Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20489 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20489 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18140/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza n. 5319/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 6/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/7/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’avv. NOME COGNOME per i ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME domandò al Tribunale di Avellino di accertare l’inesistenza, sul fondo di sua proprietà sito in Parolise, di servitù di elettrodotto in favore di Enel Distribuzione s.p.a. e di condannare la società alla demolizione di un traliccio apposto sul predetto terreno a distanza non regolamentare, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni.
Si costituì in giudizio la società convenuta, formulando eccezione riconvenzionale di usucapione ventennale della servitù di elettrodotto.
Con sentenza n. 1914/2012, il Giudice di primo grado, previo espletamento di C.T.U., accolse le domande attoree.
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, interpose appello. Il Sarno resistette al gravame.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 5319 del 6 novembre 2019, riformò integralmente la pronuncia di prime cure, respingendo le domande del Sarno. Il Giudice adito dichiarò la tempestività dell’eccezione di usucapione e, sulla scorta delle prove testimoniali e documentali offerte dalla società, ritenne maturato al tempo dell’introduzione del giudizio, ovverosia nel gennaio 2005, il ventennio necessario ad usucapire la servitù, atteso che l’edificazione del traliccio per cui è causa doveva collocars i, al più tardi, nel 1982.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME quale comproprietaria del fondo oggetto di controversia, propongono ricorso a questa Corte, affidandosi a sette censure, illustrate da successiva memoria ex art. 378 c.p.c. E-distribuzione s.p.a. è rimasta intimata.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 180 c.p.c., per omessa dichiarazione di tardiva proposizione dell’eccezione di usucapione. La Corte territoriale avrebbe erroneamente accolto l’eccezione di usucapione proposta da Enel Distribuzione s.p.aRAGIONE_SOCIALE, omettendo di rilevarne la tardività in quanto proposta oltre il termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione ex art. 166 c.p.c.
Il motivo è destituito di fondamento.
Trattando dell’eccezione di usucapione formulata con la comparsa di costituzione e risposta, la Corte d’appello ne ha correttamente rilevato la tempestività ‘ rispetto al regime processuale delle decadenze e preclusioni dettato dagli artt. 167 e 180 c.p.c. nella formulazione ratione temporis vigente, anteriore alla riforma del 2005 (l. n. 80/2005 entrata in vigore dall’1.3.2006) ‘.
I ricorrenti ripropongono la questione negli stessi termini, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata e senza considerare il principio tempus regit actum , applicato dai giudici napoletani. Invero , ai sensi dell’art. 2, comma 3° quinquies del D.L. n. 35 del 14 marzo 2005, le modifiche apportate all’art. 167 c.p.c. si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. L’eccezione è stata formulata con la comparsa di costituzione e risposta depositata all’atto della pr ima udienza, il 4 aprile 2005, allorquando le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio potevano essere sollevate fino a venti giorni prima dell’udienza di trattazione successiva alla prima udienza.
Infatti, nel regime giuridico successivo alla l. n. 353 del 1990 e precedente al d.l. n. 35 del 2005, il convenuto che si costituiva tardivamente decadeva dalla facoltà di proporre domande riconvenzionali, giusta il disposto dell’art. 167 c.p.c., così come modificato dall’art. 3 d.l. n. 238 del 1995, conv. in l. n. 534 del 1995, mentre, per quanto attiene alle “eccezioni processuali e di merito
non rilevabili d’ufficio”, vigendo il termine perentorio di cui all’art. 180, secondo comma, c.p.c., del pari introdotto dalla novella del 1995, siffatte eccezioni potevano essere proposte, al più tardi, nell’intervallo tra l’udienza di prima comparizione ex art. 180 cit. e quella di trattazione ex art. 183 c.p.c., ovvero nel termine stabilito dal giudice istruttore (Sez. 2, n. 17121 del 13 agosto 2020).
