazione dell’efficacia del vincolo di destinazione della stessa) si era compiuto, prima del 4.8.2004 –
data  di  introduzione  della  domanda -il  periodo  prescritto  dalla legge ai fini dell’usucapione.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
A seguito del decesso di COGNOME NOME, sono intervenuti nel presente  giudizio  di  legittimità  gli  eredi,  COGNOME  NOME  e  COGNOME NOME (quest’ultimo, già parte del giudizio perché ricorrente).
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 2359 del 1865, 1158, 1159  bis  c.c.,  115  e  116  c.p.c.,  in  relazione  all’art.  360,  primo comma,  n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’atto di esproprio fosse idoneo ex se a trasferire il possesso dell’area in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
La censura è infondata.
La Corte di Appello non ha valorizzato, ai fini della perdita del possesso  del  bene  da  parte  degli  odierni  ricorrenti,  la  sola circostanza che lo stesso fosse stato oggetto di esproprio, ma ha rilevato che vi era stata l’occupazione di urgenza e l’immissio ne nel possesso  dell’area,  e  che  inoltre  gli  odierni  ricorrenti  avevano definito ogni rapporto derivante dalla predetta procedura ablativa addivenendo ad una cessione volontaria della proprietà del suolo.
Tutti tali elementi, non adeguatamente attinti dalla censura, sono più  che  idonei  a  dimostrare  lo  spossessamento  degli  odierni
ricorrenti,  in  quanto  il  compimento  dell’immissione  in  possesso formale del bene a favore della RAGIONE_SOCIALEA. fa sorgere una vera e propria presunzione di impossessamento dell’immobile da parte di quest’ultima e, al contempo, esonera il proprietario espropriato dall’onere di provare l’avvenuto spossessamento dell’area  (cfr.  Cass.  Sez. 1, Ordinanza n. 11428 del 02/05/2023, Rv. 667747).
Non si configura, inoltre, alcuna violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dovendosi ribadire, al riguardo, che ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consen tita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c., va ribadito che ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria
(come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021, Rv. 661360). Poiché nella specie il giudice di merito non ha attribuito ad una prova una valenza diversa da quella che la legge prevede, né ha operato una inversione dell’onere della prova, o ha deciso sulla base di elementi non addotto dalle parti, ma si è limitato ad interpretare il compendio istruttorio, alcuna violazione sussiste.
Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione degli artt. 13 della legge n. 2359 del 1865, 9 della legge n. 167 del 1962, 38 della legge n. 865 del 1971, 51 della legge n. 457 del 1878, 828, 830, 1158 e 1159 bis c.c., 12 delle Preleggi e 115 e 116 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che il piano di edilizia economica e popolare era decaduto, con conseguente venir meno degli effetti della connessa dichiarazione di pubblica utilità. Il terreno, quindi, non sarebbe entrato nel patrimonio indisponibile del RAGIONE_SOCIALE prima, e del RAGIONE_SOCIALE poi, e sarebbe stato pertanto usucapibile a far data dal 28.4.1991.
La censura è inammissibile.
Fermo quando già esposto in occasione del precedente motivo, relativamente all’insussistenza del vizio di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., va osservato che in ogni caso, anche qualora il terreno fosse stato usucapibile a far data dal 28.4.1991, il termine utile per usucapire non si sarebbe comunque compiuto al momento dell’introduzione della domanda (4.8.2004). Ne consegue la carenza di interesse al motivo in esame, in quanto dal suo eventuale accoglimento non potrebbe comunque derivare il riconosci mento dell’usucapione invocata dalla parte ricorrente, in difetto del requisito del tempus .
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1159 bis, 2135 c.c. e 2 della legge n. 346 del  1976,  in  relazione  all’art.  360,  primo  comma,  n.  3,  c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe escluso la sussistenza dei requisiti per l’usucapione della cd.  p iccola proprietà rurale, trattandosi di fondo urbano, inserito in un progetto di edificazione di  alloggi  per  edilizia  economica  e  popolare  e  destinato  a  verde pubblico.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello, oltre ad aver accertato che il terreno era inserito in un progetto di edilizia economica e popolare e destinato a verde pubblico, ha anche evidenziato che la coltivazione dello stesso, ad opera degli odierni ricorrenti, aveva carattere ‘meramente ancillare’ rispetto all’attività di pompe funebri dagli stessi esercitata. Difettava quindi, secondo l’accertamento operato dalla Corte distrettuale, tanto il requisito della natura di imprenditore agricolo del soggetto che materialmente coltivava l’area, quanto l’autonoma destinazione produttiva di quest’ultima,
trattandosi piuttosto, in concreto, di coltivazione di fiori strumentale  all’attività  commerciale  effettivamente  gestita  dagli odierni ricorrenti.
