Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 35319 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 35319 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12141/2020 R.G. proposto da: COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, domiciliati e x lege in ROMA, INDIRIZZO
COGNOME presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME, COGNOME MORENO;
– intimati –
e nei confronti di
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME
– intimati – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE n. 46/2020, depositata il 05/02/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 23.01.2014, gli odierni ricorrenti convenivano innanzi al Tribunale di Trieste i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo che venisse accertata la sussistenza a carico dei fondi dei convenuti e a vantaggio dei fondi di proprietà degli attori di una servitù di uso pubblico acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
A sostegno della pretesa, esponevano gli attori di aver acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE ( ‘ CELC ‘ ), poi fallita, la proprietà dei fabbricati siti nei complessi residenziali «Segeste» e «Petra», in Duino Aurisina, e che dal giorno dell’acquisto avevano sempre fatto uso quotidiano delle aree in
questione facenti parte di un piano di lottizzazione per il quale la CELC aveva nel 1984 stipulato una Convenzione di urbanizzazione con il Comune con la quale si impegnava a realizzare opere di urbanizzazione primaria; tra queste, per quanto ancora di interesse: la strada carrabile di accesso al complesso residenziale, le strade carrabili di distribuzione interna, le aree per i parcheggi pubblici.
1.1. Il Tribunale adìto, all’esito di istruttoria testimoniale e dopo aver disposto consulenza tecnica descrittiva dei luoghi, rigettava le domande, osservando che la Convenzione di lottizzazione non era più efficace e comunque non opponibile ai convenuti, i quali nel 2001 avevano acquistato dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE le aree sulle quali insistono le opere di urbanizzazione sopra menzionate; inoltre, talune particelle non erano oggetto di convenzione; e ancora, osservava che non sussistevano i presupposti né per l ‘accertamento dell’acquisto per usucapione, né per l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia.
La pronuncia veniva impugnata dagli odierni ricorrenti innanzi alla Corte d’Appello di Trieste, che con sentenza n. 46/20 rigettava il gravame affermando, per quel che qui ancora rileva:
che doveva essere disattesa la Convenzione del 1984, posto che il piano di lottizzazione aveva una durata decennale, ex art. 38 legge n. 1150/1942, scaduto il quale esso diventava inefficace per la parte non attuata, con la conseguenza che nessun onere poteva essere posto a carico degli acquirenti;
doveva escludersi l’esistenza di una servitù di uso pubblico sulle aree in questione, sia perché non sussisteva un titolo idoneo (atto pubblico o privato, provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario e amministrazione, testamento), sia perché non sussistevano neanche le condizioni per l’ acquisto per intervenuta
usucapione ventennale, ossia: 1) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale; 2) l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse proseguito tramite l’esercizio della servitù; 3) il protrarsi dell’uso per il tempo necessario all’usucapione;
non poteva trovare accoglimento neanche l’ulteriore domanda relativa all’acquisto per destinazione del padre di famiglia, in difetto di uno dei presupposti, ossia l’intestazione ad un unico proprietario del fondo poi diviso, e di cui una parte dovrebbe risultare gravata dall’anzidetta servitù.
è qui impugnata dai soggetti indicati , e il ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
L a sentenza d’appello nell’intestazione Le altre parti sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., avendo la Corte d’Appello omesso la motivazione, ovvero espresso motivazione apparente, in relazione al rigetto dello specifico motivo di gravame relativo all’acquisto per usucapione di servitù di uso pubblico. I ricorrenti censurano la pronuncia nella parte in cui, dopo aver elencato le condizioni per la costituzione per usucapione di una servitù di uso pubblico non ha, poi, spiegato il perché della loro insussistenza nel caso di specie. Del resto, precisa il ricorso, anche il rinvio alla motivazione resa dal giudice di prime cure pare riferito alla mera enunciazione in diritto dei presupposti astrat ti per l’usucapione, non agli specifici motivi di rigetto della domanda attorea.
1.1. Il motivo è infondato.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ. (disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (per tutte: Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Quanto al vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che esso ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023).
Nel caso in esame è evidente che le gravi anomalie motivazionali denunziate non si ravvisano perché la Corte triestina ha motivato sul perché non sussistono le prime due condizioni ai fini dell’ acquisto per
usucapione della servitù di uso pubblico rendendo percepibile la ratio decidendi: ha ritenuto, infatti, mancante la collettività indeterminata di persone del bene privato e il pubblico interesse di carattere generale; secondo la Corte di merito, inoltre, non si vede come il bene privato possa soddisfare un interesse pubblico trattandosi di soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato. L’insussistenza dei primi due presupposti, conclude la Corte, preclude ogni ulteriore indagine temporale (v. sentenza p. 8, 1° capoverso).
2. Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) e/o violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112. cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Trieste del tutto omesso di statuire in relazione al motivo di gravame sollevato dagli appellanti avverso al capo della sentenza di primo grado con cui era stata rigettata la domanda di accertamento dell’usucapione «ordinaria» a peso delle realità dei convenuti ed a favore di quelle degli attori. Reiterando quanto già richiesto in primo grado, nell’atto d’appello i ricorrenti avevano chiesto l’accertamento dell’intervenuta costituzione per usucapione ordinaria sulle aree di cui è causa; ma -lamentano i ricorrenti -su tale domanda la Corte d’Appello non si è affatto pronunciata.
2.1. Questo motivo è invece fondato.
Ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione dì un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del «fatto processuale», detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali, stante l’adempimento da parte dei
ricorrenti -per principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agi atti della fase di merito – dell’onere di indicarli (Cass. n. 21926 del 2015; conf. Cass. n. 15367 del 2014).
Orbene, risulta dagli atti processuali -cui questa Corte accede direttamente in ragione della natura processuale del vizio dedotto che i ricorrenti, nell’atto d’appello si erano doluti del mancato accoglimento della domanda subordinata di accertamento della compiuta usucapione ordinaria sulle aree di cui si discute; e il ricorso a pagg. 9 e 24 riporta la doglianza; nella pronuncia impugnata, invece, il giudice di seconde cure ha esaminato (rigettandola) l’istanza attinente all’usucapione della servitù di uso pubblico nonch é per destinazione del padre di famiglia, senza invece analizzare la divers a questione dell’usucapione ordinaria (v. sentenza p. 7, 1 ° capoverso; p. 8, 2° e 3° capoverso).
La sentenza merita, pertanto, di essere cassata in parte qua , spettando al giudice del rinvio esaminare la sussistenza dei presupposti dell’intervenuta usucapione ordinaria ventennale.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) per violazione degli artt. 1027 ss., 825 cod. civ., degli artt. 16, 17 e 28 legge 1150/42, per avere la Corte d’Appello di Trieste ritenuto che la predetta normativa vada interpretata ed applicata nel senso che dalla Convenzione di lottizzazione di cui è causa (all. 3 del fascicolo attoreo in primo grado) non derivasse la destinazione ad uso pubblico che costituisce fondamento per il riconoscimento della servitù di uso pubblico oggetto della domanda attorea in primo grado e in appello. I ricorrenti censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui essa omette di valutare il contenuto della Convenzione, quale atto
contenente la destinazione ad uso pubblico, in cui le strade e i parcheggi sono espressamente indicati come destinati a tale uso; né può dirsi detta Convenzione inefficace per scadenza del termine decennale, posto che non era stata attuata solo la parte relativa al trasferimento della proprietà delle opere di urbanizzazione, mentre erano state interamente attuate le opere inerenti le aree di cui è causa (strade e parcheggi), peraltro conoscibili dagli acquirenti (essendo stata data pubblicità tavolare alla Convenzione).
3.1. Anche il terzo motivo è fondato.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel sostenere che «nel caso in cui il piano di lottizzazione approvato e convenzionato sia scaduto per il decorso del termine di dieci anni, divengono inefficaci le sue previsioni che non abbiano avuto concreta attuazione, non essendo consentita la loro ulteriore esecuzione; non si possono più eseguire neppure gli espropri, preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria» (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 1° febbraio 2019, n. 809; Cons. Stato, V, 31 agosto 2017, n. 4144; VI, 26 agosto 2014, n. 4278; IV, 28 dicembre 2012, n. 6703; da ultimo: Cons. Stato sez. II, 4 maggio 2020, n.2843)».
Nel caso che ci occupa, una volta accertato che rientrava nella suddetta Convenzione del 1984 la sola particella 143/3 acquistata dagli appellati (v. sentenza p. 6, 2° capoverso), ritenuto inoltre che l’inefficacia del piano di lottizzazione oltre la durata decennale fosse riferibile alla parte di Convenzione non attuata, la Corte triestina omette, però, di verificare se, prima di tale scadenza, fosse stata data attuazione, quanto meno in relazione alla suddetta particella, alle attività previste dalla Convenzione, in particolare -per quel che qui rileva -se fossero state realizzate la strada carrabile di accesso
al complesso residenziale, le strade carrabili di distribuzione interna e le aree per i parcheggi pubblici, essendosi limitata solo alla enunciazione di principi di giurisprudenza amministrativa.
La sentenza merita, dunque, di essere cassata in parte qua, rendendosi necessario nuovo esame.
4. Con il quarto motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ.), nonché violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.) per violazione degli artt. 1062 ss. cod. civ., per avere la Corte d’Appello di Trieste erroneamente ritenuto che difettasse ai fini del riconoscimento della costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia -i l presupposto dell’originaria proprietà del fondo pretesamente dominante e del fondo pretesamente servente in capo ad un unico soggetto che ha successivamente alienato le due parti a due soggetti diversi. Sul punto, i ricorrenti deducono travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie, dalle quali invece risulta che tutti i fondi dominanti e serventi erano di proprietà esclusiva di CELC prima di essere alienati ai singoli attori (o ai loro danti causa ).
4.1. Il motivo è inammissibile.
P oiché ricorre l’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , comma 5) cod. proc. civ. (vigente ratione temporis , applicabile ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame), il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissib ilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello,
dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994).
Nella specie, i ricorrenti non hanno indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce.
Con il quinto motivo si deduce nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Trieste del tutto omesso di statuire in relazione al gravame sollevato dagli appellanti avverso il capo della sentenza di primo grado con cui gli attori erano stati condannati alla rifusione delle spese di lite, anziché disporsi la compensazione delle stesse, essendo stata rigettata la domanda riconvenzionale avversaria relativa al risarcimento del presunto danno conseguente all’utilizzazione, da parte degli attori, della strada di cui è causa.
5.1. Avendo il Collegio accolto il secondo e terzo motivo del ricorso, con rinvio del giudizio alla medesima Corte d’Appello di Trieste, il quinto motivo deve ritenersi assorbito.
In definitiva, il Collegio dichiara infondato il primo motivo, inammissibile il quarto, assorbito il quinto; in accoglimento del secondo e terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara infondato il primo motivo del ricorso, inammissibile il quarto, assorbito il quinto;
accoglie il secondo e terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda