Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12734 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12734 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17478/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente a ll’ avvocato NOME COGNOME -controricorrente e ricorrente incidentale- nonché contro
NOME e NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 119/2023 depositata il 27.1.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 8.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata l’1.8.2003, la RAGIONE_SOCIALE premettendo di essere proprietaria di un capannone in Monopoli, INDIRIZZO adiva il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Monopoli, per sentir condannare i germani NOME, NOME e NOME, proprietari del fabbricato confinante, con accesso da INDIRIZZO, costruito dal loro dante causa, NOME Pasquale, all’eliminazione di quanto edificato in violazione delle distanze legali tra edifici e per l’apertura di vedute dirette e balconi, alla regolarizzazione di aperture lucifere e al risarcimento dei danni subiti.
I convenuti si costituivano in giudizio, spiegando, per quanto ancora rileva, domanda riconvenzionale volta all’accertamento della maturata usucapione della servitù di veduta dalle finestre e di affaccio dal balcone sul fondo attoreo.
Con sentenza n. 21/2013, il Tribunale adito accoglieva la domanda principale di regolarizzazione delle luci della RAGIONE_SOCIALE e quelle riconvenzionali di usucapione dei Lillo, condannando la società alle spese processuali.
La RAGIONE_SOCIALE interponeva appello avverso la predetta sentenza e NOME NOME, NOME e COGNOME NOME, quest’ultimo in qualità di erede di NOME, deceduta nelle more, resistevano al gravame, proponendo a loro volta impugnazione incidentale.
Con sentenza n. 119/2023 del 24/27.1.2023, la Corte di Appello di Bari accoglieva parzialmente entrambe le impugnazioni. Il Giudice di secondo grado confermava la maturazione dell’usucapione delle
servitù di veduta con riferimento alla posizione n. 1 descritta nella relazione conclusiva del CTU -attese la conformità dello stato dei luoghi riscontrata in sede di sopralluogo con le planimetrie catastali del 1971 e la coerenza di tali risultanze con numerose testimonianze rese in prime cure -e condannava gli appellati alla rimozione degli affacci e delle vedute di cui alle posizioni nn. 2 e 3 descritte in quella CTU, all’arretramento a distanza legale del balcone di cui alla posizione n. 4 descritta nella CTU ed al risarcimento dei danni provocati con l’illecita creazione degli affacci, vedute e balcone delle posizioni 2, 3 e 4, quantificati equitativamente in € 11.520,00, compensando integralmente tra le parti le spese processuali del doppio grado. Invero, alla luce della documentazione in atti, la Corte territoriale riteneva, per le posizioni nn. 2 e 4, l’impossibilità di individuare un dies a quo certo ai fini dell’usucapione del diritto a mantenere le aperture a distanza inferiore a quella legale e, per quel che concerne la posizione n. 3, l’esistenza di prova presuntiva del mancato completamento del ventennio necessario ad usucapire, in ragione di un mutamento dello stato dei luoghi, che aveva dato origine ad un nuovo possesso a decorrere dal mese di agosto 1983.
Avverso tale sentenza NOME ha proposto ricorso a questa Corte, sulla scorta di tre motivi, e la L.RAGIONE_SOCIALE, che aveva incorporato per fusione la RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due censure. NOME ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. NOME e NOME sono rimasti intimati.
E’ stata formulata proposta di definizione accelerata ex art. 380 bis comma 1° c.p.c., e avendo il difensore di NOME Pietro COGNOME munito di procura speciale, presentato tempestiva istanza di decisione, é stata fissata udienza in camera di consiglio.
In prossimità dell’adunanza camerale il solo ricorrente principale ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare occorre dare atto che a seguito della comunicazione da parte della cancelleria, in data 15.3.2024, della proposta di definizione accelerata ex art. 380 bis c.p.c. nuova formulazione del 28.2.2024, la L.M. S.R.L., che ha fuso per incorporazione la RAGIONE_SOCIALE in data 29.12.2022, e che aveva proposto controricorso con ricorso incidentale nei confronti di NOME, NOME e COGNOME Antonio, al quale aveva fatto seguito il controricorso del solo NOME, non ha presentato entro quaranta giorni dal 15.3.2024 istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c., con la conseguenza che ai sensi degli articoli 380 bis comma 2° e 391 c.p.c. il ricorso incidentale della L.M. S.R.L. va considerato rinunciato, e dev’essere dichiarata l’estinzione limitatamente ad esso, mentre avverso la medesima proposta di definizione accelerata NOME COGNOME Antonio ha presentato tempestiva istanza di decisione in data 23.4.2024, tramite difensore munito di procura speciale, con conseguente necessaria decisione di questa Corte in camera di consiglio a norma dell’art. 380 bis comma 3° c.p.c., limitatamente al ricorso principale di NOMECOGNOME
Relativamente a tale ultimo ricorso, va anzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità, sollevata nel controricorso della L.M. S.R.L. per avere NOME notificato il ricorso principale ad un soggetto estinto, quale la RAGIONE_SOCIALE che era stata fusa per incorporazione dalla RAGIONE_SOCIALE con atto del notaio NOME COGNOME del 29.12.2022 (prodotto ex art. 372 c.p.c.) e che era stata cancellata dal Registro delle Imprese il 30.12.2022, e quindi in data anteriore alla notifica del suddetto ricorso, avvenuta al legale domiciliatario della RAGIONE_SOCIALE, avvocato NOME COGNOME in data 27.7.2023.
La sentenza n. 21970 del 30.7.2021 delle sezioni unite della Corte di Cassazione ha evidenziato che dopo la riforma apportata dall’art.
6 del D. Lgs. 17.1.2003 n. 6 all’art. 2504 bis cod. civ., e più in generale alla disciplina della fusione per incorporazione, con la cancellazione dal registro delle imprese della società che sia stata fusa per incorporazione in altra società, si verifica l’estinzione della società incorporata, che pertanto da quel momento non ha la legittimazione attiva e passiva rispetto ai rapporti giuridici attivi e passivi che ad essa facevano capo, che per effetto di un fenomeno successorio analogo a quello dell’erede, si trasferiscono in capo alla società incorporante, che é la sola legittimata a farli valere ed a tutelarli rispetto alle pretese di terzi inerenti a tali rapporti, pur essendo specificamente escluso dall’art. 2504 bis cod. civ. l’effetto interruttivo della fusione per incorporazione.
Nondimeno, anche dopo l’ultima riforma della fusione per incorporazione, la giurisprudenza più recente di questa Corte, allo scopo di tutelare la posizione della parte non colpita dall’evento determinante la perdita della capacità giuridica, quando l’evento non sia stato dichiarato in giudizio dal procuratore costituito della parte colpita da quell’evento, ha ritenuto di valorizzare il principio dell’ultrattività del mandato al fine di riconoscere l’ammissibilità del ricorso proposto contro un soggetto ormai estinto (si tratti di persona fisica, o di persona giuridica e di estinzione per morte, o per altra causa), piuttosto che seguire l’orientamento restrittivo della sentenza n. 6070 del 16.3.2013 delle sezioni unite di questa Corte, che ancorava l’inammissibilità del ricorso al principio dell’inesistenza della notifica del ricorso indirizzato a soggetto estinto ed al principio per cui in causa poteva esserci solo la ‘giusta parte’.
In particolare la sentenza n. 15295/2014 delle sezioni unite di questa Corte ha affermato, che l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in
ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, con la conseguente stabilizzazione della posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell’ipotesi in cui, nella successiva fase d’impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l’evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l’evento sia documentato dall’altra parte (come previsto dalla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 46), o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 300 c.p.c., comma 4°. Di conseguenza la suddetta sentenza ha affermato che è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1°, presso il procuratore domiciliatario, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento determinante l’incapacità.
Tali principi sono stati ribaditi recentemente dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 29812 del 19.11.2024 anche per le persone giuridiche, e l’ordinanza di questa Corte n. 3398 del 10.2.2025, proprio in riferimento ad una fattispecie d’impugnazione notificata al legale domiciliatario di una società nelle more estinta per incorporazione, ha affermato il principio che ‘ non rileva la conoscenza aliunde dell’estinzione, desumibile dalla pubblicità nel Registro delle imprese, in difetto di formale dichiarazione in udienza o notificazione alle altre parti dell’evento determinante
l’incapacità giuridica del soggetto estinto da parte del legale costituito’. Ne consegue che il ricorso in cassazione indirizzato da NOME Pietro Antonio alla RAGIONE_SOCIALE presso il legale domiciliatario per essa costituito nel giudizio di appello, avvocato NOME COGNOME è stato efficacemente notificato al procuratore costituito ex art. 330, comma 1 c.p.c., atteso che l’estinzione della RAGIONE_SOCIALE per fusione per incorporazione nella RAGIONE_SOCIALE, avvenuta il 30.12.2022 con la cancellazione dal Registro delle imprese, non é stata dichiarata dall’avvocato NOME COGNOME nel giudizio di appello in quanto sopravvenuta alla scadenza del termine di deposito delle memorie conclusive di replica.
Del pari infondata é l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, per nullità della procura speciale conferita in via analogica da NOME COGNOME Antonio all’avvocato NOME COGNOME in data 27.7.2023, poi trasformata in copia informatica di documento analogico, ma non munita di attestazione della conformità all’originale da parte del difensore.
Secondo la Suprema Corte, infatti, ‘ in caso di ricorso per cassazione nativo digitale (come nella fattispecie in esame), notificato in modalità telematica, l’allegazione mediante strumenti informatici – al messaggio di posta elettronica certificata con il quale l’atto è notificato ovvero mediante inserimento nella “busta telematica” con la quale l’atto è depositato -di una copia, digitalizzata, della procura alle liti redatta su supporto cartaceo, con sottoscrizione autografa della parte e autenticata con firma digitale dal difensore, integra l’ipotesi, ex art. 83, comma 3, cod. proc. civ., di procura speciale apposta in calce al ricorso’ (Cass. 8.5.2024 n. 12481; Cass. sez. un. 19.1.2024 n. 2077).
1) Col primo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., il ricorrente principale si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente
omesso di esaminare le numerose testimonianze acquisite in prime cure e la produzione fotografica in atti, dai quali si evincerebbe in maniera inequivocabile che gli affacci e le vedute di cui alle posizioni nn. 2, 3 e 4 della relazione di CTU sarebbero stati realizzati tra il mese di dicembre 1981 e il marzo 1982. Inoltre, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente interpretato il contenuto della memoria istruttoria di replica dei germani NOME in primo grado, attribuendo alla stessa il riconoscimento della collocazione temporale della realizzazione degli affacci di cui alla posizione n. 3 al mese di agosto 1983.
Il primo motivo del ricorso principale, col quale si lamenta in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., la circostanza che la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza di primo grado, abbia respinto la domanda di NOME NOME Antonio di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù di veduta dalle posizioni 2 e 3 individuate dal CTU ing. NOME COGNOME e della servitù di affaccio dal balcone di cui alla posizione 4 sempre individuata in quella CTU, ritenendo che non fosse stato provato con certezza che tali vedute fossero state esercitate nel ventennio antecedente all’introduzione del giudizio di primo grado dell’1.8.2003, per non avere considerato il contenuto delle testimonianze di NOME Francesco, COGNOME NOME, COGNOME Gaetano, COGNOME Vito, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dal quale sarebbe emerso inequivocamente che le suddette vedute ed affacci sarebbero stati già realizzati tra il dicembre 1981 ed il marzo 1982, deve ritenersi inammissibile.
Anzitutto non risulta allegata la mancata considerazione di un fatto storico principale, o secondario decisivo oggetto di discussione tra le parti, come richiesto dall’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., in quanto si pretenderebbe una rivalutazione ad opera di questa Corte, giudice di legittimità, di ben nove testimonianze, ed anche
ove si ritenga identificabile il fatto storico non considerato nella realizzazione delle vedute di cui alle posizioni 2, 3 e 4, individuate dal CTU ing. NOME COGNOME tra il dicembre 1981 ed il marzo 1982, il vizio é inammissibile, in quanto non si tratta di un fatto non considerato, ma già valutato dalla Corte d’Appello.
Essa, infatti, in relazione alle vedute ed affaccio dal balcone in questione, ha sostenuto al punto 7.10 della sentenza che ‘ non possono assumere rilevanza decisiva le dichiarazioni dei testimoni escussi durante la fase istruttoria svoltasi in primo grado, che, malgrado siano numericamente considerevoli, non consentono di individuare con sufficiente precisione la data di realizzazione delle vedute e degli affacci di cui alle posizioni 2 e 4 del piano, essendosi i deponenti limitati a riferire genericamente della presenza di balconi e finestre sulla facciata, che garantivano comodo affaccio sulla proprietà RAGIONE_SOCIALE (attualmente ‘RAGIONE_SOCIALE‘)’, ed al punto 7.8, in relazione alle vedute della posizione 3, che gli stessi attori nella memoria istruttoria di replica avevano ammesso che la chiusura della veranda al primo piano con la realizzazione delle finestre in ‘anticorodal’ erano state ultimate nell’agosto 1983, per cui di fatto il ricorrente, che anche nell’istanza di decisione ha fatto riferimento all’asserita univocità delle deposizioni testimoniale acquisite in primo grado, vorrebbe ottenere in base ad esse una diversa ricostruzione in fatto, che però é riservata al giudice di merito nell’esercizio del libero convincimento.
La Corte d’Appello relativamente alle vedute in questione, che a differenza delle vedute della posizione 1, non risultavano riportate nelle planimetrie catastali presentate dal dante causa del ricorrente, NOME COGNOME, nel 1970-1971, non ha fondato il proprio accertamento, sulla mancanza di prove certe che queste vedute siano state esercitate nel ventennio anteriore all’1.8.2003, solo sull’indizio costituito dalla mancata inclusione di tali vedute nelle planimetrie catastali del 1970-1971, ma anche sulla CTU espletata,
comprensiva di sopralluogo, sui titoli edilizi e di condono edilizio prodotti (quest’ultimo attestante l’ultimazione di lavori nell’agosto 1983) e sulle fotografie acquisite, nonché sulla valutazione già riportata delle prove testimoniali assunte.
Non é poi più invocabile, dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza per avere ritenuto di supporto probatorio le testimonianze acquisite a sostegno della domanda di usucapione per le servitù di veduta relative alla posizione 1, ed invece generiche per le vedute e l’affaccio delle posizioni 2, 3 e 4.
Va quindi ribadito il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. un. 25.10.2013 n. 24148; Cass. sez. un. 11.6.1998 n. 5802), secondo il quale ‘ il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perché la citata norma non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ .
2) Con la seconda censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente principale lamenta la violazione dell’art. 905 cod. civ. in relazione agli artt. 1158 e 2697 cod. civ.. La Corte territoriale avrebbe erroneamente accertato la violazione delle distanze legali in materia di vedute e di affacci, con conseguente
erroneità dell’ordine di rimozione delle aperture di cui alle posizioni n. 2 e 3 indicate dal CTU e di arretramento a distanza legale del balcone corrispondente alla posizione n. 4 indicata dal CTU.
3) Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 2043 cod. civ. in relazione agli artt. 1226, 1158 e 2697 cod. civ.. Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente accolto la domanda risarcitoria articolata dalla RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che la società avesse subito un pregiudizio in ragione della temporanea ridotta fruibilità dell’immobile di sua proprietà.
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, coi quali si lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., rispettivamente, le violazioni degli articoli 905, 1158 e 2697 cod. civ. dell’impugnata sentenza per non avere riconosciuto l’usucapione delle vedute e degli affacci delle posizioni 2, 3 e 4 individuate dalla CTU dell’ing. NOME COGNOME e le violazioni degli articoli 2043, 1226, 1158 e 2697 cod. civ. dell’impugnata sentenza per avere riconosciuto a favore della RAGIONE_SOCIALE il risarcimento del danno presuntivamente subito, equitativamente liquidato, per la ridotta fruibilità del suo fabbricato discendente dalle vedute illecitamente esercitate, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili. Con tali motivi, infatti, il ricorrente non assume che l’impugnata sentenza abbia adottato un’errata nozione delle disposizioni normative che si assumono violate, ma pretende di far discendere dall’accoglimento del primo motivo, volto ad ottenere inammissibilmente una diversa ricostruzione del fatto in sede di legittimità, conclusioni diverse in punto di riconoscimento dell’usucapione in suo favore delle vedute in questione e di diniego del risarcimento dei danni derivanti dall’esercizio di tali vedute, il tutto sempre previa una diversa valutazione delle prove acquisite, come già detto riservata al giudice di merito.
1A) Col primo motivo di ricorso incidentale, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la L.M. s.r.l. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158, 2697, 2727 e 2729 cod. civ.. La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto provato la maturazione dell’usucapione ventennale della servitù di veduta corrispondente alla posizione n. 1, sulla scorta della mera conformità dello stato dei luoghi attuale alle planimetrie catastali del 1971, presentate dal dante causa dell’odierno ricorrente principale; in tal modo, il Giudice di seconde cure avrebbe disatteso la giurisprudenza di legittimità che considera le risultanze catastali insufficienti a produrre l’acquisto della proprietà dell’immobile per il mero decorso del tempo, essendo all’uopo necessaria la prova dell’esercizio di un concreto potere di fatto sul bene.
2A) Con la seconda censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., la ricorrente incidentale lamenta l’omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio. La Corte territoriale sarebbe altresì incorsa nel vizio di omessa motivazione in ordine al parziale accoglimento della domanda di usucapione della servitù di veduta, richiamando genericamente, a supporto dello stesso, le prove per testi espletate nel corso del primo grado, senza, tuttavia, indicare specificamente quali deposizioni consentissero di affermare la presenza delle aperture di cui alla posizione n. 1 già nel 1971.
Avverso la proposta di definizione accelerata la ricorrente incidentale non ha presentato istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c. nuova formulazione, per cui relativamente al ricorso incidentale non é necessario procedere all’esame nel merito dei motivi fatti valere.
L’inammissibilità del ricorso principale, così come quella del ricorso incidentale rilevata nella proposta di definizione accelerata, giustificano la compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Questa Corte, infatti, ha già stabilito il principio che nei casi in cui la proposta di definizione accelerata abbia riguardato sia il ricorso principale, che quello incidentale non condizionato, e l’istanza di decisione ex art. 380 bis comma 3° c.p.c. sia stata presentata solo dal ricorrente principale, o da quello incidentale, le spese del giudizio di legittimità vanno regolate in base all’esito complessivo del giudizio di legittimità, e dunque considerando non soltanto l’esito della decisione del ricorso, principale o incidentale, che sia stato coltivato, ma anche la sostanziale soccombenza dell’altra parte, che pur avendo inizialmente proposto a sua volta impugnazione, principale o incidentale, abbia scelto di non coltivarla facendo acquiescenza alla proposta di definizione anticipata (vedi in tal senso Cass. ord. 16.4.2024 n. 10164).
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380 bis c.p.c. (novellato dal D. Lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata da parte del ricorrente principale, e il giudizio definito in conformità alla proposta relativamente al ricorso principale, NOME dev’essere, inoltre, condannato al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 c.p.c., liquidate in dispositivo, mentre tali sanzioni non operano per la ricorrente incidentale, che dopo la formulazione della proposta di definizione accelerata, ha implicitamente rinunciato al ricorso, non presentando entro quaranta giorni dalla comunicazione di essa istanza di decisione.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30.1.2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione parziale relativamente al ricorso incidentale della L.M. S.R.L.; dichiara inammissibile il ricorso principale di NOMECOGNOME che condanna al risarcimento danni in favore della L.M. S.R.L. ex art. 96 comma 3° c.p.c., liquidati in € 3.000,00, ed al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 3.000,00, e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Visto l’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’8.5.2025