Con il secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., il Sarno e la Nazzaro si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 116 e 257 c.p.c., nonché dell’omessa motivazione su punti decisivi della controversia. Il Giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare una valutazione globale e complessiva di tutte le risultanze istruttorie, orali e documentali e, in specie, avrebbe avallato le dichiarazioni rese dai testi degli odierni ricorrenti.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 114 c.p.c. Il Giudice del gravame avrebbe erroneamente valorizzato la dichiarazione resa da un teste di Enel Distribuzione s.p.a., non considerando come questi fosse un dipendente della società e omettendo di dirimere, alla luce delle risultanze istruttorie documentali in atti, il contrasto tra la predetta dichiarazione e alcune deposizioni dei testi attorei.
Con la quarta censura, il Sarno e la COGNOME lamentano l’omessa motivazione in relazione alla valutazione parziale e segmentata del materiale probatorio. La Corte partenopea non avrebbe esaminato unitariamente ed organicamente il complesso delle risultanze istruttorie e, in particolare, avrebbe omesso di valutare e porre a fondamento della decisione la consulenza tecnica d’ufficio, che aveva accertato l’insussistenza, presso gli uffici pubblici, di documenti che consentissero di individuare in maniera incontrovertibile la data di realizzazione del traliccio.
Con la quinta censura, i ricorrenti denunciano l’erronea valutazione della documentazione relativa al completamento della linea di elettrificazione. Il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente fondato il proprio convincimento su un documento, prodotto dall’appellante ma non reperito nei pubblici uffici, svincolato dalle ulteriori risultanze probatorie, relativo all’elettrificazione della linea e non, per converso, del singolo traliccio oggetto di controversia.
Attraverso la sesta doglianza il COGNOME e la COGNOME assumono la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione alla mancata valutazione delle prove testimoniali tutte e delle circostanze dedotte dai testi. Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe erroneamente operato una valutazione parcellizzata e non organica degli elementi probatori acquisiti, omettendo di esaminare le dichiarazioni rese dai testi di parte attrice in ordine alla collocazione temporale dell’installazione del traliccio per cui è causa.
Con il settimo motivo si censura la pronuncia di seconde cure per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. anche in relazione alla erronea indicazione di una comparazione delle dichiarazioni testimoniali (introdotte dal Sarno) con le ‘emergenze documentali’ . Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente omesso qualsivoglia riferimento all’insussistenza, accertata dal C.T.U., di documenti depositati presso Enti, idonei ad individuare una precisa collocazione temporale della costruzione del traliccio.
Le suddette censure possono essere scrutinate congiuntamente, perché tutte volte a contestare il convincimento dei giudici di secondo grado in ordine alla sussistenza dell’elemento temporale per la declaratoria di usucapione.
Esse sono inammissibili.
La sentenza impugnata ha affermato ‘ L’indubbio contrasto tre le dichiarazioni dei quattro testi di parte attrice (oggi appellata) -sigg.ri NOME NOME (cognato), COGNOME NOME (fratello),
COGNOME NOME (fratello) e COGNOME NOME (cognata) e quelle rese dall’unico teste di parte convenuta (odierno appellante) sig. COGNOME NOME, dipendente Enel dal 1981 con qualifica di tecnico specialista -circa l’epoca di installazione del traliccio di causa, ricondotta dai primi all’anno 1985 (circa sei mesi dopo l’inizio dei lavori di realizzazione del fabbricato Sarno) e dal secondo al 1982 (epoca di completamento della linea elettrica MT 20KV AvellinoParolise-Manocalzati-Montefalcione) va risolto valutando la credibilità dei testi in base ad elementi sia soggettivi che oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza delle loro dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali ulteriori elementi di prova a cquisiti nel corso dell’istruttoria (in tal senso v. Cass. ordinanza n. 1547 del 27/01/2015). In particolare, quanto alle dichiarazioni provenienti da persone legate da vincoli di parentela con una delle parti, se è vero che non ne è consentita una aprioristica valutazione di non credibilità, è pur vero che neppure è escluso che l’esistenza di tale vincolo possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse (v. Cass. Ordinanza n. 98 del 04/01/2019). Esaminando il materiale istruttorio del primo grado alla luce di tali principi, si osserva che il contrasto su riferito va risolto -in dissenso con il tribunale -valorizzando i dati oggettivi ricavabili dai documenti prodotti in primo grado dall’Enel, da cui emerge che i lavori di elettrificazione del Comune di Parolise affidati alla società RAGIONE_SOCIALE -dove è ubicato l’immobile Sarno terminarono nel 1982 (v. nota del 20.11.1982 della RAGIONE_SOCIALE con riferimento al contratto d’appalto n. 501.19.9.5 del 21.12.1979, entrambi prodotti nel fascicolo di primo grado dell’Enel) e non constano elementi probatori circa una successiva implementazione di tralicci nella medesima zona (di cui neanche il ctu ha pot uto riferire, v pag. 14 relazione dell’ing. NOME COGNOME del 13.10.2010), modifica che, anzi, appare da escludere
in base allo stato dei luoghi emergente dalle fotografie allegate alla ctu (foto 1 e 2) ove il traliccio di causa risulta chiaramente parte integrante della rete di tralicci installati in sequenza e costituente la rete elettrica della zona. Trattandosi di documenti -quelli prodotti dall’Enel che si sono formati in epoca di gran lunga antecedente all’introduzione del presente giudizio e che riguardano un’opera indiscutibilmente realizzata per conto della società elettrica, i dati da essa ricavabili danno indubbio conforto alle dichiarazioni rese dal teste COGNOME NOME (addotto dall’Enel), a diretta conoscenza dei fatti per aver seguito personalmente come tecnico specialista la progettazione ed i lavori di installazione della rete elettrica, secondo cui l’appalto terminò nel novembre 2002, ed incrinano l’attendibilità di quanto riferito dai testi escussi su istanza del Sarno -che invece hanno affermato che il traliccio di causa non era presente quando iniziò la costruzione del fabbricato Sarno nel 1985 -tutti legati a lui da vincoli di parentela (fratelli) o di affinità (cognati) e le cui deposizioni, comparate con le emergenze documentali, si palesano poco credibili e verosimilmente caratterizzate dall’intento di favorire il familiare. Non appare, poi, rilevante che nella lettera del 27.12.2002 inviata dall’Enel al Sarno manchi il riferimento a pretesi diritti di servitù acquisiti per usucapione -come invece valorizzato dal primo giudice -atteso che essa costituisce un mero riscontro alla missiva del 30.10.2002 inviata dal Sarno, contenente richiesta di spostamento del traliccio, con cui la società elettrica richiedeva informazioni per acquisire elementi utili ad istruire la pratica. Sulla scorta di quanto precede, ritiene la Corte che le prove offerte dall’Enel orali e documentali -complessivamente valutate siano maggiormente attendibili della controprova offerta dal Sarno e diano idonea dimostrazione dell’installazione del traliccio di causa al più tardi nel 1982, invece che nel 1985 come affermato dai testi dell’appellato e ritenuto dal tribunale, con conseguente maturazione
del ventennio utile ad usucapire la servitù di elettrodotto alla data di introduzione del presente giudizio (gennaio 2005) ‘.
La motivazione della Corte d’appello appare plausibile e logica .
Va premesso che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
La sentenza impugnata si pone ben al di sopra del minimo costituzionale.
In realtà, le censure si risolvono in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dal COGNOME e dalla COGNOME non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U., n. 24148 del 25 ottobre 2013).
E’ allora opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché
rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Occorre aggiungere che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra
altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
D’altronde, sempre per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre -come detto – è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Al rigetto del ricorso non segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, in mancanza di attività difensiva da parte della società intimata.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio