Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33939 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33939 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20616/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1442/2023 depositata il 29/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere la condanna dei convenuti al ripristino dello stato dei luoghi ed in particolare all’eliminazione del portone apposto a delimitazione dello spazio comune, nonché allo spostamento e ricostruzione della parete che divide i due sottotetti nella posizione originariamente esistente così da restituire agli attori la superficie di circa mq. 3 illegittimamente occupata a loro danno
I convenuti, in via riconvenzionale, chiedevano di dichiarare in loro favore la proprietà del vano sottotetto rivendicato dagli attori, perché adiacente a quello di proprietà sempre dei convenuti, avente funzione di isolamento e coibentazione dell’appartamento di loro proprietà.
In subordine, i convenuti chiedevano di accertare che il locale sottotetto rivendicato dagli attori era parte comune dell’edificio ex art. 1117 c.c. alla luce della sua vocazione strutturale e funzionale.
Il Tribunale accoglieva la domanda di rivendica proposta da parte attrice, accertava la proprietà in capo agli attori del locale sottotetto; rigettava tutte le domande riconvenzionali proposte dai convenuti; rigettava la domanda proposta dagli attori di condanna dei convenuti allo ‘spostamento e ricostruzione della parete di divisione dei due sottotetti nella posizione originariamente esistente’; accoglieva la domanda proposta dagli attori e, per l’effetto, condannava i convenuti indicati in epigrafe, in solido tra loro, alla rimozione a loro cura e spese del portone meglio descritto in parte motiva posto al terzo piano del fabbricato sito in Altavilla Irpina (AV) al INDIRIZZO
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistevano all’impugnazione .
La Corte d’Appello accoglieva in parte il gravame e in parziale riforma della sentenza predetta, rigettava la domanda di NOME COGNOME e NOME COGNOME di accertamento, in loro favore, dell’acquisto della proprietà del locale denominato ‘sottotetto’, al terzo piano del fabbricato in Altavilla Irpina, INDIRIZZO e ne dichiarava la proprietà condominiale.
La Corte d’Appello, per quel che ancora rileva, rigettava il motivo relativo alla domanda di usucapione del sottotetto perché non si era raggiunta la prova del possesso. Dalla relazione di c.t.u. si ricavava che l’ambiente sottotetto del quale NOME COGNOME e NOME COGNOME affermava no l’usucapione era privo di una porta di accesso, quanto meno dall’impianto catastale e fino alla data del completamento dei lavori del fabbricato, quella del 20.12.1991.
Si trattava, dunque, di un ambiente inaccessibile e destinato ad una funzione ‘tecnica’, quella di intercapedine isolante tra la sommità dell’edificio e la copertura .
La porta di ingresso esistente era stata verosimilmente realizzata soltanto durante i lavori di ristrutturazione (terminati nell’anno 1991) e ciò comporta va che non era maturato il ventennio utile per l’usucapione, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME fino all’introduzione del giudizio avanti al Tribunale di Avellino, avvenuta con la notifica dell’atto di citazione in data 17.11.2009, nell’ambito del quale NOME COGNOME, NOME COGNOME
e NOME COGNOME avevano interrotto l’eventuale usucapione con la loro domanda riconvenzionale.
In altri termini, il possesso uti dominus , vantato da NOME COGNOME e NOME COGNOME non aveva potuto iniziare prima del 20.12.1991 e, correlativamente, non aveva potuto indurre il perfezionamento dell’acquisto del diritto per usucapione per non essersi maturato il ventennio (art. 1158 cod. civ.) prima dell’inizio del giudizio avanti al Tribunale di Avellino.
Non valeva a dimostrare il possesso ad usucapionem del vanosottotetto la mera disponibilità delle chiavi di accesso, da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME, atteso che anche tale disponibilità era insorta al momento dell’installazione della porta, dopo l’esecuzione dei lavori ex lege 219/81, quindi alla data del 20.12.1991. Non era ipotizzabile, infatti, il possesso delle chiavi prima del montaggio della porta.
Nemmeno la prova testimoniale forniva elementi decisivi e certi, in funzione dell’accertamento dell’usucapione.
La Corte, peraltro, evidenziava che NOME COGNOME e NOME COGNOME, a fronte del dato oggettivo e documentale della mancanza di qualsivoglia varco di accesso al sottotetto, prima del 1991, non si erano curati di fornire alcun elemento contrario di prova, diretto a dimostrare che, invece, l’ambiente era da loro accessibile ed in quale maniera, né semplicemente di allegare un diverso stato dei luoghi (con una qualche porta di accesso) rispetto all’origi naria planimetria catastale ed a quella post operam , ove il vano compare assolutamente occluso
La domanda, articolata in via subordinata, con la quale NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano chiesto
‘…dichiarare il vano oggetto di causa, adiacente a quello già di proprietà dei convenuti, parte comune dell’edificio ex art. 1117 c.c.’ era fondata per la natura del vano.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, i ricorrenti a mezzo del difensore i ricorrenti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt . 115 e 116 c.p. c., in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 5, c.p.c., -omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il giudice di merito ha ritenuto che il sottotetto oggetto di rivendica non fosse accessibile ed è giunto a tale conclusione omettendo di considerare, senza motivare tale scelta, la testimonianza resa dal teste NOME COGNOME indicato da controparte e travisando completamente le risultanze cui è pervenuto il CTU.
La sentenza, dunque, sarebbe basata su di una motivazione apparente e obiettivamente incomprensibile.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 111 , comma 6, Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art 360 , primo comma, n. 4, c.p.c.
Il Giudice di merito avrebbe omesso, senza motivazione alcuna, l’esame della dichiarazione testimoniale del teste di parte convenuta, geom. COGNOME COGNOME il quale ha riferito che i Rossi accedevano liberamente al sottotetto e avrebbe, inoltre, travisato le argomentazioni del CTU, giungendo incomprensibilmente ad affermare l’inesistenza di un accesso al locale sottotetto, ipotesi questa non confermata dal Consulente d’ufficio .
La motivazione, dunque, sarebbe apparente proprio perché fondata sul travisamento del contenuto della CTU, omettendo di valutare prove ritualmente acquisite con conseguente violazione delle norme richiamate che impongono la motivazione effettiva dei provvedimenti giudiziari.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art 360 c.p.c., primo comma, n. 3 –
La Corte di Appello non avrebbe posto a fondamento della decisione i fatti costitutivi non specificamente contestati (possesso da parte dei Rossi del sottotetto), ma argomentazioni dedotte da un travisamento della CTU.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: «1° motivo: inammissibile. L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio – atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi, fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente (Sez. 3, n. 12387 del 24 giugno 2020).
Inoltre, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non
incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
2° motivo: inammissibile. E’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
3° motivo: inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020)».
I ricorrenti con la memoria depositata in prossimità dell’udienza insist ono nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni ivi dedotte, tenuto conto anche delle conclusioni della proposta, ribadiscono che la testimonianza del geometra NOME COGNOME parente dei convenuti è stata del tutto ignorata. Questi su domanda del giudice istruttore, all’udienza del 7.11.2011 ha dichiarato i Sigg.ri COGNOME avevano libero accesso al sottotetto e che c’era un cancello ma era aperto.
Tale dichiarazione inficerebbe anche la motivazione in ordine alla non credibilità delle altre dichiarazioni testimoniali.
Infine, risulterebbe violato anche il principio di non contestazione.
Il ricorso è infondato.
6.1 La memoria dei ricorrenti non offre argomenti tali da consentire di modificare le conclusioni di cui alla proposta di definizione accelerata.
I ricorrenti richiamano la dichiarazione del geometra COGNOME e la consulenza tecnica.
La Corte d’Appello, in proposito, ha evidenziato che NOME COGNOME e NOME COGNOME, a fronte del dato oggettivo e documentale della mancanza di qualsivoglia varco di accesso al sottotetto, prima del 1991, non si erano curati di fornire alcun elemento contrario di prova, diretto a dimostrare che, invece, l’ambiente era da loro accessibile ed in quale maniera, né semplicemente di allegare un diverso stato dei luoghi (con una
qualche porta di accesso) rispetto all’originaria planimetria catastale ed a quella post operam , ove il vano compare assolutamente occluso.
Il fatto che il consulente abbia risposto ai chiarimenti dichiarando di non poter stabilire se la porta di accesso al vano sottotetto esisteva al momento dei lavori nel 1991 è indice del mancato assolvimento dell’onere probatorio a loro carico.
Pertanto, deve confermarsi quanto indicato in proposta ovvero che è inammissibile la doglianza circa il fatto che il giudice del merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Infatti, in riferimento alle dichiarazioni del geometra NOME COGNOME non sussiste il dedotto vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in quanto il ricorrente, con la suddetta censura tende in realtà ad una rivalutazione in fatto della vicenda mediante una diversa lettura delle fonti di prova complessivamente considerate. Deve richiamarsi in proposito il seguente principio di diritto: «L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite
che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata». (Sez. 1, Sent n. 16056 del 2016).
Quanto al principio di non contestazione esso non può riguardare un fatto storico che l’istruttoria ha accertato inesistente come il possesso degli attori del sottotetto. Peraltro, può aggiungersi che una volta affermata la natura condominiale del sottotetto, la prova dell’usucapione doveva essere tale da dimostrare che gli attori godevano del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui . La Corte, infatti, non si è limitata a rilevare l’inaccessibilità al vano ma ha anche affermato che si trattava di un ambiente destinato ad una funzione ‘tecnica’, quella di intercapedine isolante tra la sommità dell’edificio e la copertura.
In proposito può richiamarsi il seguente principio di diritto: Il sottotetto di un edificio che assolva all’esclusiva funzione di isolare i vani dell’alloggio ad esso sottostanti, si pone con essi in rapporto di dipendenza e protezione, così da non poter esserne separato senza che si verifichi l’alterazione del rapporto di complementarietà dell’insieme, con la conseguenza che, non potendo essere utilizzato separatamente dall’alloggio sottostante cui accede, non è configurabile il possesso “ad usucapionem” dello stesso da parte del proprietario di altra unità immobiliare (Sez. 2, Ordinanza n. 6114 del 24/02/2022, Rv. 663799 – 01). Nello stesso senso deve richiamarsi anche il seguente principio di diritto: il condomino può
usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso; a tal fine, però, non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall’uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di avere goduto del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire (Sez. 2, Ordinanza n. 17322 del 23/07/2010, Rv. 614231 – 01).
Nella specie, dunque, i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare di aver effettuato lavori tali da mutare la natura del sottotetto per sottrarlo alla sua funzione utilizzandolo come spazio abitativo loro esclusivo e per un periodo utile a maturare l’usucapione.
In conclusione, deve ribadirsi che la valutazione circa la sussistenza o meno dell’ animus possidendi e del corpus possessionis – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art.
380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna altresì i ricorrenti, in solido tra loro , ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, in favore di ciascuna della parte controricorrente, della ulteriore somma determinata equitativamente in euro 2.000,00, nonché ex art. 96, quarto comma, c.p.c. al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda