Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28285 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28285 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24256-2022 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in proprio e quali eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO
DARDANELLI n. 46, nello studio dell’AVV_NOTAIO , che li rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 323/2022 della CORTE DI APPELLO di PERUGIA, depositata il 22/06/2022;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Terni, invocando l’accertamento dell’inesistenza del suo diritto di transito su una corte ed una scala esterna all’abitazione dell’attore, insistenti sulla particella n. 132 del locale catasto; nonché il regolamento del confine tra i fondi delle parti, in relazione alla strada interpoderale giacente sulla ridetta particella n. 132.
Si costituiva in giudizio il convenuto, resistendo ad entrambe le domande e spiegando domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di transito sulla corte e la scala insistenti sulla particella n. 132.
Con sentenza n. 369/2011 il Tribunale rigettava l’istanza di regolamento del confine, per assenza del requisito dell’incertezza, ed accoglieva la domanda riconvenzionale, dichiarando esistente la servitù di transito, a favore del fondo del convenuto, sulla corte e la scala di cui anzidetto.
Interponeva appello avverso detta decisione l’originario attore e la Corte di Appello di Perugia, nella resistenza del convenuto, rigettava il gravame con sentenza n. 270/2014, applicando il principio secondo cui l’esercizio prolungato nel tempo di un diritto di passaggio non è compatibile con una ipotesi di tolleranza.
Con sentenza n. 15183/2019 la Corte di Cassazione cassava la predetta decisione, osservando che il criterio applicato dalla Corte distrettuale non poteva essere utilmente invocato in presenza di rapporti parentali o affini tra le parti.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 232/2022, la Corte di Appello di Perugia, in sede di rinvio, rigettava la domanda di regolamento del confine, per assenza del requisito della sua incertezza, ed accoglieva la domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di servitù di passaggio sulla corte e la scala insistenti sulla particella n. 132, a favore del fondo già di proprietà di COGNOME NOME.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, deceduto nel corso del giudizio, affidandosi a sei motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti eredi di COGNOME NOME, deceduto nel corso del giudizio, e COGNOME NOME, spiegando in via incidentale querela di falso in relazione alle sottoscrizioni apposte in calce alla procura speciale depositata dalla parte ricorrente per il presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va esaminata la querela di falso proposta, in via incidentale, da parte controricorrente. Essa, pur essendo astrattamente ammissibile, in quanto concernente un atto interno del giudizio di legittimità, e nello specifico la procura speciale utilizzata da parte ricorrente per la proposizione del ricorso (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2343 del 29/01/2019, Rv. 652660 ; conf. Cass. Sez. 5,
Ordinanza n. 24846 del 06/11/2020, Rv. 659694) va dichiarata inammissibile, perché proposta da un difensore sfornito del necessario potere. Va data continuità, al riguardo, al principio secondo cui ‘La procura speciale alle liti, conferita ai sensi dell’art. 83, comma 3, c.p.c. è idonea ad attribuire il potere di proporre querela di falso anche in via incidentale, purché dalla stessa sia desumibile l’attribuzione di detto potere e la medesima rechi l’espressa indicazione dell’attività da compiere’ (Sez. 6 -1, Ordinanza n. 1058 del 21/01/2021, Rv. 660409). Soltanto quando la querela sia proposta in via principale, infatti, può presumersi che la procura, rilasciata in calce o a margine del relativo atto di citazione, contenga l’attribuzione dello specifico potere di proporre l’azione, ‘… dato che non può -in virtù del principio della inscindibilità della procura dall’atto in calce o a margine del quale è apposta- sollevarsi alcun dubbio in ordine alla manifestazione della volontà della parte di proporre querela e di conferire al procuratore speciale il relativo potere, non essendo individuabile una diversa domanda, e tenuto conto anche del criterio ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. (principio di conservazione del negozio)’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20415 del 20/09/2006, Rv. 594140; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21941 del 25/09/2013, Rv. 628298; cfr . anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16919 del 19/08/2015, Rv. 636466). Poiché nel caso di specie la querela non è proposta in via principale, ma incidentalmente, con il controricorso, e la procura spesa dagli odierni controricorrenti contiene il conferimento del mandato difensivo con ‘… ogni e più ampio potere all’uopo’ , senza alcuna menzione dello specifico potere di proporre la querela predetta, essa va dichiarata inammissibile.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 384 e
394 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe rispettato il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, operando una distinzione tra due diversi periodi dell’esercizio del diritto di transito oggetto di causa che mai era stata proposta nel corso del giudizio di primo e secondo grado. In tal modo, il giudice del rinvio avrebbe deciso senza rispettare la natura di giudizio chiuso che contraddistingue la fase successiva alla decisione di cassazione con rinvio.
Con il secondo motivo, invece, si dolgono della violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe deciso sulla base di una allegazione mai proposta dalla parte interessata, ipotizzando una distinzione tra due periodi dell’esercizio del transito, prima e dopo la tutela possessoria attivata dal dante causa degli odierni ricorrenti nel 2002.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
La Corte di Appello ha dato atto che la Corte di Cassazione aveva cassato la decisione di seconde cure perché essa aveva applicato alla fattispecie il principio secondo cui il prolungato esercizio del diritto di transito non è compatibile con la tolleranza del titolare del fondo servente, senza considerare i rapporti di parentela esistenti tra le parti. Il giudice del rinvio ha dunque proceduto, sulla base del dictum della Corte di legittimità ed in perfetta aderenza al principio di diritto da essa affermato, ad esaminare nel merito la domanda riconvenzionale di usucapione, proposta a suo tempo dal dante causa degli odierni controricorrenti, ritenendo, sulla base delle stesse allegazioni del dante causa degli odierni ricorrenti, il quale aveva dedotto che alla sua iniziale tolleranza del transito aveva poi fatto seguito una opposizione, temporalmente collocabile all’inizio degli anni ’80, confermate dai
testimoni escussi, che già nel momento il cui li COGNOME NOME aveva attivato la tutela possessoria, nel 2002, l’acquisto del diritto reale per usucapione si fosse maturato (cfr. pagg.10 e ss. della sentenza impugnata).
La Corte distrettuale, dunque, ha configurato l’iniziale tolleranza del COGNOME NOME, visti i rapporti di stretta parentela esistenti tra le parti, ma ha poi ritenuto che essa si fosse tramutata, appunto all’inizio degli anni ’80, in una opposizione, a seguito di dissidi familiari riferiti dai testimoni escussi. Ha quindi ravvisato la sussistenza di un possesso utile ad usucapionem a partire dal 1980, valorizzando la decisiva circostanza che l’unico accesso praticabile all’appartamento degli odierni controricorrenti era quello attraverso la corte e la scala insistenti sulla particella n. 132, come confermato dal C.T.U. (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). In tal modo il giudice del rinvio non si è affatto discostato dal dictum della Corte di Cassazione, ma si è limitato a riesaminare la fattispecie, proprio alla luce del principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente, ravvisando l’iniziale tolleranza legata ai rapporti familiari esistenti tra le parti, ma ritenendo che essa fosse stata poi superata dall’opposizione al passaggio dichiarata dallo stesso COGNOME NOME nei suoi scritti difensivi. Non vi è dubbio, al riguardo, che le dichiarazioni della parte possano -anzi, debbanoessere utilizzate dal giudice, ove esse confermino (come nella fattispecie) la fondatezza delle tesi avversarie. Al riguardo, va data continuità al principio secondo cui ‘Nel vigente ordinamento processuale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati pacifici -e quindi possono essere posti a fondamento della decisione- quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando questa pur non avendoli espressamente contestati abbia tuttavia assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la
loro negazione, così implicitamente ammettendone l’esistenza’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13830 del 23/07/2004, Rv. 575668; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2699 del 12/02/2004, Rv. 570065; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1475 del 30/01/2003, Rv. 560184; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10482 del 01/08/2001, Rv. 548652).
Né si configura alcun vizio processuale nell’operato del giudice del rinvio, il quale non si è pronunciato su una domanda o eccezione non proposta dalla parte interessata, ma si è limitato ad interpretare le risultanze delle dichiarazioni delle parti e dei testimoni escussi, ricostruendo i fatti di causa nei termini di cui alla motivazione della decisione oggi impugnata.
Gli odierni ricorrenti contrappongono, a tale lettura del fatto e delle prove, una ricostruzione alternativa delle risultanze di causa, trascurando tuttavia che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le
deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Con il terzo motivo, i ricorrenti contestano la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe ravvisato l’esistenza di un atto di interversione del possesso mai dedotto, né dimostrato, dalla parte interessata, valorizzando erroneamente le dichiarazioni rese dall’originario attore, il quale si era limitato a contestare la sussistenza dei presupposti del possesso utile ad usucapionem del diritto di servitù di passaggio rivendicato dal dante causa degli odierni controricorrenti.
La censura è infondata.
Come già affermato in relazione allo scrutinio dei primi due motivi di ricorso, il giudice di merito non solo può, ma deve tener conto delle dichiarazioni delle parti, contenute nei rispettivi scritti difensivi, e considerare dimostrare le circostanze non specificamente contestate, o addirittura espressamente ammesse, dalla parte che avrebbe avuto interesse a contestarle. Nel caso di specie, come detto, COGNOME NOME, dante causa degli odierni ricorrenti, aveva dichiarato che alla sua iniziale tolleranza del transito si era sostituita una opposizione, ed i testimoni hanno confermato che tale mutamento era collocabile all’inizio degli anni ’80. Il giudice del rinvio, quindi, ha ritenuto che l’esercizio del possesso utile ad usucapionem a decorrere dalla data
suindicata fosse confermato dalle dichiarazioni del COGNOME NOME, che aveva dedotto di aver mutato l’originaria tolleranza del transito, sulla base dei rapporti familiari esistenti, in opposizione al suo esercizio, riscontrate dai testimoni, che avevano riferito di dissidi familiari risalenti all’inizio degli anni ’80, e dagli accertamenti eseguiti in loco dal C.T.U., che aveva dichiarato che l’unico accesso all’abitazione degli odierni controricorrenti era quello esercitato mediante la corte e la scala oggetto di causa.
Con il quarto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1061, 2697, 2909 c.c. e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’apparenza della servitù oggetto di causa, in relazione alla quale era stato proposto un motivo di ricorso in cassazione, dichiarato assorbito dalla sentenza rescindente, confondendo il concetto di opera funzionale al transito con quello di opera univocamente destinata all’esercizio della servitù. Ad avviso degli odierni ricorrenti, inoltre, la questione della natura, apparente o meno, della servitù non avrebbe dovuto essere indagata dal giudice del rinvio, a seguito dell’assorbimento del relativo motivo operato dalla Corte di Cassazione, perché sul punto non sarebbe stato proposto un motivo di gravame avverso la decisione di primo grado.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto di escludere la natura non apparente della servitù di cui si discute, ravvisando la sussistenza, nella fattispecie, di opere obiettivamente destinate al suo esercizio (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). L’affermazione è da mettere in correlazione con la circostanza, parimenti accertata dal giudice del rinvio, sulla base degli esiti della C.T .U., che ‘… l’accesso al primo piano dell’abitazione di proprietà degli eredi del COGNOME NOME è obbligato
attraverso la proprietà degli eredi del COGNOME NOME, di cui alla part. 132, e, più nello specifico, attraverso la scala esterna’ (cfr . pag. 9 della sentenza impugnata). E’ evidente che, in presenza di un solo accesso alla proprietà degli odierni controricorrenti, attraverso la corte e la scala oggetto di causa, queste ultime costituiscono opere necessariamente preposte all’esercizio del transito, appunto obbligato e quindi necessario, onde la loro mera esistenza dimostra la natura apparente, e dunque l’usucapibilità, della servitù di passaggio oggetto di causa. Né vi è dubbio sul fatto che l’esistenza di dette opere sia idonea a spiegare effetti sulla natura, apparente o meno, della servitù, e che il correlato tema costituisse oggetto necessitato del giudizio di rinvio: a seguito della dichiarazione di assorbimento del motivo concernente la natura del diritto oggetto di causa, operato dalla Corte di Cassazione, la Corte distrettuale era specificamente tenuta ad esaminare la questione. Infatti ‘Incorre nel vizio di omessa pronuncia la sentenza emessa dal giudice di rinvio che non decida sulla questione che, essendo stata espressamente dichiarata assorbita dalla sentenza di cassazione, sia stata ritualmente riproposta al suo esame’ (cfr . Cass. Sez. L, Sentenza n. 14206 del 15/11/2001, Rv. 550276; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10567 del 04/07/2003, Rv. 564794; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 90 del 08/01/2007, Rv. 595022 ; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19015 del 02/09/2010, Rv. 615209; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30184 del 22/11/2018, Rv. 651851). E non v’è dubbio sul fatto che, nel caso specifico, la questione della natura della servitù fosse stata riproposta al giudice del rinvio, posto che la sentenza impugnata dà atto che gli odierni ricorrenti, nel costituirsi in quella sede, ‘… chiedevano che in applicazione dei principi di diritto enunciati nella sentenza n. 15183/19 della Suprema Corte, venissero accolte le conclusioni già formulate nel giudizio di I grado ed integralmente
ritrascritte’ (cfr . pag. 4 della sentenza). Conclusioni nel cui ambito rientrava anche la questione dell’esistenza delle opere apparenti destinate all’esercizio del diritto di transito, in relazione alla quale era stato peraltro proposto dal COGNOME NOME specifico motivo di appello, come confermato dalla stessa parte ricorrente a pag. 4 del ricorso.
Peraltro, sul punto, va rilevato che secondo il più recente orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il rigore emergente dalle precedenti pronunce è stato attenutato, con affermazione del principio secondo cui ‘In tema di giudizio di rinvio prosecutorio, la riassunzione, anche ad opera di una sola delle parti, ponendo le stesse nella medesima posizione originaria, impone al giudice del rinvio di decidere la controversia sulla base delle conclusioni già formulate nelle precedenti fasi di merito, sicché, fatta salva l’ipotesi di un eventuale giudicato interno, egli è chiamato, anche nella contumacia di una delle parti, a pronunciarsi su tutte le domande ed eccezioni di merito a suo tempo proposte, a prescindere dalla loro formale ed espressa riproposizione’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12065 del 03/05/2024, Rv. 671484). Pertanto, se una specifica questione viene fatta oggetto di motivo di ricorso per cassazione, e la Suprema Corte dichiara assorbita la doglianza, la stessa deve comunque essere fatta oggetto di riesame da parte del giudice del rinvio, a meno che, sul punto, si ravvisi la formazione di un giudicato interno -cosa che, nella specie, deve escludersisenza che possa rilevare l’eventuale mancata riproposizione specifica della questione, in sede di rinvio, ad opera della parte interessata.
Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 950 e 951 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente
rigettato la domanda di regolamento dei confini, senza considerare che essa ha natura di accertamento, e dunque non può che definirsi con una statuizione coerente con la richiesta della parte.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello, riesaminando la questione, a seguito dell’accoglimento del motivo di ricorso concernente l’erronea configurazione, da parte del giudice di seconde cure, di una ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti dei proprietari di tutti i fondi interessati dal percorso della strada interpoderale insistente anche sulla particella 132, ha ritenuto infondata la domanda, per assenza del suo presupposto, rappresentato dall’esistenza di una condizione di incertezza del confine. La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘L’azione di regolamento dei confini mira esclusivamente ad eliminare un’incertezza sulla demarcazione tra fondi, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto, e, quindi, presuppone che l’incertezza, oggettiva o soggettiva, cada sul confine tra due fondi …’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11822 del 15/05/2018, Rv. 648496 ; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28349 del 22/12/2011, Rv. 620546). Ove, come nella specie, sia stata esclusa la condizione di incertezza, che costituisce il presupposto necessario della domanda di regolamento del confine, essa non può che essere respinta. Non rileva, a contrario, che si tratti di azione di accertamento, e non di condanna, in quanto anche la prima, ove il giudice di merito non ne ravvisi i presupposti previsti dalla legge, può e deve essere rigettata.
Nel caso specifico, inoltre, l’incertezza del confine è stata esclusa dalla Corte distrettuale in applicazione del principio secondo cui ‘In tema di azione di regolamento di confini, manca il presupposto di ammissibilità della domanda, costituito dall’incertezza del confine, quando i singoli fondi risultino separati da una strada vicinale formata
con apporti di terreno dei proprietari frontisti, essendo il sedime di tale nuovo bene in comproprietà dei medesimi titolari degli immobili latistanti; né il giudice può fare applicazione dell’art. 950 c.c. al fine di individuare, all’interno della strada vicinale oggetto di comunione, l’originaria linea di confine, ormai modificata, atteso che, in tal modo, egli accoglierebbe una domanda di accertamento dell’iniziale estensione delle proprietà individuali, rispetto alla quale le parti non hanno interesse ad agire’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3130 del 08/02/2013, Rv. 625050, richiamata anche a pag. 6 della sentenza impugnata). La presenza della strada vicinale, infatti, costituita ex collatione privatorum agrorum , fa sorgere un diritto di comunione sulla stessa, con conseguente formazione di una entità distinta dai singoli fondi latistanti (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2388 del 26/01/2023, Rv. 666837; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6773 del 04/05/2012, Rv. 622154; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3108 del 19/05/1984, Rv. 435146) ed esclude che i predetti fondi possano essere considerati confinanti (cfr . Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26689 del 06/12/2005,, Rv. 585889).
Con il sesto ed ultimo motivo, infine, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente accolto la domanda di correzione dell’errore materiale proposta dagli odierni controricorrenti, liquidando le spese, originariamente riferite al solo giudizio di Cassazione ed a quello di rinvio, anche per il primo ed il secondo grado.
La censura è infondata.
Va ribadito, al riguardo, il principio secondo cui ‘In materia di spese processuali, la parte soccombente nei gradi di merito precedenti a quello di legittimità, che poi risulti vittoriosa all’esito del giudizio di rinvio, ha diritto ad ottenere la liquidazione non solo
delle spese processuali relative ai giudizi di rinvio e di cassazione, ma anche di quelle sostenute nel corso dell’intero processo; pertanto, ove ne abbia fatto richiesta, la mancata statuizione sul punto del giudice del rinvio integra un’omissione censurabile in sede di legittimità’ (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 1407 del 22/01/2020, Rv. 656866; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15868 del 28/07/2015, Rv. 636370). Nel caso specifico, la Corte distrettuale, pur avendo correttamente affermato, in motivazione, che ‘Le spese di lite seguono la soccombenza, che nello specifico, deve essere valutata con riferimento alla vicenda complessiva che ha, comunque, visto come soccombente COGNOME NOME e i suoi eredi (Cass. civ. n. 1407/2020)’ (cfr . pag. 13 della sentenza impugnata), ha tuttavia liquidato, nel dispositivo, soltanto le spese dei giudizi di cassazione e di rinvio, dimenticando di determinare anche quelle del primo e secondo grado del giudizio di merito. L’errore materiale è poi stato corretto mediante ricorso alla procedura di cui all’art. 287 c.p.c., con la quale non è stato -come sostiene la parte ricorrente- esercitato un potere decisionale, bensì soltanto emendata una evidente svista materiale, avendo la Corte del rinvio espressamente affermato la soccombenza di COGNOME NOME, e dei suoi eredi, relativamente all’intera vicenda processuale, e dunque non soltanto in riferimento ai due giudizi per i quali poi, nel dispositivo iniziale, sono state materialmente liquidate le spese. Deve quindi farsi applicazione del principio secondo cui ‘A fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art. 429 c.p.c, sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss c.p.c. per ottenerne la quantificazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 16415 del 21/06/2018,
Rv. 649295). Soltanto quando la pronuncia sul regolamento delle spese processuali sia omessa non solo nel dispositivo, ma anche nella motivazione, il rimedio è quello dell’impugnazione, e non quello della speciale procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. c.p.c. (cfr . Cass. Sez. U, Sentenza n. 19137 del 06/07/2023, Rv. 668218), non potendosi configurare, in tal caso, l’esercizio, da parte del giudice, di un potere decisionale, e dunque una svista materiale sullo stesso.
In definitiva, il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 2.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 21 ottobre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME