Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9192 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 8597/2019 proposto da:
NOME, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) .
– Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrenti –
TORRENTE NOME.
– Intimato –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 56/2019 depositata il 10/01/2019.
Negatoria servitutis
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 4 aprile 2024.
Rilevato che:
con atto di citazione notificato il 23/12/2000, NOME COGNOME propose dinanzi al Tribunale di Trapani actio negatoria servitutis nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, assumendo:
(i) di essere proprietario (per acquisto da NOME COGNOME, in data 14/07/1999), di un fondo in Favignana, INDIRIZZO, con annessi caseggiati, confinante ‘a est, con case terrane di COGNOME NOME, sopra le quali si trovano una casa di COGNOME NOME ed un’altra di COGNOME NOME (nuda proprietaria) e COGNOME NOME e COGNOME NOME (usufruttuari) ‘ ;
(ii) che il fondo era a lui pervenuto libero da qualsiasi servitù passi va, come precisato nell’atto di compravendita; che i proprietari delle case soprastanti quella di NOME COGNOME scaricavano le acque provenienti dalle loro case in un sottostante frustolo di terreno agricolo a fondo naturale della stessa NOME COGNOME dove si disperdevano per imbibizione, poi modificato a veranda pavimentata della propria casa, con una pendenza verso il fondo dell’attore , con conseguente scarico delle acque piovane nel f ondo di quest’ultimo attraverso un foro praticato nel muro di confine;
(iii) che altrettanto avevano fatto gli altri convenuti, proprietari delle unità sovrastanti, i quali inoltre avevano modificato il tetto di copertura a confine con la proprietà COGNOME, trasformandolo in una veranda che consentiva una veduta che prima non esisteva.
L’attore chiese accertarsi l’illiceità delle opere e la condanna dei confinanti alla rimozione e al ripristino dello stato dei luoghi;
il Tribunale di Trapani, nel contraddittorio dei convenuti (escluso NOME COGNOME, rimasto contumace), svolta l’attività istruttoria (con prove orali e c.t.u.), preso atto che l’attore aveva transatto la lite e rinunciato alla domanda nei confronti di NOME COGNOME, con sentenza n. 490/2007, in accoglimento della domanda di COGNOME, accertò l’inesistenza di qualsiasi servitù e condannò i convenuti a rimuovere le tubazioni e al ripristino dello stato dei luoghi.
Proposto appello principale da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e appello incidentale da NOME COGNOME, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 546/2012, ha dichiarato improcedibile l’appello.
Questa Corte, con ordinanza n. 27504/2013, in accoglimento del ricorso degli originari convenuti, ha cassato con rinvio la decisione del giudice d’appello;
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno riassunto il giudizio davanti alla Corte d’appello di Palermo nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME: il primo, costituendosi, ha richiesto il rigetto dell’appello; il secondo ha aderito al gravame degli altri appellanti;
la Corte di Palermo, in accoglimento dell’appello principale di NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME dell’appe llo incidentale di NOME COGNOME, ha riformato la sentenza n. 490/2007 del Tribunale di Trapani e, quindi, ha rigettato tutte le domande proposte dall’attore.
Queste, in sintesi, le ragioni della decisione:
(a) la tesi dei motivi di gravame è che le opere contestate dall’attore erano presenti sui luoghi da diversi decenni (epoca di costruzione dell’immobile: 1946) e quanto meno da un arco di tempo idoneo all’acquisto della servitù di veduta per usucapione ;
(b) le domande dell’attore, che invoca tutela reale ( negatoria servitutis ) con riferimento alla servitù di veduta e con riferimento alla servitù di scolo, sono infondate perché gli interventi oggetto delle sue doglianze consistono in piccole modifiche di opere esistenti da diverso tempo, sicché è fondata l ‘eccezione di usucapione dei convenuti, che non hanno danneggiato la proprietà dell’attore né inciso negativamente sul normale godimento del fondo sottostante.
Il che è dimostrato dalle prove per testi – in particolare, il teste NOME COGNOME ha narrato vicende risalenti ai primi anni ‘ 80 e ha ricordato la presenza del ‘tetto’ inteso come piano di calpestio o lastrico solare -e dalle due c.t.u. espletate dal primo giudice, da cui risulta che nell’immobile COGNOME –COGNOME insiste da sempre il parapetto alto circa 90 cm che attornia la preesistente terrazza: l’attore definisce ‘tetto’ quello che, in realtà, è il lastrico di copertura del piano terra dell’edificio attiguo a l suo, che si rinviene in tutta la documentazione descrittiva dello stato dei luoghi (compreso l’atto di donazione del 24/01/1974, prodotto dall’attore, nel quale vengono individuati gli immobili che, per effetto di passaggi successivi, sono pervenuti alle parti del giudizio), risalente almeno a venti anni prima del l’acquisto di COGNOME.
Nella seconda c.t.u. si precisa che vi è complanarità tra il parapetto della casa dei Lombardi e l’edificio di COGNOME e che l’innalzamento del parapetto (di pochi centimetri) non ha comportato alcuna variazione di veduta, che già da prima era concretamente esercitabile;
(c) quanto alla servitù di scolo, e cioè agli scarichi e in particolare a quello che proviene dal terrazzo COGNOME–COGNOME, (cfr. pag. 7 della sentenza) ‘ il medesimo c.t.u. ha riscontrato che il gomito precedentemente collocato era stato interrotto e chiuso con la malta dunque escludendo il persistente scolo lamentato dal COGNOME‘;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
NOME COGNOME è rimasto intimato;
Considerato che:
1. il primo motivo di ricorso -‘ denunciando a norma dell’art. 360 comma 1° n. 4): la sentenza è nulla nella parte in cui la Corte ha ritenuto pendente l’appello incidentale di COGNOME NOME e s’è pr onunciata sullo stesso violando l’art. 292 1° co. c.p.c. e cadendo sia in un ‘ error in procedendo ‘ che in un ‘ error in iudicando ‘ -reca la premessa che l’ordinanza della Cassazione n. 27504/2013, che ha annullato con rinvio la declaratoria di improcedibilità dell’appello, ha fatto sì che il giudizio regredisse allo stato di fatto e diritto del precedente giudizio di appello, quello promosso nel 2008 da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel quale NOME COGNOME si era costituito con comparsa di costituzione e risposta con proposizione di appello incidentale, depositata in cancelleria l’11/12/2008.
Ciò premesso, il ricorrente ascrive alla Corte d’appello di non avere rilevato , nonostante l’eccezione sollevata dall’appellato COGNOME, che l’a ppello incidentale di NOME COGNOME era nullo in quanto non era stato notificato allo stesso COGNOME COGNOMECOGNOME nel primo giudizio di appello, era rimasto contumace.
Sotto altro profilo, la parte eccepisce che, allorché, in data 15/01/2009, NOME COGNOME ebbe a costituirsi nel primo giudizio di appello, già si era formato il giudicato interno dato che la sentenza di primo grado n. 490/2007 era stata depositata il 06/11/2007;
1.1. il motivo non è fondato;
Innanzitutto, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, nel presente giudizio non è intervenuto alcun giudicato interno.
Da un lato, infatti, l’ordinanza della S.C. n. 27504/2013 non ha affermato che la decisione, da parte del giudice del rinvio, delle questioni essenziali della negatoria servitutis proposta da COGNOME fosse preclusa per effetto di un giudicato interno.
D all’altro – ricordato che il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell ‘ àmbito della controversia -è evidente che l’appello principale proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 490/2007 del Tribunale di Trapani investiva, nel suo complesso, l’accertamento operato dal primo giudice e che, perciò, ha impedito che si formasse il giudicato sull’ actio negatoria servitutis esperita da ll’attore nei confronti di tutti i vicini, compreso NOME COGNOME, appellante incidentale.
Inoltre, la sentenza di rinvio non è affetta da nullità per non avere rilevato la nullità dell’originario appello incidentale di NOME COGNOME per omessa notifica all’appellato, dovendosi al riguardo considerare la circostanza, pacifica e dirimente, che l’appellante incidentale si è limitato a fare proprie le difese degli appellanti principali e che COGNOME, costituendosi, senza accampare alcuna lesione del diritto di difesa, ha contestato nel merito il gravame (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata);
2. il secondo motivo -‘ den unciato a norma dell’art. 360 comma 1° n. 3): violazione per omessa applicazione dell’art. 342 c.p.c. osservando il quale la Corte avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello perché carente del requisito della specificità’ addebita alla Corte di Palermo di non avere dichiarato l’inammissibilità del gravame
per difetto di specificità nonostante che gli appellanti, senza formulare una vera domanda o eccezione di usucapione, avessero rimesso al giudice di appello la ricerca del titolo costitutivo del loro diritto là dove gli avevano chiesto di ‘dichiarare con qualsiasi statuizione l’esistenza della servitù di veduta’;
2.1. il motivo è infondato;
2.2. è insegnamento della Corte (cfr. Cass. 28/10/2020, n. 23781, in connessione con Cass. 12/02/2016, n. 2814) che «i fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice». Si è anche chiarito che «ssendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi previsto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure» (Cass. 25/01/2023, n. 2320, in connessione con Cass. n. 23781/2020);
2.3. nella specie, come si desume dall’esame dell’atto di appello, cui la Corte ha direttamente accesso quale giudice del fatto processuale, l’onere di specificità è stato assolto in quanto i motivi di appello censurano, in maniera analitica, ciascuno dei capi della decisione di primo grado (in particolare, quello in punto di servitù di veduta e quello in punto di servitù di scolo);
