Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3841 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3841 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18973/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in BERGAMOINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale, che li rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
(CODICE_FISCALE) che le rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 624/2022 depositata il 20.5.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.1.2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato nel 2014 a COGNOME NOME e COGNOME NOME (entrambi poi deceduti), COGNOME NOME e COGNOME NOME, NOME e NOME, chiedevano l’accertamento dell’usucapione di una servitù di passaggio pedonale a favore della loro abitazione (mappale 3866) in Comune di Treviglio, gravante sulla particella 14911 dei convenuti, che insieme alle particelle 44450 e 3865 (asservite al mappale 3866 secondo il loro atto di acquisto del 29.3.1977) costituiva un percorso pedonale che arrivava alla INDIRIZZO, sostenendo che avevano esercitato in modo pacifico, pubblico e continuato quel passaggio, utilizzando allo scopo un portoncino in ferro del muro di confine, dalla data di acquisto della loro abitazione fino a che nel 2007 i convenuti non avevano eretto un muro in prisme che aveva ostruito il passaggio, poi ulteriormente precluso nel 2013 con la posa di reti in plastica, e individuando le opere permanenti e visibili indicative della servitù nel suddetto portoncino in ferro e nel cordolo di cemento armato (in origine con sovrastanti pali di recinzione) che delimitava la particella 14911.
Tralasciando le altre domande degli attori e del convenuto attore in riconvenzione NOME NOME, che non più rilevano, il Tribunale di Bergamo con la sentenza n.446/2019 respingeva la domanda di
usucapione della servitù di passaggio pedonale, respingeva la riconvenzionale della controparte di rimozione di alcuni manufatti, dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda degli attori di rimozione del muretto in prisme e compensava le spese processuali.
Proposto appello dagli originari attori nei confronti di COGNOME NOME e delle eredi della deceduta COGNOME NOME, ossia COGNOME NOME e COGNOME NOME, che restavano contumaci in secondo grado, veniva lamentato che il giudice di primo grado avesse ritenuto non superabile il contrasto esistente tra le deposizioni dei testi addotti dagli attori e di quelli addotti dai convenuti e quindi non assolto l’onere della prova del possesso ultraventennale del passaggio pedonale ad usucapionem, anziché attribuire prevalenza alle numerose testimonianze addotte dagli attori, vertenti su circostanze positive, rispetto a quelle addotte dai convenuti, ed in particolare quella di COGNOME NOME, relative a circostanze negative, e che la sentenza impugnata non aveva attribuito il giusto peso alla presenza del portoncino in ferro, che consentiva di accedere al passaggio pedonale.
L’appellato COGNOME NOME eccepiva la nullità -inammissibilità dell’appello, in quanto notificato alle eredi di COGNOME NOME (NOME NOME e COGNOME NOME) ancorché la morte della stessa non fosse stata dichiarata in giudizio dal legale costituito in primo grado, per cui la notifica dell’impugnazione sarebbe dovuta avvenire al suddetto legale domiciliatario della COGNOME, per il principio di ultrattività del mandato, e contestava nel merito l’avversa domanda di usucapione.
La Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 624/2022 del 20.5.2022 escludeva la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra COGNOME NOME e COGNOME NOME per mancanza della proprietà comune tra essi del fondo servente, dichiarando il difetto di legittimazione passiva delle eredi di COGNOME NOME
contumaci, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in quanto in forza della sentenza n. 11193/2022 delle sezioni unite della Corte di Cassazione l’appello doveva essere notificato, per il principio di ultrattività del mandato, al legale domiciliatario della deceduta COGNOME NOME, che non aveva dichiarato la morte della stessa nel giudizio di primo grado a scopo interruttivo, sicché la notifica dell’impugnazione compiuta direttamente alle eredi della COGNOME doveva ritenersi nulla per vizio di individuazione della persona legittimata a partecipare al giudizio d’impugnazione, e nel contempo doveva escludersi la possibilità di disporre la rinnovazione della notifica nulla dell’impugnazione ex art. 331 c.p.c., in quanto gli appellanti erano ormai decaduti dalla facoltà d’impugnazione per decorso del termine dell’art. 327 c.p.c. Nel merito, la sentenza impugnata rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado per difetto di prova del possesso ultraventennale del passaggio pedonale, e condannava gli appellanti alle spese processuali di secondo grado.
Avverso tale sentenza, notificata l’11.6.2022, hanno proposto ricorso, notificato il 2.8.2022 all’AVV_NOTAIO quale legale domiciliatario di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, NOME e NOME, affidandosi a tre motivi, e resistono COGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, deceduto nelle more del giudizio di secondo grado, con controricorso notificato il 14.9.2022.
Il 27.2.2023 il AVV_NOTAIO COGNOME ha formulato proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità, o comunque manifesta infondatezza del ricorso, notificata alle parti sempre il 27.2.2023, ed il 30.3.2023 l’AVV_NOTAIO, munito di procura speciale, ha chiesto per i ricorrenti la decisione della causa ex art. 380 bis comma 2° c.p.c.
Fissata quindi l’udienza in camera di consiglio, le sole controricorrenti, che a loro volta avevano irritualmente manifestato
il 16.3.2023 la volontà di ottenere la decisione per conseguire la condanna della controparte alle spese processuali, hanno depositato memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
La causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 25.1.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., lamentano la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente.
Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello di Brescia abbia ritenuto sussistente un insanabile contrasto tra le deposizioni rese dai testimoni escussi (quelli addotti dagli attori che avevano riferito in positivo dell’esercizio del passaggio, e quelli addotti dai convenuti, ed in particolare COGNOME NOME, che avevano riferito di non avere visto personalmente gli attori esercitare il passaggio pedonale oggetto di causa dalla INDIRIZZO fino alla proprietà degli attori attraverso la proprietà dei convenuti) e quindi non assolto l’onere probatorio gravante sugli attori ai fini dell’usucapione, confermando acriticamente la decisione di primo grado e fornendo una motivazione meramente apparente, senza considerare che alle deposizioni su circostanze positive non poteva attribuirsi lo stesso peso probatorio di quelle rese su circostanze negative, e che trattandosi di una servitù discontinua, non esisteva un contrasto insanabile tra le deposizioni dei testi addotti dagli attori e quelli addotti dai convenuti, essendo pienamente possibile che questi ultimi avessero visionato lo stato dei luoghi in momenti in cui il passaggio pedonale degli attori non era esercitato, senza che ciò compromettesse l’attendibilità dei testimoni indicati dagli attori (ben cinque: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), che avevano invece
assistito al passaggio pedonale degli attori e dei loro danti causa riferendone nelle loro deposizioni.
Il primo motivo è anzitutto inammissibile, in quanto nel motivo di appello gli attuali ricorrenti (vedi virgolettato alle pagine 12 -13 del ricorso) avevano censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto che dalle testimonianze acquisite fossero emersi elementi discordanti per avere alcune confermato il passaggio pedonale ed altre escluso lo stesso, evidenziando solo che vi erano cinque testimonianze, tutte coerenti nell’affermare l’uso del passaggio pedonale, e coerenti con lo stato dei luoghi in cui vi era traccia fisica del passaggio, rappresentata dal portoncino in ferro del loro muro di recinzione, e che invece vi era un solo teste che aveva sostenuto di non avere mai visto transitare gli attori, peraltro su luogo diverso da quello oggetto dell’invocata usucapione, senza fare quindi alcun riferimento alla compatibilità tra loro delle varie testimonianze acquisite in ragione della natura discontinua del passaggio pedonale oggetto di causa, che poteva spiegare come mai alcuni testimoni avessero assistito al passaggio degli attori ed altri no, e senza fare alcun riferimento all’asserito principio della prevalenza delle testimonianze su circostanze positive rispetto a quelle su circostanze negative, profili nuovi per la prima volta prospettati col ricorso alla Corte di Cassazione, sui quali evidentemente l’impugnata sentenza non era tenuta a motivare perché non dedotti nell’atto di appello.