Tale accertamento, risolventesi in una valutazione dei fatti e delle prove, viene attinto dalla parte ricorrente mediante la contrapposizione di una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014,
Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016,  Rv.  641328  e  Cass.  Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
La statuizione della Corte di Appello, peraltro, è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Per l’applicazione dell’usucapione speciale di cui all’art. 1159-bis c.c. -introdotta dalla legge n. 346 del 1976 con la finalità di incoraggiare lo sviluppo e salvaguardare il lavoro agricolo -non è sufficiente che il fondo sia iscritto nel catasto rustico, ma è necessario che esso, quanto meno all’atto dell’inizio della possessio ad usucapionem, sia destinato in concreto all’attività agraria, atteso che tale usucapione può avere ad oggetto soltanto un fondo rustico inteso come entità agricola ben individuata ed organizzata, che sia destinata ed ordinata a una propria vicenda produttiva. Ne consegue che l’art. 1159-bis c.c. non è applicabile, né in via analogica, trattandosi di norma eccezionale rispetto a quella di cui all’art. 1158 c.c., né in base ad un’interpretazione estensiva, tenuto conto delle finalità perseguite dal legislatore, qualora il possesso protratto venga dedotto ai fini dell’acquisizione di limitate superfici, ancorché facenti parti di maggiori fondi coltivati o coltivabili siti in zone montane, che non siano di per sé idonee a costituire un’autonoma unità produttiva’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8778 del 13/04/2010, Rv. 612665; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20451 del 28/08/2017, Rv. 645104). L’esercizio di una attività di coltivazione ritenuta ‘ancillare’ alla prevalente attività imprenditoriale svolta dai ricorrenti, dunque, non è sufficiente ai fini della possibilità di
ricorrere  all’istituto  dell’usucapione  cd.  speciale  prevista  per  la piccola proprietà rurale.
Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza  per  vizio  della  motivazione  e  violazione  dell’art.  132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe rigettato il gravame interposto avverso la  decisione  di  prime  cure  dagli  odierni  ricorrenti  sulla  base  di documenti fotografici non identificati in modo preciso.
La censura è inammissibile.
Come già evidenziato, la Corte di Appello ha escluso l’usucapibilità del cespite oggetto di causa sino ad una certa data ed ha di conseguenza ravvisato il mancato conseguimento della prova del requisito del tempus possessionis . Per pervenire a tale conclusione, il giudice di merito ha valorizzato tanto l’avvenuto esproprio del suolo, quanto l’immissione nel relativo possesso, quanto la conclusione di un atto di cessione volontaria, da parte degli odierni ricorrenti, che, infine , l’insussistenza dei presuppo sti oggettivi e soggettivi per l’applicazione dell’invocata usucapione speciale ex art. 1159 bis c.c. La decisione di rigetto della domanda, dunque, non è stata affatto motivata soltanto dal generico riferimento a documentazioni fotografiche, ma è fondata sulla scorta di un complessivo apprezzamento del fatto e delle prove. La motivazione della sentenza impugnata non è quindi viziata da apparenza, né manifestamente illogica, è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’ iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830,
nonché,  in  motivazione,  Cass.  Sez. U, Ordinanza n.  2767  del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il  quinto  ed  ultimo  motivo,  infine,  viene  contestata  la violazione  o  falsa  applicazione  dell’art.  116  c.p.c.,  in  relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente valutato le risultanze dell’istruttoria.
La censura è inammissibile per le medesime considerazioni esposte in relazione allo scrutinio del primo e del secondo motivo, non potendosi configurare, nell’attività di apprezzamento del fatto e  delle  prove  operata  dalla  Corte  territoriale,  alcuna  violazione dell’art. 116 c.p.c.
In conclusione, il ricorso dev ‘ essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art.  13,  comma 1-quater ,  del  D.P.R.  n.  115  del  2002 -della sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento  di  un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  la  parte  ricorrente  al pagamento,  in  favore  di  quella  controricorrente,  delle  spese  del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 2.700, di cui € 200 per esborsi,  oltre  rimborso  delle  spese  generali  nella  misura  del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Dà  atto,  ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1-quater  D.P.R.  n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 01 ottobre 2025
Il Presidente NOME COGNOME