il terzo motivo ‘denunciato a norma dell’art. 360 comma 1° n. 3): violazione e falsa applicazione degli artt. 832 c.c., 949 c.c. e 2697 c.c.: il giudice di merito ha erroneamente ritenuto che sull’attore incombesse l’onere di dimostrare di essere titolato di una proprietà libera da servitù e per ciò piena ed esclusiva’ – censura la sentenza d’appello che, capovolgendo i criteri d i riparto dell’onere della prova in tema di diritto di proprietà, da un lato, ha imposto all’attore di provare che il suo diritto di proprietà era libero da pesi e da servitù, dall’altro, ha esonerato i convenuti dall’onere di provare l’esistenza dei diritti corrispondenti alle facoltà che essi esercitavano di fatto;
3.1. il motivo è infondato;
3.2. per la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 4/05/2023, n. 11671) l’ art. 2697, cod. civ., viene in considerazione solo nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in base alla scissione della fattispecie in fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018), non quando, sulla base del materiale istruttorio, abbia ritenuto provato il diritto in contestazione, nell ‘ esercizio del potere di prudente apprezzamento delle risultanze processuali (Cass. 18092/2020; Cass. 13395/2018; Cass. 15107/2013);
3.3. la Corte d’appello ha respinto la negatoria servitutis dell’attore non a causa di un errore nel l’attribuzione dell’ onus probandi , ma perché, con accertamento di fatto, insindacabile in sede
di legittimità, ha ritenuto che le proprietà dei convenuti godessero della servitù di veduta sul sottostante fondo del l’attore e ha escluso che persistesse il deflusso delle acque lamentato da quest’ultimo ;
4. il quarto motivo ‘denunciato a norma dell’art. 360 comma 1° n. 4): violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.: la Corte di merito ha posto a fondamento della decisione prove che non ci sono e comunque, anche a voler concedere che taluna delle fonti che adotta sia rinvenibile negli atti del processo, è caduta in palese errore di percezione’ censura la sentenza che, per un verso, ‘ha inventato una prova che non c’è’ poiché il teste NOME COGNOME non ha narrato fatti risalenti ai ‘primi anni ’80’; per altro verso, pare evincere la prova del l’esistenza della servitù di veduta fin da antica data sulla base delle c.t.u. senza specificare da quale delle c.t.u. e da dove desuma tale circostanza e dimenticando che uno strumento descrittivo e valutativo non può mai contenere la prova del fatto;
4.1. il motivo è inammissibile;
4.2. occorre richiamare il condivisibile indirizzo di legittimità secondo cui «n materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre» (Cass. 10/06/2016, n. 11892; conf., ex multis , Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173);
4.3. nel caso che qui occupa il rilievo critico è finalizzato a ottenere un nuovo esame del merito della causa e offre una diversa
interpretazione delle risultanze probatorie (soprattutto, le testimonianze e le due c.t.u.) del giudizio di merito che, nell’ottica del ricorrente, dimostrerebbero che i convenuti non sono titolari di alcuna servitù e che, dunque, debbono rimuovere le opere lesive del diritto di proprietà del vicino.
È innegabile, tuttavia, che alla Corte di legittimità non può essere chiesta una nuova attività istruttoria ed è principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’àmbito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ( ex plurimis , Cass. 7/04/2017, n. 9097; Cass. 07/03/2018, n. 5355; Cass. 13/06/2023, n. 16781);
5. il quinto motivo -‘denunciato a norma dell’art. 360 comma 1° n. 4): la sentenza è nulla perché non è sostenuta da una motivazione che possa definirsi tale alla luce delle irriducibili contraddittorietà e delle incoerenze che contiene che la rendono incomprensibile’ censura la sentenza che non spiega se ha ritenuto che le servitù dei convenuti sono venute ad esistenza per usucapione ordinaria, abbreviata e/o per qualsiasi altra ragione e diritto e che, inoltre, trascura che la domanda giudiziale non è volta a stabilire se eventuali
modifiche apportate dai convenuti alle servitù preesistenti siano o meno lesive del diritto di proprietà dell’attore, ma mira ad accertare l’inesistenza del diritto di scarico e delle vedute rispettivamente a favore dei fondi dei convenuti e a carico del fondo dell’attore;
5.1. il motivo è infondato;
5.2. il vizio di motivazione apparente ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ( ex multis , Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639, che, in motivazione , richiama Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145).
Nella specie, la sentenza della Corte di Palermo, congruamente motivata e priva di vizi logici, spiega che la ragione del rigetto della domanda dell’attore sta nel fatto che , quanto alla servitù di veduta, la terrazza con il parapetto sulla proprietà dei convenuti già esisteva almeno venti anni prima dell’acquisto di COGNOME e , quanto alla servitù di scolo, il lamentato deflusso di acque dal terrazzo COGNOMECOGNOME verso il fondo sottostante era stato interrotto e chiuso con la malta;
6. in conclusione, dichiarati infondati il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo e inammissibile il quarto motivo, il ricorso deve essere rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
8 . ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000 ,00, più € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 4 aprile 2024.