Relativamente al motivo di appello che era stato fatto effettivamente valere dagli originari attori, imperniato essenzialmente sulla prevalenza numerica dei testimoni che avevano deposto a loro favore rispetto a quelli che avevano deposto sfavorevolmente, l’impugnata sentenza ha comunque sufficientemente motivato, in quanto ha sintetizzato alle pagine 7 e 8 il contenuto delle deposizioni rese dai testi escussi, ritenendo insanabile il contrasto tra le stesse esistente, evidenziando che alla
deposizione favorevole agli attori di COGNOME NOME, supportata da quella di COGNOME NOME solo per il limitato periodo 1993 -2004, si contrapponeva la deposizione sfavorevole di COGNOME NOME che aveva negato di avere visto gli attori accedere a INDIRIZZO attraverso il fondo dei convenuti, mentre la teste COGNOME NOME aveva riferito di un proprio passaggio fin dal 1987 attraverso il portoncino in ferro del muro di confine per accedere alla casa dei genitori COGNOME –COGNOME, e mentre i testi COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME non erano stati in grado di riferire alcunché sull’esercizio del passaggio pedonale da parte degli attori.
La sentenza impugnata ha ulteriormente argomentato che il contrasto tra le deposizioni non poteva essere superato, come sostenuto invece dagli appellanti, sulla base del tracciato della pretesa servitù emergente dalla mappa catastale, avendo questa un valore meramente indiziario inidoneo a costituire da solo prova di un diritto reale (richiamando Cass. n. 9138/1993), né sulla base del verbale di conciliazione prodotto, inerente al diritto di passaggio di terzi e non degli attori, ed infine ha indicato che il portoncino in ferro del muro di confine degli attori, insistente sul preteso fondo dominante, non era in grado di segnalare in modo inequivoco l’esistenza del peso gravante sul preteso fondo servente e di costituire quindi quell’opera visibile occorrente ai fini dell’apparenza della servitù di passaggio pedonale richiesta, che come è noto è indispensabile ex art. 1062 cod. civ. per acquisire le servitù per usucapione.
Non è quindi sostenibile che la motivazione addotta dall’impugnata sentenza sia meramente apparente ed inidonea a spiegare le ragioni della decisione adottata, basatasi sul difetto di prove univoche dell’esercizio del passaggio pedonale degli attori nel periodo compreso tra il 1977 ed il 2007 (epoca di realizzazione del muro in prisme), e sulla mancanza di opere visibili e permanenti
idonee a rivelare in modo inequivoco l’esistenza del peso sul fondo servente. Dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. da parte dell’art. 54 comma 1 lett. b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7.8.2012 n. 134, comunque, non è più sindacabile la motivazione insufficiente, ma solo la mancanza totale, o la mera apparenza, o l’insuperabile contraddittorietà della motivazione, che non risulti idonea a garantire il requisito minimo costituzionale della motivazione dell’art. 111 comma 6° della Carta fondamentale.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato dai ricorrenti nell’utilizzo del passaggio pedonale dal 1950/51 al 1970/71 emergente dalla testimonianza di COGNOME NOME, e dalla circostanza che il muro in prisme costituente ostacolo all’esercizio del passaggio sarebbe stato costruito nel 2004, emergente dalla testimonianza di COGNOME NOME.
Deducono i ricorrenti che il vizio in questione sarebbe deducibile, in quanto la sentenza di primo grado avrebbe respinto la loro domanda di usucapione della servitù di passaggio pedonale in ragione del dubbio insuperabile sull’epoca di costruzione del muro in prisme e sull’effettivo utilizzo anteriore a tale costruzione ed ultraventennale del passaggio, mentre la sentenza di secondo grado sarebbe pervenuta alla stessa statuizione di rigetto, ma per la mancata prova del passaggio pedonale ultraventennale degli attori nel periodo compreso tra il 1977 ed il 2007.
Il secondo motivo è inammissibile per ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., perché le decisioni di primo e di secondo grado di rigetto della domanda di usucapione della servitù di passaggio si sono basate entrambe sulla mancata prova, da parte degli attori, attuali ricorrenti, dell’esercizio di un possesso del passaggio ultraventennale in ragione della contraddittorietà sul
punto delle testimonianze raccolte, anche se la sentenza di secondo grado ha aggiunto il riferimento alla mancanza di opere visibili e permanenti in grado di dimostrare l’indispensabile apparenza della servitù, ed ha specificato che la prova del passaggio mancata era riferibile al periodo compreso tra il 1977 ed il 2007, al quale gli attori avevano fatto riferimento nell’atto di citazione di primo grado.
L’inammissibilità del secondo motivo deriva poi anche dal fatto, che non è affatto vero, che la testimonianza di COGNOME NOME circa l’utilizzo del passaggio pedonale da parte sua dal 1950/51 al 1970/71 non sia stata considerata dall’impugnata sentenza, che semplicemente ha preso atto che tale deposizione non era idonea a fornire prova dell’esercizio del passaggio da parte degli attori in quanto aveva riferito del passaggio da parte di un soggetto terzo, ed in quanto comunque gli attori, che non avevano invocato l’accessione nel possesso dei propri danti causa, avevano sostenuto nella citazione di primo grado di avere esercitato il passaggio pedonale dalla data del loro acquisto dell’abitazione nel 1977, fino al momento della costruzione del muro in prisme che lo aveva ostacolato nel 2007, e quindi non nel periodo anteriore al 1977, interessato dalla testimonianza di COGNOME NOME.
Quanto alla circostanza che il muro in prisme sia stato costruito ad ostacolo del passaggio pedonale nel 2004, secondo la deposizione di COGNOME NOME, non è certo decisiva, in quanto le prove testimoniali sull’esercizio del possesso del passaggio pedonale da parte degli attori nel periodo anteriore al 2004 e successivo al 1977, sono comunque risultate contrastanti ed insufficienti, ed in quanto non è stata data prova dell’esistenza di opere permanenti e visibili idonee a rivelare in modo inequivoco l’esistenza del peso gravante sulla particella n. 14911, per cui anche considerando quella circostanza la domanda di usucapione del passaggio pedonale degli attori sarebbe stata respinta per difetto di prova del
possesso pacifico, continuato, pubblico, ultraventennale del passaggio, e per difetto del requisito dell’apparenza dell’art. 1062 cod. civ.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 99, 112 e 115 c.p.c. e degli articoli 1146 e 1158 cod. civ.
Deducono i ricorrenti che l’impugnata sentenza avrebbe violato il principio della domanda dell’art. 99 c.p.c. e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art. 112 c.p.c., nonché il principio dell’accessione nel possesso valevole in caso di successione a titolo particolare ex art. 1146 cod. civ., il principio dell’acquisto per usucapione dei diritti reali di servitù per effetto del possesso continuato ultraventennale dell’art. 1158 cod. civ., e il principio per cui il giudice in base all’art. 115 c.p.c. deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti, per non avere accolto la domanda di usucapione della servitù di passaggio pedonale degli attori, diritto autodeterminato per il quale non rilevava il titolo costitutivo, in forza del principio di accessione nel possesso applicabile nei casi di successione a titolo particolare, essendo emerso dalla deposizione di COGNOME NOME, dante causa degli attori, che egli aveva esercitato il possesso del passaggio pedonale in questione dal 1950/51 al 1970/71, prima che gli attori nel 1977 acquistassero la loro abitazione.
Il terzo motivo è manifestamente infondato per la parte in cui lamenta la violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. e degli articoli 1146 e 1158 cod. civ., in quanto l’impugnata sentenza si è attenuta al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, dal momento che nell’atto di citazione di primo grado, gli attori hanno espressamente rivendicato di avere esercitato il possesso del passaggio pedonale in questione dall’acquisto della loro abitazione del 29.3.1977 fino alla realizzazione del muro in prisme che lo ha ostacolato nel 2004, e non hanno fatto alcun riferimento alla
vendita a loro dell’abitazione di Treviglio da parte di COGNOME NOME, né all’accessione nel possesso dei loro danti causa ex art. 1146 cod. civ., per cui a prescindere dalla natura di diritto autodeterminato della servitù di passaggio pedonale con conseguente modificabilità del titolo costitutivo invocato, la sentenza impugnata non poteva certo spostare motu proprio all’indietro il periodo di esercizio del passaggio pedonale, ipotizzando autonomamente l’invocazione dell’accessione nel possesso dei danti causa, tanto più che il teste COGNOME aveva riferito del possesso del passaggio pedonale da parte dei suoi figli fino al 1971, e non fino all’acquisto degli attori avvenuto nel 1977.
Quanto alla violazione dell’art. 1158 cod. civ., i ricorrenti non lamentano che l’impugnata sentenza abbia adottato una nozione non corretta dell’usucapione del diritto di servitù di passaggio su beni immobili, che richiede l’esercizio di un possesso del passaggio pacifico, pubblico continuato ultraventennale, oltre che in base all’art. 1062 cod. civ., l’esistenza di opere visibili e permanenti che rivelino in modo non equivoco la presenza del peso sul fondo servente, puntando piuttosto, attraverso il richiamo di un’inesistente violazione di legge, ad ottenere una nuova e diversa ricostruzione dei fatti attraverso la valorizzazione della deposizione di COGNOME NOME e l’applicazione del principio di accessione nel possesso, per conseguire l’accoglimento della domanda di usucapione avanzata.
Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, tuttavia, la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio di attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni anziché di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati ai giudici di merito, che nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontrano altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuti a discutere ogni singolo elemento, o a confutare tutte le deduzioni difensive (Cass. 26.10.2021 n. 30042; Cass. 19.7.2021 n. 20553; Cass. sez. lav. 13.6.2014 n. 13485; Cass. 23.5.2014 n.11511; Cass. 15.7.2009 n. 16499; Cass. 7.1.2009 n. 42; Cass. 24.5.2006 n.12362).
Inammissibile infine è anche la doglianza dei ricorrenti relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c.
Tale violazione, infatti, può essere dedotta come vizio di legittimità, secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, solo denunciando che il giudice abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche nel caso in cui il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 6.4.2023 n. 9507; Cass. 14.3.2018 n. 6231; Cass. 28.2.2017 n. 5009), e nel caso di specie i ricorrenti, invece, lamentano la violazione dell’art. 115 c.p.c. in quanto l’impugnata sentenza nella ricostruzione dei fatti non ha attribuito un peso probatorio prevalente, rispetto alle altre deposizioni acquisite, alla deposizione resa da COGNOME NOME.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, e poiché sono state confermate le ragioni che erano state poste a sostegno della proposta di definizione anticipata in base alla previsione dell’art. 380 bis ultimo comma c.p.c., i ricorrenti vanno altresì condannati in solido al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. (vedi sulla configurabilità di un abuso del processo valutato sussistente dal legislatore in caso di conformità della decisione alla proposta di definizione anticipata Cass. sez. un. 22.9.2023 n. 27195) in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, liquidati in € 1.800,00, ed al
pagamento ex art. 96 4° comma c.p.c. in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, rigetta il ricorso di COGNOME NOME e COGNOME NOME, NOME e NOME, e li condanna in solido al pagamento in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in €200,00 per spese ed € 3.100,00 per compensi, oltre IVA, C.A. e rimborso spese generali del 15%, al pagamento in favore degli stessi della somma equitativamente determinata di € 1.800,00 ed al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 25.1.2024